Radiazioni dei cellulari, che c’è di vero?

Ricerche pagate da chi dovrebbe subirle. Studi datati. Profonda incertezza

La verità è che la puntata di Report di ieri è andata ad infilarsi in una crepa profonda, in una ferita che potremmo definire addirittura dolorosa. Perché tocca ognuno di noi, visto la recente e clamorosa impennata del numero di telefonini cellulari di ogni genere e tipo, di ogni costo e potenza che le nostre tasche e i nostri portafogli hanno visto negli ultimi anni. Da fenomeno di nicchia e gingillo per pochi nei primi anni ’80, il telefono cellulare si è miniaturizzato, è diventato un minicomputer adatto alle tasche, più o meno, di tutti. E come facciamo a sapere se abbiamo comprato e ci siamo messi in tasca un distruttore di vite, un portatore di cancro, il nostro distributore di metastasi portatili? Questione annosa, più volte trattata e anche ieri ripresa: nonché, va detto da subito, mai chiarita.

INTERPHONE – Il telefonino fa bene o fa male? Avere un ricettore di onde elettromagnetiche ad alta frequenza attaccato all’orecchio può innescare effetti davvero indesiderati? Il programma di Milena Gabanelli se n’è occupato ieri ripercorrendo la storia degli studi in materia. L’unico studio completo esistente, informa correttamente ieri Report, è Interphone, costato 19 milioni di euro e coinvolgente 10 mila intervistati di 13 paesi diversi. E’ qui che iniziamo ad addentrarci nella materia del contendere, fra domande a cui nessuno ha mai dato risposte. Lo studio è attendibile? Non lo è? E’ stato condotto con i metodi giusti? E chi lo ha pagato? Possiamo fidarci? Tutte domande che fanno capo alla domanda principale, che abbiamo già posto: il telefono cellulare fa bene o male? Secondo Interphone, no. “L’uso del telefono cellulare non risulta legato allo sviluppo di tumori cerebrali”, è stata la conclusione del convegno dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) lo scorso 31 maggio a Lione, in Francia, che è partita da Interphone e ha riesaminato tutto il materiale a disposizione. Le radiazioni da telefono cellulare sono state classificate di pericolosità 2B, agente patogeno solo probabilmente cancerogeno accanto al Caffé, al Gasolio ed alcune verdure asiatiche. Un articolo su Oggi Scienza riassumeva così il punto.

L’analisi ha riesaminato centinaia di articoli scientifici pubblicati negli ultimi anni (studi su cellule, animali e persone), per stabilire una relazione di “causa-effetto” tra la comparsa di forme tumorali e tre tipi di sorgenti elettromagnetiche: radar e microonde (esposizione occupazionale); radio, tv e altri dispositivi wireless (esposizione ambientale); telefonia mobile (esposizione personale). Mentre nei primi due casi non sono emerse prove sufficienti, nel caso dei telefonini l’evidenza è stata giudicata “limitata”, per quanto riguarda il glioma (una rara forma di tumore maligno al cervello) e il neurinoma acustico (il tumore del nervo uditivo). Per tutti gli altri tipi di tumore (leucemie e linfomi sono tra questi) l’evidenza è “inadeguata” per trarre conclusioni.

Non sarebbe provato, per ora, un rapporto di causa-effetto, ma soltanto una corrispondenza statistica fra i “grandi utilizzatori di telefono cellulare”, ovvero le persone che l’hanno utilizzato negli ultimi 10 anni per almeno 30 minuti al giorno, e l’insorgere di tumori maligni o benigni nella zona auricolare, comunque patologie dallo scarsissimo impatto statistico. Insomma, non ci sarebbe granché da preoccuparsi, visto che l’unico effetto “accertato al 100%” è “la capacità, ad alte intensità, di riscaldare i tessuti biologici”. Ovvero, dopo un certo tempo di utilizzo, il telefonino scotta. E questo, in effetti, si sa.

USATE L’AURICOLARE – La conclusione della puntata di Report di ieri, per contro, era un pochino più allarmistica. Milena Gabanelli ha posto il problema in questi termini.

In sostanza, riassumendo, lo Iarc dice che esiste una associazione possibile tra tumore al cervello e le onde emesse dal nostro cellulare già con soli 30 minuti di telefonate al giorno per un periodo di almeno dieci anni. Ci aspettiamo che le autorità sanitarie pubbliche forniscano le informazioni e soprattutto le seguenti avvertenze: utilizzare l’auricolare riduce del 90% i rischi. Quando non si usa il telefono tenerlo lontano dal corpo. Il treno è una gabbia di elettromagnetismo, in macchina abbassare un po’ il finestrino, per i ragazzini che lo utilizzano per ascoltare la musica togliere la rete, emai, mai sotto al cuscino. A casa o sul posto di lavoro utilizzare il fisso, perché il cordless emette radiazioni come i cellulari.

Un secondo: ma se tutta la letteratura scientifica, certificata dallo Iarc, va in direzione opposta, perché Report dice che è lo stesso Iarc a certificare questo collegamento? E’ qui che si affonda nel cuore della contraddizione: mancanza di dati, ricerche datate, e, sullo sfondo, il lampante conflitto di interessi delle aziende produttrici di apparecchi per telefonia cellulare che finanziano la ricerca scientifica sugli effetti dei dispositivi da loro messi in commercio: il classico caso del controllato che finanzia il suo controllore. Quali sono i motivi? I più vari.

LA CAUSA, LA STATISTICA – Così, leggendo al contrario l’inchiesta di Report di ieri, partendo dalle conclusioni, dai dati a disposizione, e arrivando alla questione dei finanziamenti, si arriva ad avere un quadro più preciso del problema. Non perdiamo di vista la domanda: il telefono cellulare fa bene o fa male? Secondo i dati a nostra disposizione, non fa male. Ovvero, non è provato che faccia male. O meglio, non è possibile stabilire un collegamento automatico fra l’utilizzo massiccio di telefoni cellulari e l’insorgere di malattie tumorali. La corte d’Appello di Brescia ha pensato diversamente, accordando la malattia professionale e relativo risarcimento di Innocente Marcolini.

Inizialmente avevo una leggera paresi e i giudici hanno interrogato e anche l’avvocato dell’Inail, ha interrogato i centralinisti piuttosto che i collaboratori e gli han chiesto che cosa io facevo, cioè qual era il mio incarico. Io per 10 anni ho fatto un uso praticamente di 5 – 6 ore al giorno di cordless e di cellulare presso l’azienda nella quale lavoravo e quindi a seguito di questa sentenza, questa sentenza della Corte d’Appello ha obbligato l’Inail riconoscermi la malattia professionale.

Marcolini ha un tumore all’orecchio sinistro, proprio l’orecchio dove utilizzava abitualmente il telefono cellulare. Per certificare il diritto di Marcolini al risarcimento, il giudice bresciano – che attende conferma in Cassazione – si è appoggiato agli studi di una serie di esperti non coinvolti nel processo di ricerca “ufficiale”, quello che finisce nei convegni dello Iarc. O meglio, che ci finisce, per essere però diversamente valutato. Come è stato spiegato ieri su Rai3, lo studio Interphone ammette con chiarezza che il 40% degli intervistati ha raccontato di essersi preso un tumore e di essere stato un grande utilizzatore di telefonia cellulare: solo che lo studio Interphone non si è spinto fino a stabilire un rapporto di causa-effetto, preferendo parlare solamente, come abbiamo detto, di ricorrenza statistica.

VA TUTTO BENE– E siccome lo studio Interphone è l’unico accreditato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tutti gli istituti nazionali si sono adeguati.

Nel più grande studio epidemiologico condotto finora, l’uso del telefono cellulare non risulta legato allo sviluppo di tumori cerebrali. È il dato principale che emerge dall’articolo pubblicato dal gruppo di studio Interphone sull’International Journal of Epidemiology. Lo studio Interphone, promosso e coordinato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), è stato realizzato tra il 2000 e il 2004 in 13 Paesi, tra i quali l’Italia. (…) Nell’insieme, lo studio non ha rilevato alcun incremento del rischio di tumori cerebrali legato all’uso dei telefoni mobili. Si tratta di un risultato particolarmente solido sia perché le dimensioni dello studio assicurano margini di errore davvero ridotti, sia perché l’omogeneità dei risultati ottenuti in tanti Paesi diversi contribuisce a rafforzarne la credibilità. Le osservazioni, inoltre, sono coerenti con i risultati degli esperimenti in laboratorio che non hanno finora dimostrato che i campi elettromagnetici a radiofrequenza usati nella telefonia cellulare abbiano effetti cancerogeni. Interphone non ha rilevato alcun incremento del rischio di tumore cerebrale tra chi aveva iniziato ad usare il telefono cellulare 10-12 anni prima: si tratta di un’informazione rilevante, che prima di oggi non si aveva.

Come abbiamo detto, questa certezza nel proclamare è data unicamente dal fatto che la ricorrenza statistica non è stata trasformata in rapporto di causa-effetto. Ma alcuni studiosi, poco prima che venissero pubblicati i risultati di Interphone, ha “anticipato” – parole ancora di OggiScienza – i risultati dello studio pubblicando un parere in dissenso: “L’aumento del numero di casi di cancro cerebrale collegato all’utilizzo estensivo del cellulare, per quanto piccolo, c’è e si può misurare: dopo cento ore di uso del telefono il rischio di neoplasie del cervello crescerebbe del 5 per cento”. Ed eccoci nel pantano: non riusciamo più a capire quale è la vera situazione. ù

IL PROBLEMA DELLO STUDIO .- Perché? Perché il punto è, forse, il modo in cui vengono condotti gli studi. L’Interphone, checché ne dica l’Istituto Superiore di Sanità, è uno studio che è stato a più riprese criticato per il metodo di lavoro, naturalmente portato a dare risultati non scientifici ma, più che altro, statistici, visto che “ai partecipanti è stato chiesto se avessero mai usato un telefono cellulare, quando avevano iniziato, quante volte al giorno lo utilizzavano e quanto tempo duravano le telefonate”: parole sempre dell’istituto superiore di Sanità italiano, firmato dall’epidemiologa Susanna Lagorio, intervistata ieri da Report. Interphone è stato una raccolta statistica di dati, il che, come chi fa scienza sa benissimo, è un punto di partenza per approfondire le ricerche, un dato iniziale confortante ma non certo un semaforo verde per cantare vittoria. Eppure, nonostante un incremento forse non significativo ma presente; nonostante un tasso di ricorrenza statistica importante e che doveva venir pur considerato, le istituzioni sanitarie mondiale hanno dato il via libera, e proclamato il cessate il fuoco contro l’industria del telefono cellulare. Il problema è, manco a dirlo, il finanziamento degli studi dell’Oms: che, come ha dimostrato ieri Report, è stato sovente pagato dalle industrie della telefonia cellulare. Il primo studioso di queste problematiche, Michael Repacholi, “coordinatore del progetto onde elettromagnetiche” dell’Oms, ha ammesso che uno dei principali suoi problemi era il rinvenimento dei fondi per le sue ricerche: e con operazioni di triangolazioni con l’ospedale australiano per il quale lavorava prima, e, in seguito, con donazioni dall’associazione che raccoglie i produttori di apparecchi telefonici, è riuscito a finanziarsi: sempre, in ogni caso, con soldi della Motorola, della Nokia, della Ericcson, e degli altri produttori.

CHI CONTROLLA IL CONTROLLORE? – Una giustificazione per questi accantonamenti da parte delle imprese può essere quella del razionale investimento: Repacholi parla dell’effetto “bravo cittadino”.

Se i produttori sono visti come dei bravi cittadini che cooperano finanziando la ricerca, ma restano un passo indietro, senza influenzare e lasciano pubblicare i risultati, è meglio per loro. Se poi vengono citati in tribunale possono dimostrare di avere cercato
se c’era qualche problema…

In breve, converrebbe alle imprese pararsi le spalle e mettere in circolazione solo prodotti sicuri, per evitare grane legali molto dispendiose: “Se poi a qualcuno viene un tumore al cervello, sono problemi”. Tuttavia, stranamente, appena i primi risultati dei progetti di ricerca iniziano a dimostrare come un collegamento fra onde elettromagnetiche dei cellulari e tumori in zona celebrare possa essere instaurato, le aziende spostano gli stanziamenti dalla ricerca scientifica alle charities, associazioni benefiche, che ricercano forme di cura per i cancri. Attenzione alla differenza: “C’è una differenza tra chi cerca la cura e chi le cause. Quando si cercano le cause c’è il rischio di trovare i responsabili”. Parole, ancora, dell’inviata di Report, confermate da un ricercatore bolognese che, analogamente, ha visto gli stanziamenti trasferirsi dai progetti di ricerca e prevenzione a quelli di cura, perché la prevenzione è una questione di costi-benefici: e finanziare progetti di ricerca per prevenire uno, o due casi, di malattie collegate al fenomeno all’anno non conviene: meglio puntare sulle cure, invece che aggredire le cause.

STUDI DATATI – Ed è esattamente per questo meccanismo che gli studi sono rimasti clamorosamente indietro, e anche l’Interphone si riferisce a una situazione datata, risalente infatti agli anni ’90 quando le reti erano basate su vecchi protocolli di radiofrequenza, in generale più dannosi di quelli attuali: in teoria i telefonini di seconda (GSM) e terza generazione (UMTS) sarebbero pensati per essere meno dannosi, ma fino alla pubblicazione dei prossimi studi, non sarà dato saperlo. Intanto – e chissà perché – i produttori di telefoni cellulari si premuniscono. Dal sito della Nokia.

Questo dispositivo è conforme alle direttive sull’esposizione alle radiofrequenze nelle normali condizioni d’uso all’orecchio o quando è posizionato ad almeno 1,5 centimetri di distanza dal corpo. Custodie, clip da cintura o accessori da indossare devono essere assolutamente privi di parti metalliche e devono garantire il posizionamento del dispositivo nel rispetto della sopra indicata distanza dal corpo.

La Cnn dava la notizia: ogni produttore di telefono cellulare consigliava una distanza minima dall’orecchio per l’operare del dispositivo: l’iPhone consiglia 15 millimetri, il Blackberry 25 millimetri. Perché avere un cellulare operativo è come avere un piccolo forno a microonde attaccato al cranio: che questo faccia o non faccia male non è dato ancora saperlo con certezza, e il perché lo abbiamo visto poco fa. Le istituzioni internazionali non hanno sufficiente finanziamento per pagare studi adeguati e si appoggiano alle società produttrici, il quale unico intento è premunirsi e, appena fiutano il bruciato, girano i finanziamenti sulle cure perché sono rimedi a posteriori che gli permettono di continuare a produrre – forse – malattie che poi qualcuno curerà. Nel frattempo un piccolo disclaimer sul manuale utente aiuta: tenete il telefonino lontano dall’orecchio. Ma allora, perché non usare un auricolare? Appunto.

Share this article