L’eurocrisi ha fatto rinascere la sinistra radicale

27/12/2014 di Andrea Mollica

La sinistra radicale è tornata. Nei Paesi più colpiti dall’eurocrisi si registrano crescenti successi demoscopici per partiti di estrema sinistra che solo fino a poco tempo fa erano marginalizzati nell’irrilevanza. In Grecia, Spagna e Irlanda tre formazioni molto diverse tra loro come Syriza, Podemos e Sinn Fein sono rilevate in grande ascesa, tanto che il loro arrivo al governo, semplicemente inimmaginabile fino all’anno scorso, sembra una possibilità a cui l’Europa conservatrice di Angela Merkel e Jean-Claude Juncker si debba preparare con malcelato timore.

Alexis Tsipras di Syriza e Pablo Iglesias di Podemos. Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images
Alexis Tsipras di Syriza e Pablo Iglesias di Podemos. Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images

L’EUROPA E IL CONSERVATORISMO DA EUROCRISI – La crisi del debito sovrano nell’eurozona, la cosiddetta eurocrisi, è iniziativa circa cinque anni fa. La Grecia è stato il primo Paese espulso dai mercati finanziari per la sua incapacità di servire il proprio debito, un destino conosciuto poi da Irlanda, Portogallo e Cipro. La combinazione dell’esplosione di debito privato, precedente alla grande recessione iniziata con la crisi finanziaria di fine 2008, e successivo aumento esponenziale di quello sovrano generato dagli interventi di stabilizzazione dei sistemi bancari nazionali, hanno spinto i governi di Atene, Dublino, Lisbona e Nicosia, dal 2010 al 2013, a chiedere l’assistenza finanziaria di Unione Europea, Bce e Fmi. La Spagna ha beneficiato di un prestito da diverse decine di miliardi di euro erogato dal fondo salva euro dell’UE per ricapitalizzare il sistema creditizio iberico, devastato dalla fine della bolla immobiliare. Le principali conseguenze della crisi del debito sovrano sono state prolungate recessioni, l’aumento del tasso di disoccupazione a livelli record e il cambio ai vertici di tutti questi Paesi. In Grecia il governo del Pasok è stato prima sostituito da un esecutivo tecnico e poi da uno a guida conservatrice. Il centrodestra ha vinto in Spagna così come in Portogallo nel 2011, mentre in Irlanda, Paese che sfugge alla tradizionale competizione europea tra popolari e socialisti, i centristi cristiani di Fine Gael hanno posto fine al lungo dominio dei liberali di Fianna Fáil. A Cipro l’unico presidente comunista d’Europa è stato spazzato via dal crollo del sistema bancario dell’isola. Dallo scoppio dell’eurocrisi fino ad oggi nei Paesi più colpiti dalla recessione sono state registrate vittorie politiche conservatrici. Successi elettorali che appaiono però favoriti maggiormente dalla regole dell’alternanza, che penalizzano i governi nei periodi di difficoltà economiche, che da un uno spostamento ideologico verso destra degli elettori di queste Nazioni, come indicato anche dalle oscillazioni politiche successive.

L’EUROPA E LA SINISTRA ANTI AUSTERITÀ – La presenza di governi conservatori nei Paesi affondati dall’eurocrisi ha reso più facile la collaborazione tra le cancellerie continentali e le istituzioni comunitarie, da molti anni orientate verso il centrodestra. La risposta alla crisi del debito sovrano – Fiscal Compact, nuovi regolamenti del Patto di Stabilità e programmi di assistenza finanziaria – è stata gestita da un’Unione Europea controllata prevalentemente dai popolari. Nel momento in cui è scoppiata la crisi imperava il Merkozy, l’alleanza tra la cancelleria tedesca Merkel e il presidente francese Sarkozy. Dal 2012 ad oggi i socialisti hanno recuperato un po’ di posizioni all’interno dei governi UE così come nelle istituzioni comunitarie, ma la maggioranza rimane ancora saldamente in mano ai popolari, come dimostrato dall’ultima tornata di nomine europee. La fine del 2014 sta però registrando una novità rilevante. Per la prima volta da molti anni si assiste alla forte ripresa della sinistra radicale, un’area politica diventata un fantasma elettorale e sociale con la conclusione della Guerra Fredda. In Spagna, Grecia e Irlanda partiti che militano nella Sinistra europea come Podemos, Syriza e Sinn Fein sono rilevate in testa ai sondaggi a pochi mesi dalle consultazioni nazionali. Tre formazioni di sinistra radicale hanno concrete prospettive di entrata al governo, un’ipotesi considerabile come fantascientifica fino all’anno scorso. Le elezioni in Grecia dovrebbero svolgersi entro il 2015, così come in Spagna, mentre in Irlanda nei primi mesi del 2016, e se lo scenario rilevato dai sondaggi venisse confermato nelle urne si verificherebbe un terremoto politico. La Commissione Juncker e la Germania di Angela Merkel perderebbero infatti alcuni dei loro alleati più preziosi nella strategia di consolidamento dei conti pubblici come risposta più importante alla crisi del debito sovrano, come testimoniato dall’andamento degli ultimi Consigli Europei. Primi ministri conservatori come Rajoy, Samaras e Kenny hanno marginalizzato il contrasto alle politiche di austerità promosso da Matteo Renzi e François Hollande, e bocciato le loro richieste di flessibilità dopo le dure condizioni subite dai loro governi per accedere agli indispensabili crediti europei. I leader di Podemos, Syriza e Sinn Fein provocherebbero però problemi anche alla famiglia socialista, visto che finora la sinistra riformista, anche alla luce dei numeri, ha preferito governare in Europa con il centrodestra popolare invece che collaborare con le forze progressiste e radicali.

LEGGI ANCHE

ELEZIONI GRECIA 2015: TOCCA A TSIPRAS ?

Eurozona: «La sinistra radicale UE ha ragione sulla ristrutturazione del debito»

Podemos, il partito della sinistra spagnola anticasta, che può sconvolgere l’UE

Tsipras va dal Papa, per Syriza un incontro «storico»

Alexis Tsipras leader della Sinistra europea. SAKIS MITROLIDIS/AFP/Getty Images
Alexis Tsipras leader della Sinistra europea. SAKIS MITROLIDIS/AFP/Getty Images

L’EUROPA E SYRIZA – La grande speranza della sinistra radicale europea, e il terrore dell’UE conservatrice, si chiama Alexis Tsipras. Da ormai diversi mesi il leader di Syriza appare come il favorito per la vittoria alle elezioni politiche in Grecia, che si potrebbero svolgere tra poche settimane. Se il 29 dicembre il Parlamento ellenico non riuscirà a eleggere il nuovo capo dello Stato al terzo scrutinio la Costituzione imporrà lo scioglimento anticipato della legislatura. In caso di rapido ritorno alle urne il favorito per diventare il nuovo premier greco è Alexis Tsipras. Syriza è rilevata da diverso tempo come la prima formazione del Paese, una posizione già conquistata alle ultime elezioni europee, quando la Sinistra europea aveva candidato Tsipras presidente della Commissione proprio per trainare la sua corsa. La legge elettorale ellenica assegna un consistente bonus, pari a circa il 17% dei seggi in più, alla prima lista per preferenze complessive. Se i sondaggi attuali venissero confermati Alexis Tsipras sarebbe il pressoché sicuro prossimo primo ministro della Grecia, visto che il suo partito al momento ha un vantaggio di diversi punti percentuali su di Nea Dimokratia del premier conservatore Samaras. Il leader di Syriza potrebbe così ottenere la possibilità di formare un governo, che avrebbe come principale punto programmatico la ridiscussione del piano di salvataggio concordato dall’Europa con la Grecia. Tsipras vuole un significativo ripudio del debito, che permetta al suo Paese di uscire dalla lunga fase di continui tagli al Welfare. Una promessa accattivante per l’elettorato ellenico, stremato da anni di profonda crisi e continua erosione del proprio reddito disponibile, ma sostanzialmente inaccettabile per l’Unione Europea. In queste settimane il presidente della Commissione Juncker si è espresso in favore del premier conservatore Samaras, che vuole evitare elezioni anticipate prima di concludere il nuovo programma di aiuti con la Troika. Il leader di Nea Dimokratia, partito che milita nel Ppe in Europa, ha offerto un compromesso all’opposizione moderata per interrompere la legislatura entro il 2015, offrendo loro posti di governo per ottenere i voti necessari a eleggere Stavros Dimas nuovo presidente della Repubblica.

Pablo Iglesias. JOSEP LAGO/AFP/Getty Images
Pablo Iglesias. JOSEP LAGO/AFP/Getty Images

L’EUROPA E PODEMOS La Grecia andrà al voto nelle prime settimane del 2015 se la scommessa di Samaras fallirà, mentre le elezioni per il rinnovo del Parlamento si svolgeranno verso la fine del prossimo anno se il governo di Atene, sostenuto dai conservatori di Nea Dimokratia e dai socialisti del Pasok, riuscirà sopravvivere alle presidenziali. La minaccia di Tsipras inquieta l’UE di Angela Merkel e Jean-Claude Juncker, ma la crisi greca, per quanto grave e contagiosa, è sempre stata limitata a un Paese tra i più piccoli dell’UE. Il trionfo della sinistra radicale in Grecia sarebbe per forza di cose tollerato, mentre appare assolutamente imprevedibile valutare ciò che accadrebbe a Bruxelles, Berlino e Francoforte se fosse Podemos il partito vincitore delle prossime elezioni spagnole. I numerosi e pesanti scandali di corruzione hanno minato il consenso di Mariano Rajoy, e il primo ministro iberico non sta affatto beneficiando della relativa ripresa economica della Spagna. Il rinnovo delle Cortes, che si svolgerà entro il 20 dicembre 2015, appare sin d’ora come il test più delicato per l’Unione Europa nel prossimo futuro. Podemos è un nuovo partito, con spinte verso la democrazia diretta e il rinnovamento della classe dirigente assolutamente accettabili per le altre cancellerie continentali. Il programma economico del partito di Pablo Iglesias appare però una sfida radicale all’UE, con una critica feroce tanto alle misure di austerità quanto all’impianto liberale dei Trattati di Maastricht, mai messo in discussione dalle formazioni socialiste continentali. In questo momento la maggior parte delle indagini demoscopiche rilevano Podemos come il primo partito spagnolo per consensi, e la legge elettorale iberica è un sistema proporzionale che però premia in modo consistente le formazioni maggiori. La possibilità di approdare il governo, e magari di guidarlo, ha consigliato a Podemos una svolta “socialdemocratica”, che però è ancora ben più radicale rispetto alla pratica governativa di qualsiasi governo di matrice Pse. La cancellazione del debito pubblico, esploso dal 37 a circa il 100% durante la crisi, è stata accantonata, per una però assai difficilmente realizzabile ristrutturazione del debito pubblico concordata con l’UE. Il reddito minimo universale da estendere a tutti è diventato un “salario vitale” da erogare agli spagnoli più poveri, e la promessa di ridurre l’età di pensionamento a 60 anni è stata annacquata.

Angela Merkel e Jean-Claude Juncker. Carl Court/Getty Images
Angela Merkel e Jean-Claude Juncker. Carl Court/Getty Images

L’EUROPA E LA SINISTRA RADICALE – La svolta “socialdemocratica” di Podemos, benchè solo annunciata, appare più marcata rispetto al percorso di moderazione già intrapreso in questi anni da Alexis Tsipras. La distanza tra i proclami delle forze di sinistra radicale più toniche del Vecchio Continente e l’Europa della grande coalizione a guida moderata è però ancora molto significativa. Una contrapposizione che emerge anche nei Paesi teoricamente meglio usciti dalla crisi del debito sovrano, come l’ Irlanda. Il programma di assistenza finanziaria chiesto dal governo di Dublino a inizio 2011 ha registrato diversi effetti positivi, e l’esecutivo irlandese si finanzia da diverso tempo sui mercati dei capitali con rendimenti inferiori a quelli, già bassi, ottenuti dal governo italiano. Dopo due anni di sostanziale stagnazione e continuo incremento dell’indebitamento il 2014 è stato caratterizzato da risultati positivi, con una crescita del Pil ai livelli più alti dell’eurozona. Il governo di Enda Kenny, sostenuto dai centristi del premier affiliati al Ppe e dai laburisti, appare però averne beneficiato in modo relativo, visto che in questo momento il primo partito del Paese sono i socialisti indipendenti di Sinn Féin, formazione tradizionalmente minoritaria e con diversi legami con l’organizzazione terroristica dell’Ira. Il partito guidato dallo storico leader Gerry Adams milita come Podemos e Syriza nella Sinistra europea, anche se rispetto alle formazioni di Iglesia e Tsipras i toni euroscettici sono più accentuati. Podemos e Syriza sono partiti che difendono l’euro e stanno cercando di distanziarsi dalla nomea di partiti anti UE, mentre Sinn Féin si è sempre contrapposto ad ogni iniziativa di integrazione comunitaria, schierandosi per il no ai referendum, costituzionalmente obbligatori in Irlanda, sui Trattati di Nizza e Lisbona che hanno approfondito le istituzioni europee. Il successo degli indipendentisti irlandesi, che come Podemos dopo aver ottenuto un brillante risultato alle europee sono saliti in modo sostenuto fino al primato demoscopico, è favorito dal diffuso disagio sociale creato dal prolungarsi della crisi. I crescenti consensi verso le formazioni della Sinistra europea interrogano la Commissione di Juncker così come la Germania di Angela Merkel, che osservano con grande disagio le crescenti difficoltà di alleati strategici quali Samaras, Kneny e soprattutto Rajoy. Al momento le preoccupazioni sono relative a dati demoscopici, ma l’assenza di una ripresa economica dell’eurozona evidenzia la fragilità dell’attuale linea politica ed economica dell’UE. Oltre al rafforzamento della destra no euro incarnata da Marine Le Pen in Francia e Matteo Salvini in Italia, a quattro anni dal suo scoppio l’eurocrisi è riuscita a ravvivare anche l’ormai scomparsa sinistra radicale.

Share this article