“Io, schiava sessuale del dittatore”

15/11/2011 di Claudia Santini

Una ragazza di 22 anni racconta a Le Monde le perversioni di Gheddafi

Ha 22 anni, è bellissima, ma psicologicamente distrutta. Quando ride, per pochi secondi, una scintilla di luce le attraversa gli occhi. “Tu mi dai che età?” chiede, togliendosi gli occhiali da sole, sussurrando poi “Io, me ne sento 40”. Così la schiava sessuale di Gheddafi racconta il proprio calvario a Le Monde.

LA VITA DISTRUTTA – La ragazza distoglie lo sguardo e si copre il viso con un fazzoletto scuro mentre parla, trattenendo le lacrime agli occhi. Inizia a raccontarsi dicendo che “Muammar Gheddafi ha distrutto la mia vita”. Teme che raccontare la propria esperienza sia pericoloso, ma accetta di testimoniare ciò che ha vissuto trovandosi con la giornalista in un albergo di Tripoli. Si definisce confusa e riferisce di non avere parole per descrivere il mondo di perversione e follia in cui è stata costretta. Le pesano addosso ricordi insopportabili, “sporchi”, racconta, che le causano incubi. “Nessuno può immaginare. Nessuno”, scuote la testa in preda alla disperazione. “Quando ho visto il cadavere di Gheddafi esposto alla folla, ho provato un breve piacere. Poi ho sentito in bocca un sapore sgradevole.” Lei voleva solo vivere e che il dittatore venisse catturato e giudicato da un tribunale internazionale. Tutti questi mesi, non ha pensato ad altro: “Mi stavo preparando ad affrontalo e chiedergli, occhi negli occhi: perché? Perché mi hai fatto tutto questo? Perché mi hai violentata? Perché mi hai picchiata, drogata, insultata? Perché mi hai iniziata al bere e al fumare? Perché hai rubato la mia vita?”.

LA STORIA – Aveva 9 anni quando la sua famiglia, originaria dell’est, si è trasferita a Sirte, città natale del colonnello Gheddafi. Aveva 15 anni nel 2004, quando è stata scelta, tra le ragazze della sua scuola superiore, per offrire un bouquet al Rais in visita alla scuola dove andavano i cugini. “È stato un grande onore. L’ho chiamato Papà Muammar e avevo la pelle d’oca”. Il colonnello le mise la mano sulla spalla e le accarezzò i capelli, lentamente. Poi fece un segno alle guardie del corpo, che significava: “questa è quella che voglio”. Il giorno dopo, tre donne in divisa al servizio del dittatore – Salma, Mabrouka e Feiz – si recarono al salone della madre della protagonista. “Muammar vuole vederti. Vuole darti dei regali”. La ragazzina, chiamata col nome fittizio di Safia, le ha seguite volentieri. “Come potevo sospettare qualcosa? Era l’eroe, il Principe di Sirte”. Fu quindi condotta nel deserto, dove si trovava la carovana del colonnello per una battuta di caccia. Lui ieratico, con occhi penetranti, la interrogò sulla sua famiglia: le origini di suo padre, della madre, i loro mezzi finanziari. Poi freddamente le chiede si di rimanere a vivere con lui. La ragazza, presa alla sprovvista, si sente promettere case, automobili, soldi, ma nel panico declinò l’offerta perché voleva studiare. “Mi occuperò io di tutto, dice. Sarete sicuri, vi assicuro, tuo padre capirà”, così Gheddafi chiese a Mabrouka di farsi carico dell’adolescente.

VERSO LA SCHIAVITU’ SESSUALE – Nelle ore che seguirono, vennero consegnate a Safia biancheria intima e “abiti sexy”. Deve imparare a danzare, spogliarsi, sedurre e compiere “altri favori”. Singhiozzando, la ragazza chiede di tornare a casa dei genitori. Mabrouka sorrise: il ritorno non era più possibile. Le prime tre notti, Safia ballò da sola di fronte a Gheddafi. Il dittatore ascoltava il nastro di “un musicista, che più tardi farà uccidere”. Lui la guardò e disse: “Tu sarai mia cagna”. La sera seguente, di ritorno al palazzo di Sirte, la stupro. Safia racconta di aver lottato, ma è stata selvaggiamente picchiata, trattenuta da Mabrouka e Salma. “Ha continuato nei giorni seguenti. Divenni la sua schiava sessuale. Mi ha violentata per cinque anni”. Diventa parte di un harem di schiave sessuali del rais di età compresa tra i 18 e i 19 anni, ragazze che scomparivano quando l’ex dittatore era stufo. Le conversazioni personali erano vietate e tutte loro vivevano ammassate in una sorta di stanzino. I genitori non hanno mai avuto il coraggio di chiedere indietro la propria figlia.

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