Davide Bifolco: c’è un problema Napoli in Italia?

08/09/2014 di Boris Sollazzo

Provate a fare un giro su social e siti di informazione, cercando status, commenti, informazioni su Davide Bifolco, il povero ragazzo minorenne ucciso da un carabiniere poco più grande di lui. Rimarrete gelati dalla quantità, e pessima qualità, dei commenti della maggior parte degli utenti. Perché se in Italia è vero che dalla Diaz all’ultima finale di Coppa Italia sia sempre più evidente un rapporto problematico del paese con le sue forze dell’ordine (non di rado coinvolte nel caos, a volte causa dello stesso, raramente in grado di domarlo), da quest’ultima tragedia esce fuori qualcosa, forse, di ancora più inquietante: il razzismo ormai capillare del resto d’Italia, in particolare quella settentrionale, nei confronti di Napoli.

Napoli, al via il corteo per il 17enne ucciso

LA “PARTICOLARITA’ DI NAPOLI” – I più moderati parlano dell’eccezionalità della situazione partenopea, dipinta come un Far West in cui l’illegalità regna sovrana. Se poi qualcuno fa notare che secondo le statistiche del Ministero dell’Interno Napoli NON è la città più pericolosa d’Italia, né come numero di crimini né come quantità di vittime, tirano fuori l’omertà e la connivenza connaturata alla civiltà che vive alle pendici del Vesuvio, in una città in cui “tutto è possibile”. Possono inquadrarsi, questi illuminati che mischiano condiscendenza e benevolo disprezzo per la città, nella posizione di Gramellini, che dava il giovane carabiniere come sfortunata vittima delle circostanze e dell’ambiente inquinato. Ma chissà se, di fronte a un atto simile a Torino, il nostro avrebbe parlato alla stessa maniera, con quel buonsensismo subdolo e pregiudiziale.

La maggior parte, però, sono selvaggiamente dalla parte di chi veste la divisa. Un po’ per maldestro senso dello Stato – lo stesso che fa urlare allo scandalo per l’inettitudine di due governi sul caso dei due marò, comunque imputati di omicidio, e che li fa essere sprezzanti riguardo alle due cooperatrici connazionali scomparse in Siria, che fino a prova contraria le vite provavano a salvarle -, ma soprattutto per un razzismo senza se e senza ma per un popolo che considerano alieno ed estraneo al resto del proprio paese.

DA CIRO ESPOSITO A DAVIDE BIFOLCO – Questi stessi urlano al “solito vittimismo” dei napoletani quando gli viene contestata la loro posizione.
Ma la verità è che in Italia, se un giovane napoletano viene ucciso con un colpo di pistola poco prima di una partita di calcio, si parlerà solo di un capotifoso che subì un Daspo in passato e con precedenti penali che tenta di ovviare alle carenze dello Stato nel mantenere l’ordine pubblico, e poi della sua t-shirt con cui chiede la revisione di una sentenza già passata in giudicato (qualcosa, che in fondo, fecero vari ministri per l’allora premier Silvio Berlusconi, davanti a uno dei più importanti tribunali d’Italia).
E se un giovane napoletano forza un posto di blocco, andando con altri due su un motorino, si parlerà delle loro infrazioni (e della possibile condizione di latitanza dell’autista del mezzo, nonostante un amico incensurato attribuisca a se stesso la guida e quindi anche il reato) e non del fatto che la pattuglia si lanci al loro inseguimento, li speroni e uccida uno di loro, alle spalle.

DUE PESI, DUE MISURE – Insomma, è più grave il reato minore commesso dal napoletano (anzi, nel caso di Genny ‘a Carogna, nonostante il soprannome, non si figura neanche un illecito, nonostante il Daspo successivo subito senza motivazioni solide e probabilmente destinato a essere cancellato dopo l’avvenuto ricorso) che l’omicidio subito da chi da quella città proviene. Magari, chi scrive queste bestialità, ha puntato il dito con indignazione, solo poche settimane fa, contro i poliziotti bianchi che a Ferguson hanno ucciso un ragazzo nero, sostanzialmente per il solo colore della pelle della vittima.
Eppure, in Italia, sta succedendo proprio questo. Una sorta di guerra civile che potrebbe esplodere in qualsiasi momento. E i cui semi sono questo allontanamento di italiani da italiani, per la sola provenienza cittadina e regionale. Per stereotipi legati all’assenza di quello Stato che ora non si fa solo, a quelle latitudini, lontano, indifferente, burocratico vessatore, della rabbia di un paese che usa il Meridione come sua pattumiera (pensate a chi dal Nord ha riempito di rifiuti tossici la Terra dei fuochi o ai boss in giacca e cravatta che vedono negli investimenti al Nord la destinazione delle loro ricchezze) ma addirittura assassino o persino sede dei pregiudizi stessi, come quando a Roma, le alte cariche della Questura e della Prefettura mettevano in guardia da raid vendicativi il giorno della morte di Ciro Esposito. Mai avvenuti: bastava fare un’indagine seria, o anche solo qualche telefonata per saperlo. E a chi sostiene che le due aggressioni a romani siano a quell’evento legati, consigliamo di consultare le pronunce della Digos in proposito.

Sarà duro dirlo e accettarlo, ma molti italiani pensano che sia un buon modo di educare Napoli e i suoi abitanti sparare loro al cuore per ogni infrazione o solo per essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Una regola non scritta ben accolta da chi sembra volere Napoli fuori dal civile consesso di un paese sempre più raccolto nel suo odio. Un segnale di disgregazione preoccupante di un’Italia sempre più cattiva e discriminatoria.

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