Perché ora Montecitorio potrà dire addio agli affitti d’oro

Affitti d’oro addio. Ieri l’Ufficio di Presidenza ha ridotto ulteriormente la spesa della Camera a partire dal 2015, dando l’ok alla recessione dai contratti di locazione dei Palazzi Marini, dove sono collocati gli uffici dei deputati. Il risparmio sarà effettivo solo dopo l’approvazione del bilancio da parte dell’aula di Montecitorio. Altri risparmi – ha spiegato una nota di Montecitorio – deriveranno dal processo, in corso, di ristrutturazione dell’assetto retributivo dei dipendenti in servizio.

 

Infografica Montecitorio
Infografica Montecitorio

 

LA LOTTA DEI 5 STELLE – Gli “affitti d’oro” sono quei contratti di locazione stipulati alla fine degli anni Novanta dalla Camera per gli edifici che ospitano gli uffici dei deputati. Nell’occhio del ciclone sono finiti i tre “palazzi Marini”, affittati dalla “Milano 90 srl”, una società immobiliare gestita dall’imprenditore Sergio Scarpellini. Il contratto con l’immobiliare era blindato e molto caro: durata di 9 anni, rinnovabile ad altri 9, senza possibilità di recesso, per una spesa totale di oltre 20 milioni di euro l’anno. Il Movimento 5 stelle ha fatto della questione una lotta radicale. Ottenendo, questo febbraio, un piccolo successo: l’ok al Senato della cosiddetta norma Fraccaro. Alla notizia dell’ok dell’ufficio presidenza Luigi Di Maio ha gioito: «Oggi la Camera recede dai contratti dei Palazzi Marini. A partire dal 2015, ci saranno risparmi per più di 30 milioni di euro all’anno. È stato possibile grazie alla norma di Riccardo Fraccaro del Movimento 5 Stelle. Questo è un risultato di Legislatura del Movimento. L’abbiamo detto, l’abbiamo fatto».

GLI AFFITTI D’ORO NEL DL IRPEF – Eppure il taglio degli affitti d’oro figura anche nel recente dl Irpef (divenuto da poco legge). In quest’ultimo provvedimento per gli affitti d’oro si prevede che le amministrazioni e gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, possano comunicare, entro il 31 luglio 2014, il preavviso di recesso dai contratti di locazione di immobili in corso. La norma riguarda anche gli immobili di proprietà dei fondi comuni di investimento immobiliare. Paolo Fontanelli (Pd), questore della Camera ha precisato: «Questo vuol dire che fra il 2013 e il 2014 la Camera ha ridotto di 138 milioni e 300 mila euro le somme derivanti dallo Stato, e quindi dai contribuenti. In questo quadro rientra la decisione di attuare il recesso degli affitti di Palazzo Marini. Decisione resa possibile da un impegno di tutti i gruppi e fatta propria dal governo nell’ambito del dl Irpef approvato dalla Camera». «Il vice presidente Di Maio ha ragione a dire che anche il M5s ha contribuito alla definizione della norma – conclude il questore della Camera -, va precisato però che il voto che ha reso possibile la concretizzazione di questa scelta è quello sul decreto votato soltanto dalla maggioranza».

 

LEGGI ANCHE: La vera storia della norma sugli affitti d’oro

 

TUTTO IL PASTICCIO – Ma quindi? Prima di arrivare a questo risultato sono intercorsi una serie di problemi. Ad ottobre 2013 viene approvato il DL n. 120/2013 con la previsione, all’articolo 2 bis, della facoltà di recesso:

Art. 2-bis.

1. Anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di contenimento della spesa di cui agli articoli 2, comma 5, e 3, comma 1, le amministrazioni dello Stato, le regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere entro il 31 dicembre 2014, dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso è stabilito in trenta giorni, anche in deroga ad eventuali clausole difformi previste dal contratto.

Si arrivò a tale risultato con la conversione del decreto il 13 dicembre (la cosiddetta manovrina) che conteneva la norma introdotta in prima lettura alla Camera con un emendamento del deputato 5 stelle Riccardo Fraccaro. La norma (riscontrabile qui) stabilisce che tutte le pubbliche amministrazioni, organi costituzionali compresi, avrebbero potuto effettuare il recesso dai contratti di locazione stipulati con privati entro il 31 dicembre del 2014 con un preavviso di trenta giorni. Insomma la legge c’era. Ma, come ricorda Sergio Rizzo sul Corriere, andò così:

Ecco allora, soltanto sei giorni più tardi, spuntare un emendamento abrogativo presentato dalla senatrice del Pd Magda Zanoni. Subito sconfessato quando le polemiche erano scoppiate dal nuovo segretario del suo partito Matteo Renzi, che 48 ore dopo ha imposto di ripristinare la norma grillina nel decreto cosiddetto salva Roma. La faccenda sembrava dunque risolta: salvo poi scoprire che nella legge di Stabilità era stata introdotta una norma che esentava dal diritto di recesso statale gli stabili affittati alle amministrazioni pubbliche dai fondi immobiliari ma anche dai soggetti che in quei fondi avessero investito. Per il M5S, un chiaro assist a Scarpellini. Nelle ultime concitate ore del 2013, non poteva mancare nemmeno un colpo di scena: il Quirinale decide di non promulgare il salva Roma, diventato nel frattempo una indistinta marmellata delle norme più diverse e astruse.

Risultato? Altro Milleproroghe ma…

Dove però l’articolo 2, quello che avrebbe dovuto rimettere le cose a posto, contiene alcune sorpresine. La deroga alla clausola di recesso statale per gli immobili di proprietà dei fondi immobiliari e dei loro azionisti sparisce: ma per loro continua a non essere necessario il nulla osta del Demanio nel caso di rinnovo dei contratti, possibile per gli altri privati solo a patto che non esistano immobili demaniali alternativi disponibili. E poi un paio di altre cosucce. La prima, che lo Stato può esercitare il diritto di recesso non più entro il 31 dicembre 2014, ma soltanto entro il 30 giugno di quest’anno: sei mesi di tempo invece di dodici, dunque. La seconda, che è necessario un preavviso di sei mesi anziché di trenta giorni.

Ricapitolando: il 30 dicembre 2013, il diritto di recesso delle pubbliche amministrazioni relativamente ai contratti di locazione passivi doveva essere esercitato entro il 30 giugno 2014, con un preavviso di 180 giorni, senza alcuna eccezione con riguardo agli immobili di proprietà dei fondi costituiti ai sensi del DL n. 351/2001. A marzo 2014 si cambiò di nuovo ma il DL n. 151/2013 non fu convertito in legge entro i 60 giorni successivi alla pubblicazione e perse, quindi, efficacia. Ora con il dl Irpef la questione dovrebbe esser risolta una volta per tutte. Il preavviso può essere comunicato entro il 31 luglio 2014. Il recesso è perfezionato decorsi centottanta giorni dal preavviso. La norma può permettere di disdire in toto gli affitti onerosi.

LAVORATORI IN RIVOLTA – E ora? L’addio ai Palazzi Marini potrebbe non esser indolore. Da una parte ci sono i 355 lavoratori della società “Milano 90 srl” che prestano servizio all’interno della struttura.

 

E i dipendenti sono sul piede di guerra. Hanno paura di perdere lavoro per effetto dei tagli ai costi della politica.

 

(Video Fatto Quotidiano/ Manolo Lanaro)

 

SERVE OK DELL’AULA – Non solo: c’è un altro problema che i fautori del risparmio dovranno affrontare: l’approvazione dell’aula (calendarizzata verso il 24 luglio). I tempi sono stretti e solo dopo l’ok dell’emiciclo la decisione dell’addio agli affitti d’oro della Milano 90 diverrà effettiva. Altra questione è se il provvedimento verrà trascinato davanti alla Consulta o meno. Sarà così facile recedere da un contratto firmato, anche se è caro e in nome di una sana spending review? Il deputato Fraccaro recentemente sul quotidiano Il Tempo spiegò come la norma (prima dell’ok) passò prima il vaglio dell’avvocatura della Camera e poi la mano dei tecnici del Senato. In tutto questo affaire Scarpellini getterà facilmente la spugna?

(Copertina AP Photo/Pier Paolo Cito)

Share this article