Ogni mese 40 aziende italiane vogliono andare in Svizzera

La fuga delle aziende italiane verso la Svizzera prosegue a ritmo incessante. Ogni mese quaranta imprese del nostro paese segnalano il loro interesse a trasferirsi oltrefrontiera alle realtà competenti. Un fenomeno di migrazione aziendale di dimensioni imponenti, favorito in primo luogo dalla crisi che sta mettendo in difficoltà anche le aree più ricche del Nord Italia, come quelle dell’area metropolitana di Milano.

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FUGA IN SVIZZERA – Uno dei più importanti quotidiani svizzeri, TagesAnzeiger, segnala un’inchiesta pubblicata dal concorrente Neue Zürcher Zeitung sulla fuga delle aziende italiane verso la Confederazione Elvetica. Il dato più impressionante citato da NZZ è come ogni mese ben 40 aziende del nostro paese si interessino presso le rappresentanze imprenditoriali del Canton Ticino per trasferire i loro siti produttivi o le loro iniziative economiche in Svizzera. Un fenomeno che sta assumendo dimensioni imponenti, visto che dallo scoppio della crisi nel 2008 al suo inasprimento con la recessione iniziata nel 2011 le aziende italiane che si sono trasferite nella Confederazione Elvetica sfiorano le cinquemila unità. I giornali svizzeri sottolineano uno degli episodi simboli di questa immigrazione aziendale. Ad una giornata informativa organizzata a Chiasso, città di frontiera che confina con una delle più importanti città della Lombardia, Como, hanno partecipato ben 1207 imprenditori desiderosi di trasferire le loro attività nella Confederazione Elvetica.

 

AZIENDE VERSO LA SVIZZERA – Poco tempo fa un’analisi realizzata dal Servizio di informazioni economiche Orell Füssli (OFWI) aveva indicato in 4528 il numero di imprenditori italiani che avevano fondato nuove imprese in Svizzera. Le zone preferite per insediare le nuove attività imprenditoriali sono la città più grande del Canton Ticino, Lugano, dove dal 2008 al 2013 sono state create ben 1516 nuove aziende da imprenditori italiani. Altra meta che piace molto è Chiasso, con ben 543 imprese. Chiasso è una piccola cittadina al confine con il nostro paese, sede di un importante snodo ferroviario nel collegamento su ferro tra Italia e Svizzera. Secondo l’analisi proposta da OFWI il vantaggio tratto dalla popolazione locale è minimo, visto che gli imprenditori italiani utilizzano manodopera proveniente in gran parte dal nostro paese, che accetta condizioni salariali molto più basse rispetto a quelle dei residenti. Il Canton Ticino, come tutta la Svizzera del resto, ha costo della vita significativamente superiore rispetto all’Italia: oltreconfine salari da 2 mila euro  netti sono considerati bassi.

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LAVORARE IN SVIZZERA – Offrire simili retribuzioni ai lavoratori italiani che risiedono in Italia è però molto attrattivo, vista la penuria occupazionale che si riscontra anche nella Lombardia di questi anni. Il fenomeno delle imprese fondate da stranieri in Svizzera non è però solo limitato al Canton Ticino, tanto che negli ultimi anni quattro aziende su dieci sono state create da non elvetici. Secondo lo studio, gli immigrati più attivi sono i tedeschi. Nel 2013, secondo l’OFWI, gli imprenditori con passaporto germanico hanno fondato ancora 2238 imprese con complessivi 5708 nuovi impieghi. Dopo i tedeschi ci sono gli italiani, con 2446 nuove imprese e 5527 posti l’anno scorso – principalmente nel commercio all’ingrosso, nella gastronomia e nell’edilizia – di cui 1073 nel solo Ticino, 250 nel canton Zurigo e 152 nel canton Vaud. I francesi invece sono terzi in questa speciale graduatoria, con meno della metà dei posti di lavoro creati dagli imprenditori immigrati dall’Italia.

PROBLEMA FRONTALIERI – Le autorità del Canton Ticino beneficiano dell’ingresso dei capitali dal nostro paese, così come dalla fondazione di nuove imprese, che ampliano la base fiscale. Il direttore del Dipartimento dell’Economia e delle Finanze ticinese, la liberale Laura Sadis, esprime però a NZZ i suoi timori per la situazione. L’arrivo in massa di imprese e lavoratori italiani crea una fortissima pressione al ribasso sui salari dei residente. La Sadis sottolinea come la pressione della Lombardia sul mercato del lavoro ticinese sia enorme, con il dumping sulle condizioni di lavoro e di salario che è ormai all’ordine del giorno nel suo Cantone. Una situazione che necessita di un intervento da parte delle autorità federali, che però al momento non sembrano intenzionato ad accogliere le richieste mandate dal Ticino. L’accordo che disciplina i cosiddetti ristorni dei frontalieri, una somma pari a circa 50 milioni di euro che viene versata ai comuni italiani per le spese effettuate nei confronti di persone che pagano le tasse in Svizzera, non può essere disdetto unilateralmente da parte della Confederazione Elvetica. Uno stop alla richiesta arrivata dal Ticino.

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