Romano Prodi e il rapporto Nomisma che critica l’euro e l’Europa

Il 7 febbraio la società di consulenza e studi economici Nomisma di Bologna, da sempre legata all’area politica prodiana, ha presentato a firma del suo capo economista, il professore Sergio De Nardis, un rapporto sul riequilibrio europeo contenente una dettagliata analisi della situazione economica italiana e dell’Eurozona.


NON SOLO DEBITO PUBBLICO
– Il report inizia presentando il problema del risanamento finanziario incentrandolo finalmente non solo sul debito pubblico, ma soprattutto sull’indebitamento privato (vedi appunto il mio articolo) di natura prevalentemente estera verso gli altri paesi dell’Eurozona, in particolare la Germania, a causa degli squilibri competitivi delle differenti economie: “Ciò è stato vero nel primo decennio di vita dell’euro, quando ai passivi crescenti dei paesi periferici si è associato il rigonfiamento del surplus della Germania, con il corrispondente deflusso di capitali tedeschi verso le economie deficitarie”. Per capirci abbiamo visto come l’aumento dei flussi di capitali esteri verso l’Italia è andato su settori come il commercio e l’edilizia, ma il commercio non vendeva solo beni prodotti in Italia, ma anche esteri, e specificamente dei paesi della UE più competitivi sotto il profilo del prezzo.

uscire dall'euro rapporto nomisma 1

Se gli italiani comprano auto tedesche, usano cellulari finlandesi, bevono latte bavarese, mangiano carne francese e cioccolato belga e non esportano beni per un controvalore corrispondente, questi consumi devono essere pagati con del debito. Se i creditori a un certo punto dicono stop, ci sono due sistemi per riequilibrare la situazione: o si smette di consumare oppure si riallineano i prezzi in modo che i beni italiani ridiventino convenienti. Questo meccanismo mostra come siano inconcludenti tutte le proposte del “facciamo più deficit” o delle “patrimoniali redistributive”: i soldi distribuiti aumentando il debito pubblico o spennando il “maledetto riccastro” finirebbero in sostanziosa parte all’estero se non si sistemano i prezzi prima, aggravando solamente lo stato debitorio del nostro paese.


L’AUSTERITÀ –
Continua il rapporto: “Lo sforzo di aggiustamento è stato finora demandato esclusivamente ai paesi periferici, affetti da deficit nelle partite correnti. Esso si è tradotto in forti contrazioni delle domande interne di tali economie, deterioramenti dei mercati del lavoro, peggioramento delle condizioni sociali”. Come avete capito De Nardis sottolinea negativamente come il riequilibrio di cui parlavo è stato compiuto attraverso la diminuzione della domanda, e per farla diminuire si è agito sul reddito disponibile degli italiani (e spagnoli, e portoghesi, eccetera). Aumenti di tasse e tagli di trasferimenti pubblici, come le pensioni, hanno ridotto la capacità di spesa delle persone e portato anche aziende italiane che vendevano sul mercato interno a fatturare di meno e quindi a licenziare, e con disoccupazione, cassa integrazione e minori ricavi, i redditi diminuiscono ancora, in una spirale negativa che ha ben presto sì portato in pareggio la nostra bilancia commerciale con l’estero ma ha nel contempo colpito pesantemente anche tutti i nostri settori economici che vivevano sui consumi interni. Tale approccio viene ritenuto ingiusto in quanto “nei rapporti tra creditore e debitore il primo è tanto responsabile quanto il secondo nell’alimentare situazioni insostenibili” mentre invece si sono considerati “gli avanzi commerciali come univocamente rivelatori di condizioni virtuose, in contrapposizione alle dinamiche viziose sottostanti alle formazioni dei deficit”. Si è inoltre dimostrato sostanzialmente incapace di riequilibrare le posizioni debitorie fra i vari paesi dell’Eurozona: “Peraltro, il recente passaggio in territorio positivo delle partite correnti dei paesi periferici non è in grado di incidere in modo apprezzabile sullo stock di debito estero che essi hanno accumulato negli anni.”

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LA DISOCCUPAZIONE – Il riequilibrio condotto solo sui paesi debitori ha quindi prodotto non solo un crollo dei consumi interni, con le conseguenze che abbiamo visto, e che tutti viviamo, ma anche un calo dei tassi di inflazione fino a rasentare la deflazione (o deflazione piena come la Grecia) che anch’esso consente di assorbire gli squilibri di competitività fra i paesi dell’Eurozona, ma al prezzo di alta disoccupazione e con tempi che il report giudica per la Spagna fra i 12 e i 30 anni! Ma la parte più interessante è dove vengono analizzati la produttività, il costo del lavoro per unità prodotta (CLUP) ed il rapporto fra disoccupazione e saldo delle partite correnti dei paesi PIGS. La conclusione di De Nardis è che è vero che la Spagna ha migliorato sia i parametri della produttività e delle partite correnti, ma al prezzo di una disoccupazione molto superiore a quella italiana che, per “pareggiare” le altre performance, sarebbe dovuta essere invece che del 12 del 20%. Questo fa capire anche cosa vogliono dire tanti appelli a “fare come la Spagna” pubblicizzati anche da trasmissioni televisive di “sinistra” (sic!).

I RIMEDI – I rimedi proposti da De Nardis sono quelli di un riequilibrio che coinvolga anche i paesi creditori, che dovrebbero spingere la loro domanda interna e con lei l’inflazione, in modo da favorire sia l’importazione di beni dai paesi debitori, sia frenare le loro esportazioni. Del resto la migliore e più logica soluzione per “pagare i debiti” fra stati è sempre stata quella di vendere dei beni, non certo di pagare cash facendo patrimoniali o spremendo fino allo stremo le popolazioni. Purtroppo le risposte tedesche a queste richieste si riassumono ad oggi in una sola parola: NEIN.

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