L’Olocausto di gay, rom e disabili: l’altra faccia della Shoah

«Mio nonno fuggì dal treno prima di esser deportato», a ricordare un pezzo della sua famiglia è Walter, sinti, membro dell’associazione Opera Nomadi. Walter con tanti altri ha organizzato una fiaccolata ieri in memoria delle vittime dell’Olocausto da piazza dell’Esquilino Roma. Opera Nomadi, l’AVI (Associazione Vita Indipendente delle persone disabili), il Circolo di cultura Omosessuale “Mario Mieli”, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, l’ANED (Ass.ne Ex-deportati) e Claudio Procaccia della Comunità Ebraica hanno percorso le vie del centro fino a Via degli Zingari 54 per ricordare le “altre” vittime della follia della “razza ariana”: gay, disabili, nomadi. Anche loro sono stati deportati, anche loro sono stati caricati su convogli da Roma, anche loro non sono sopravissuti.

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RIMANERE NASCOSTI DIETRO UN MURETTO – «Il convoglio su cui era stipato mio nonno – spiega Walter – si fermò ad Avellino perché un “Pippo” (aereo ndr) bombardò le linee ferroviarie. Tanti scapparono dai vagoni. Nonno era con altre tre persone, si nascosero dietro un muretto. Uno di loro uscì poco dopo e fu raggiunto da una raffica di proiettili. Anche un altro uomo scappò e non ce la fece. Nonno rimase nascosto con una persona, l’unica rimasta. Riuscì a rimanere fermo per ore e si salvò. Quando me lo raccontava tremava». Il nonno di Walter era piemontese, raggiunse la Capitale solo nel dopoguerra. «Noi – spiega Walter – siamo nomadi sinti. Siamo cittadini italiani, siamo qui da sempre».

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STORIE ED EROI – Candele alla mano si raggiunge via degli Zingari 54 dove, come ogni anno, viene deposta una corona di fiori ai piedi della lapide che ricorda il comune sterminio patito dal popolo dei Rom/Sinti e dal popolo ebraico da parte del nazismo tedesco e del fascismo italiano. Si sfila in silenzio sotto la voce del megafono che ricorda storie di Roma ed eroi. Ci si ferma solo davanti alla casa di don Pietro Pappagallo, prete del Quadraro che durante l’occupazione soccorse (e nascose) ebrei, soldati sbandati, antifascisti ed alleati in fuga. Fu arrestato dalle S.S., dopo la delazione da parte della spia tedesca Gino Crescentini. Anche mentre stava in carcere il prete condivise il suo cibo con i detenuti. Fu eliminato assieme a tanti romani il 24 marzo del 1944 alle Fosse Ardeatine. La sua figura ispirò Rossellini in Roma città aperta. Presenti al mini corteo anche l’assessore alle Politiche Educative Cattoi, la Presidente del Municipio I Sabrina Alfonsi e Cutini, assessore alle Politiche Sociali.

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IL TRIANGOLO DELL’ORRORE – Ben 50.000 persone sono state uccise per la loro sessualità nei campi nazisti. Ci furono deportati anche a Roma. Gli omosessuali erano considerate per il regime persone «sterili» ed «egoistiche», una minaccia per le politiche demografiche di potenziamento del popolo. Una volta arrivati nei campi erano individuati con il triangolo rosa rovesciato sopra le loro divise (come dettava il paragrafo 175 del codice penale tedesco). Il tasso di mortalità tra gli internati omosessuali fu di circa il 60%, contro il 41% dei deportati politici e circa il 35% dei Testimoni di Geova, seconda solo al tasso di mortalità degli internati di origine ebraica. Spesso i gay venivano usati come cavia per individuare il “gene dell’omosessualità” e poter così guarire i bambini ariani che contraevano “la malattia”. Carl Vaernet, medico SS fu uno dei più crudeli fautori di questa tesi. Usò gli omossessuali nel campo di Buchenwald per una cura a base di dosi massicce di testosterone: circa l’80% degli internati sottoposti alla esperimento morì.

«Anche gli omosessuali sono vittime dimenticate del regime nazista. Quanti siano stati condannati e internati nei lager non è noto , sia per la distruzione di parte degli archivi, sia perché molti di loro come altre categorie di perseguitati dai nazisti, sono stati catturati dalla Gestapo e fatti sparire in base al decreto Nacht und Nabel (Notte e Nebbia) emanato da Hitler il 7 dicembre 1941, con lo scopo di eliminare i “soggetti pericolosi per il Reich”, senza lasciare traccia»
(Giorgio Giannini in Vittime Dimenticate)

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(Musiche di Barabàn “Il Violino di Auschwitz” )

MORTE COMPASSIONEVOLE E STERILIZZAZIONE – Furono settantamila i disabili uccisi da parte del Terzo Reich. Accadde tutto nella fase iniziale della Shoah, con ostracismo, internamento, deportazione ed eliminazione fisica. Sotto il nazismo il 18 Ottobre 1935 fu emanata la legge sulla salute coniugale, che impediva unioni e procreazione tra persone disabili. Per difendere la purezza della razza ariana si osservava la sterilizzazione verso questa categoria di persone. Basta ricordare Aktion T4, il Programma nazista di eutanasia, che sotto responsabilità medica prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche. Nel luglio 1939 occorre ricordare il dottor Leonardo Conti, Reichsgesundheitsführer («Leader della Salute del Reich») e segretario di stato alla Sanità presso il Ministero degli Interni all’incontro che designò la creazione di un registro nazionale di tutte “le persone ospedalizzate affette da malattie mentali e disabilità fisiche”.

COME CAVIE DA LABORATORIO – Circa 500 mila furono invece i nomadi uccisi dalla follia dell’Olocausto. Non esiste su di loro una cifra precisa, ricostruita solo attraverso i registri e le deportazioni. I Rom furono una delle etnie che il regime nazista e gli alleati dell’Asse presero di mira perché definita “una razza inferiore”. Come citano i dati forniti dall’ United States Holocaust Memorial Museum:

Le autorità tedesche deportarono comunque alcuni Zingari dalla Grande Germania alla Polonia nel 1940 e 1941. Nel maggio del 1940, le SS e la polizia deportarono nel distretto di Lublino, che si trovava all’interno del Governatorato generale, circa 2.500 Rom e Sintiprovenienti per la maggior parte da Amburgo e da Brema, e li rinchiusero nei campi di lavoro. Le condizioni nelle quali i prigionieri furono costretti a vivere e lavorare si dimostrarono letali per molti di loro. Il destino di quelli che sopravvissero è ancora un mistero: è probabile che le SS li abbiano trucidato nelle camere a gas di Belzec, Sobibor, o Treblinka. Nell’autunno del 1941, le autorità di poliziatedesche deportarono 5.007 Sinti e Zingari Lalleri dall’Austria al ghetto ebraico di Lodz, dove furono rinchiusi in un settore apposito e separato dal resto del ghetto. Quasi metà dei Rom morì durante i primi mesi successivi al loro arrivo a causa della mancanza di cibo, abitazioni adeguate, materiale per riscaldare e medicine. Durante i primi mesi del 1942, le SS tedesche e i funzionari di polizia deportarono nel campo di sterminio di Chelmo tutti coloro che erano riusciti a sopravvivere alle terribili condizioni del ghetto. Lì, insieme a decine di migliaia di Ebrei – anch’essi provenienti dal ghetto di Lodz – i Rom furono mandati a morire nelle camere a gas, avvelenati con il monossido di carbonio.

Il “compito” SS si concluse nel dicembre del 1942, quando Himmler ordinò la deportazione di tutti i Rom che ancora vivevano nella Grande Germania. Si salvava solo chi veniva considerato solo “puro sangue zingaro” da generazioni ed era già integrato con la società (tra i 5 e 15 mila cittadini). Almeno 23 mila Rom, Sinti e Lalleri furono invece deportati ad Auschwitz. Il totale? Circa 35 mila zingari, grandi ed adolescenti, sono finiti nei campi per le “ricerche” ed “esperimenti” dei tedeschi. Ad Auschwitz non si salvò quasi nessuno:

Nel maggio del 1944, gli amministratori del campo decisero di trucidare tutti gli Zingari. Le guardie delle SS circondarono il settore nel quale vivevano i Rom, per impedire a chiunque di fuggire. Quando fu loro ordinato di uscire, i Rom si rifiutarono perché erano stati avvertiti delle intenzioni dei Tedeschi e si erano armati di tubi di ferro, vanghe e altri attrezzi usati normalmente per il lavoro. I capi delle SS decisero di evitare lo scontro diretto con i Rom e si ritirarono. Dopo aver trasferito 3.000 Rom ancora in grado di lavorare ad Auschwitz I e in altri campi di concentramento in Germania -tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate 1944- il 2 agosto le SS deportarono i rimanenti 2.898. La maggior parte di quei prigionieri era costituita da malati, anziani, donne e bambini. Furono uccisi praticamente tutti nelle camere a gas di Birkenau. Un piccolo gruppo di ragazzini che erano riusciti a nascondersi durante le operazioni di trasferimento fu catturato e ucciso nei giorni successivi. Almeno 19.000 dei 23.000 Rom che furono inviati ad Auschwitz morirono nel campo.

LA DISINFESTAZIONE DEI GIORNI NOSTRI – Lungo via degli Zingari ieri ci si è fermati per porre sul muro qualche candela. «Come ho trovato Roma? Io da qui sono scappata, sono romana doc, la mia famiglia è qui da 500 anni. Purtroppo siamo troppi e troppo ignoranti, è come cavare l’acqua da un secchio bucato. L’importante non è di che associazione sei ma quanto conta esser presenti qui. Per la memoria, per cose che non devono più ripetersi», spiega Alba Montori della fondazione Massimo Consoli. Brucia ancora nella testa dei sinti quella “disinfestazione” richiesta qualche giorno fa dalle madri di una scuola a San Lorenzo dopo una mostra a cura di Opera Nomadi nella struttura. «Stavamo facendo una manifestazione culturale – spiega Walter – esponevamo pentole, abiti della nostra cultura. Alcune mamme della scuola che ci ospitava si sono lamentate. Ci incolpavano di aver sporcato l’ambiente. Io sa, non mi fido dei pregiudizi. Così ho scattato per sicurezza delle foto prima della mostra. Ecco, abbiamo dimostrato di non aver sporcato nulla e di aver lasciato il posto più pulito di come l’avevamo trovato prima». Integrazione mancata? Walter preferisce parlare di chiusura mentale: «Succede spesso al centro, in periferia a Roma ci sono meno problemi. Ci sono famiglie che prendono con noi il caffè e i bambini crescono insieme. Per questa storia? Io francamente da italiano mi sono vergognato». Erano “tutti italiani” i deportati negli anni ’40. Tutti uomini. Così come lo siamo oggi.

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