La Chiesa farà diventare beato un assassino

20/02/2011 di Redazione

Il criminale Jacques Fesch, condannato a morte, salirà agli onori degli altari. Unico precedente: il Buon Ladrone crocifisso sul Calvario accanto a Gesù

Dopo il processo diocesano celebrato a Parigi, stanno per arrivare a Roma gli atti della causa di beatificazione di Jacques Fesch, un giovane francese ghigliottinato 53 anni fa per aver ucciso un poliziotto e ferito un cambiavalute durante una rapina.

UN SOLO PRECEDENTE, 2000 ANNI FA – Nella Chiesa Cattolica c’è un solo precedente di condannato a morte per delitti comuni salito all’onore degli altari, ed è quello del Buon Ladrone crocifisso sul Calvario accanto a Gesù. Questo spiega l’estrema prudenza con la quale è stata affrontata la causa introdotta a circa 40 anni dalla morte di Fesch, cioè dopo una lunghissima riflessione, dall’allora arcivescovo di Parigi, e autorizzata dalla Congregazione delle Cause dei Santi alla quale compete ora la seconda fase del processo. All’atto di aprire la causa, il card. Lustigier fece precisare dal suo portavoce che “dichiarare qualcuno santo non significa per la Chiesa far ammirare i meriti di questa persona ma dare l’esempio della conversione di qualcuno che, quale che sia il suo percorso umano, ha saputo ascoltare la voce di Dio e convertirsi. Non esistono peccati tanto gravi da impedire che Dio raggiunga l’uomo e gli proponga la salvezza”. Parole analoghe il porporato le aveva pronunciate il 23 novembre ’86, in un discorso ai detenuti della Sante’, evocando per la prima volta in pubblico la possibile beatificazione dell’omicida.

ASSASSINO CONVERTITO – “Beatificare Jacques Fesch non significa riabilitarlo sul piano morale, nè dargli un certificato di buona condotta o un’onorificenza tipo la Legion d’Onore. La sua conversione è d’ordine spirituale. Beatificare Jacques Fesch sarebbe riconoscere che la comunità cristiana può pregare qualcuno che sta al lato di Gesu'”, ha scritto il teologo Andrè Manaranche in risposta alle polemiche sollevate in Francia all’inizio della causa e che da in questi anni ciclicamente sono state riproposte dai media. Il 2 dicembre 2009 il card. Angelo Comastri ha accompagnato in Vaticano da Benedetto XVI la sorella di Feschi, Monique, che confida al Papa: “Con mio fratello ci intendevano alla grande. Di otto anni piu’ grande, sono stata sua madrina di battesimo e andandolo a trovare in prigione ho seguito da vicino la sua straordinaria conversione”. Il card. Comastri ha poi raccontato all’Osservatore Romano: “E’ stato un detenuto, quando ero cappellano a Regina Coeli, a farmi conoscere la storia affascinante di Fesch, una testimonianza unica: giovane sbandato di ricca famiglia, diventa assassino e viene condannato a morte. Aveva ventisette anni. In carcere vive una conversione radicale, folgorante, raggiungendo alte vette di spiritualita'”. In Italia, nei giorni scorsi, e’ stata Radio Maria a raccontare la storia di questo sfortunato giovane di origine belga, rampollo di una famiglia dell’alta borghesia.

LA RAPINA – Il padre Georges, gia’ direttore d’un importante istituto di credito a Bruxelles, dirigeva una banca a Saint Germain en Laye, vicino Parigi. Ateo e di temperamento autoritario non capiva le insicurezza di suo figlio Jacques, sensibile e inquieto, tanto da negargli l’aiuto economico che gli chiedeva per intraprendere una navigazione solitaria e fuggire dalle conseguenze di un fallimento commerciale e dalle responsabilità della famiglia che giovanissimo si era formato. Per procurarsi ugualmente quei fondi, il 24 febbraio 1954 il giovane entra armato a Parigi nel negozio di un cambiavalute, che ferisce alla testa con il calcio della pistola. Poi, tentando di fuggire, uccide senza volerlo un poliziotto: il colpo parte senza che abbia estratto il revolver dalla tasca. Incarcerato, i genitori trovano la forza di andargli a far visita e consolarlo. E quando la madre apprende con terrore che il figlio rischia la ghigliottina, giunge ad offrire a Dio la propria vita, affinche’ il tanto trascurato figlio possa almeno “morire bene”.

L’ESPERIENZA MISTICA – Mentre la giustizia degli uomini, fa il suo corso con i processi, gli interrogatori, le accuse del pm e i piani di difesa, il giovane nella solitudine della sua cella prende a leggere riviste, classici e romanzi, che gli passa il carcere. Altri libri arrivano dalla famiglia, e poi dal cappellano e dall’avvocato Baudet, un convertito divenuto terziario carmelitano. E’ colpito dalle figure di Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, e Teresa del Bambin Gesù come dalla “Divina Commedia”. Dopo un anno di detenzione ha una esperienza mistica. “Quella sera – scrive in una lettera destinata alla figlia Veronique che allora aveva solo 6 anni – ero a letto con gli occhi aperti, e soffrivo realmente, per la prima volta in vita mia, con un’intensità rara, per ciò che mi era stato rivelato riguardo a certe cose di famiglia. E fu allora che un grido mi scaturì dal petto ‘Mio Dio!’ e istantaneamente, come un vento impetuoso che passa, senza che si sappia donde viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola”.

L’ESECUZIONE DELLA CONDANNA – E ad un amico confida in un’altra missiva: “ora ho veramente la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. Ho la pace e ho dato un senso alla mia vita, mentre prima non ero che un morto vivente”. Isolato in una piccola cella comunica la sua fede con lettere divenute poi oggetto di riflessione da parte dei giovani cattolici francesi, specie negli oratori salesiani. Attende l’esecuzione in preghiera, accettandola come un’occasione di grazia. Il presidente della Repubblica Francese Renè Coty, pur respingendo la domanda di fermare il boia, fa sapere: “Gli stringo la mano per ciò che egli è diventato”. Alle 5,30 del primo ottobre 1957 le guardie carcerarie che sono venute a prenderlo per l’esecuzione capitale, lo trovano in ginocchio e in preghiera accanto al letto rifatto. “Signore non abbandonarmi, io confido in te!”, le sue ultime parole.

(agi)

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