Il Corriere della Sera e la bicicletta sul marciapiede

Se le danno di santa ragione. Pierluigi Battista e Maria Laura Rodota’ parlano dei ciclisti da marciapiede sul Corriere della Sera, e tra domenica e lunedì (con la risposta di un lettore) scatenano un bel dibattito. L’argomentazione della Rodota’:

 

Non siamo bastardi senza gloria per indole o per partito preso, noi ciclisti da marciapiede. Cioè tutti quelli che usano la bici veramente, a Milano e a Roma e altrove. Siamo quasi sempre gente altrimenti corretta. Siamo meno pericolosi – per dire – di quelli che denunciano la nostra maleducazione e poi parlano nonstop al cellulare in auto, rischiando un paio di vite a telefonata. A proposito – se non si fosse capito – noi saliamo sui marciapiedi per non morire; non per sfrontatezza, ribellismo generico, scarso rispetto dei pedoni. Che invece stimiamo, e tentiamo di evitare in tutti i modi. Però adesso sta scoppiando una guerra tra poveri, e ci stiamo tutti radicalizzando. I veterani come i neofiti/e, che pedalano perché è bello ma anche perché sono in spending review. Per risparmiare sulla palestra o sulla benzina. E non hanno scelta, nelle nostre città, spesso, i mezzi pubblici non aiutano; di certo non aiutano i ciclisti: Se si è dietro un bus che si ferma conviene salire sul marciapiede, piuttosto che superare e forse venire uccisi, oppure venire uccisi lentamente dallo scappamento. E forse, per sopportarci, i pedoni potrebbero fare due conti. Ogni ciclista in più è un motore inquinante in meno o un posto a sedere in più sui mezzi. Ogni potenziale ciclista che vorrebbe usare la bici ma teme insulti e Suv è un’auto in più che gira e una forza civilizzante in meno tra la marmaglia ciclistica (quelli che rinunciano sono tipi miti; migliorerebbero la nostra immagine). In ogni città – New York inclusa, ciclistizzata dal sindaco Bloomberg, guardate cosa è successo a Nicole Kidman – ci si può scontrare. Ma a Milano e Roma va peggio. I ciclisti sono senza diritti e senza ciclabili. Si arrangiano per necessità e passione, però si incattiviscono. Però. Ciclisti, pedoni, Comuni non dovrebbero pensare a Manhattan, ai paparazzi e alle dive. Casomai, informarsi su Seattle, dove ciclisti e pedoni hanno sempre la precedenza; e dove i consulenti ciclisti di un sindaco biciclettaro hanno studiato percorsi che sfruttano le pendenze più dolci; e tantissimi pedalano, in una città più ripida di Roma. O anche valutare città americane più squattrinate e sfrontate. Dove, sui marciapiedi, trionfano i cartelli «Share the Road», condividete la strada; ciclisti e pedoni lo sanno e si adattano, più o meno (i percorsi ciclabili sono meglio).

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La risposta di Pigi:

 

Sono un ex ciclista, ma solo perché osteopati, fisiatri e fisioterapeuti dicono unanimemente che per i lancinanti dolori alla zona lombo-sacrale il pedalare non è il trattamento migliore. È l’unica ragione che mi ha allontanato dalla bicicletta. Non c’è malanimo o pregiudizio, dunque, se si chiedono e si pretendono dai ciclisti in città comportamenti rispettosi, non prepotenti, non arroganti, nei confronti soprattutto di chi cammina. Invece prevale in molti ciclisti dell’ultima ora una specie di presunzione di extra-territorialità. Andare sui marciapiedi non si fa: ma loro lo fanno lo stesso, certi dell’impunità. Sfrecciare a grande velocità quando c’è densità di traffico e di persone che semplicemente passeggiano non si fa: eppure le biciclette si producono in acrobatici zig zag tra i passanti. Poi bisognerebbe pure intendersi su cosa vuol dire «zone pedonalizzate». Sulle zone «pedonalizzate» ci vanno le biciclette, ma i pedoni vanno a piedi, non in bicicletta. Quando si fanno notare queste cose, la frangia dei ciclisti ultrà replica spesso nel più puerile dei modi: «E le automobili, allora?». Come se la presenza di un Nemico immaginario dovesse giustificare ogni sopraffazione concepita e attuata a due ruote? Pedalando vorticosamente, vado addosso a qualcuno: e le automobili allora? Raggiungo velocità notevoli: e le automobili allora? Intanto, però, le automobili, almeno questo, non fanno la gimcana sui marciapiedi. E poi, perché mai un automobilista dovrebbe minimizzare i danni prodotti da un altro automobilista? Non esiste il sindacato di chi guida le automobili, non si capisce perché dovrebbe nascere la corporazione di chi pedala. E dunque? E dunque chi va in bicicletta è come tutti gli altri, e deve sottoporsi alle regole universali, cioè erga omnes, automobilisti, ciclisti e pedoni. Chi esce di casa con un bambino che va a scuola non deve vivere nell’angoscia. E non si può sopportare che un pericolo silenzioso, sibilante, imprevedibile, senza il rombo di un motore ma proprio per questo più insinuante e insidioso, venga a turbare la normalità della città e dei cittadini. Non esiste nessun diritto al marciapiede selvaggio: dovrebbe essere scontato, speriamo che il neo-sindacato dei ciclisti non voglia difendere l’indifendibile.

Infine, la lettera di un lettore di oggi:

 

Caro direttore, ho letto sul Corriere la disputa tra ciclisti (Maria Laura Rodotà) e pedoni (Pierluigi Battista). Ho subito pensato che nell’anno 2013 dibattere su un tema già risolto in tanti Paesi europei ti dà la misura di quanto siamo indietro nel tempo. Anch’io vado in bici qui a Milano, anzi l’ho prescelto come mio mezzo di locomozione in città. Ammetto, come sostiene Battista, che molti, me compreso, talvolta vanno sui marciapiedi ma non mi pare la questione di fondo. Non voglio assumere i panni del solito piagnone che si lamenta come fanno in genere tutti quelli che vogliono sostenere una loro battaglia. Tutt’altro. Io, invece, sono arrabbiato e ne spiego i motivi. Metti un giorno per strada a Milano. Percorri viale Piave o viale Montenero. Auto in sosta sulla destra e linee del tram a sinistra. Lo spazio è ridottissimo. Il povero ciclista (ha ragione la Rodotà) rischia la pelle. Ci sono due tipi di automobilisti. Quelli che cominciano a strombazzare il clacson per dirti «amico, vai più veloce» come se al posto dei pedali e delle gambe avessi un motore pronto ad accelerare. Ti urlano di tutto e ti insultano… Oppure quelli che ti passano a un centimetro dalla spalla col rischio di investirti. I camioncini e i Suv sono specialisti in questo servizio. E non vale lamentarsi (giustamente, per carità) dei ciclisti sul marciapiede perché quel magico spazio è occupato quasi interamente da vespe, motorini e motociclette di gente che va al lavoro e ritiene un diritto acquisito lasciare il mezzo in quel posto oppure va a fare la spesa al supermercato. Come mai i vigili urbani, così solleciti in altre occasioni, non intervengono per far sgomberare i marciapiedi? Non vorranno mica fare la multa al ciclista che disturba il pedone? Piuttosto intervengano su chi invade le piste ciclabili con il motorino o chi fa carico e scarico parcheggiando negli spazi assegnati alle biciclette. Milano è una città con pochissime piste ciclabili. Vanno bene i grattacieli, va bene il ticket nel centro storico ma vogliamo diventare più europei (come Monaco di Baviera per esempio) visto che avremo l’Expo nel 2015, costruendo chilometri e chilometri di piste ciclabili? Questa città è attrezzata, organizzata, efficiente, è nelle condizioni migliori (è tutta in pianura) per favorire l’uso della bicicletta. La voglia dei milanesi è così forte che lo testimonia il successo di BikeMi, il servizio di bici in affitto offerto dal Comune. Insomma, invece di dividerci su una questione così importante per la vita quotidiana facciamo uno sforzo per essere tutti più civili. (Antonio De Rosa)

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