Craxi, Andreotti e i servizi segreti: chi portò al potere il presidente che affama la Tunisia?

Speriamo che i giovani tunisini che manifestano contro il governo del presidente Ben Ali non si ricordino mai chi lo ha insediato.

Continuano le rivolte di piazza in Tunisia e nel Maghreb. La situazione economica dei due paesi coinvolti nelle proteste di questi giorni non accenna a miglioramento e per le strade di Tunisi e dell’Algeria i giovani, laureati, diplomati, senza futuro dei due paesi manifestano ormai da quasi un mese, in maniera anche violenta, contro il carovita, l’inflazione e la mancanza di possibilità, di concreto futuro che il drammatico calo del potere d’acquisto comporta.

TUNISIA – In Tunisia appare vigere la situazione di gran lunga peggiore delle due. Nei giorni scorsi avevamo raccolto la testimonianza del collettivo di attivisti informatici Anonymous, che, muovendo dall’insegnamento di Julian Assange e di Wikileaks, sta facendo di tutto per forzare il blocco informatico imposto dal governo del presidente tunisino Ben Ali ai manifestanti tunisini: senza quel blocco, infatti, le notizie sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo che parlano di decine di morti sarebbero arrivate molto prima. Secondo una radio locale, infatti, le vittime in Tunisia sarebbero oltre 50 nelle ultime 48 ore. Così, una parte importante dei problemi dei giovani tunisini sarebbero da imputare al governo del presidente Ben Ali, che ha creato le condizioni economico-sociali di questa rivolta, affamando il paese – secondo i manifestanti – ed avrebbe poi alzato un muro informatico per impedire l’uscita di informazioni dal paese.

IL PRESIDENTE BEN ALI – Zine El-Abidine Ben Ali prima di essere il presidente della repubblica Tunisina, è stato un militare.

Dopo aver gestito le forze militari del ministero della difesa dal 1964 al 1974, il generale Ben Ali fu promosso, nel 1977, a direttore generale della Sicurezza Nazionale per il Ministero dell’Interno, carica che occupò fino all’aprile del 1980, quando a seguito degli avvenimenti di Gafsa occupò il posto di ambasciatore di Tunisia in Polonia. Tornato di nuovo a capo della Sicurezza Nazionale per il Ministero dell’interno, stavolta con poteri di governo, il primo ottobre 1987 Ben Ali fu nominato Primo Ministro e successore costituzionale del Presidente Habib Bourguiba.

Riassunto, al solito, di Wikipedia. Poi, il golpe.

Dopo sole cinque settimane a capo del governo Ben Ali depose il presidente Bourguiba facendolo giudicare dai medici inidoneo per senilità (agevolato in questo colpo di Stato da alcuni servizi segreti tra cui il SISMI[1]), e fu dichiarato Presidente della Repubblica il 7 novembre 1987.

Un attimo: il Sismi?

IL RUOLO DELL’ITALIA – Già. Speriamo che i giovani tunisini in manifestazione non si ricordino mai chi ha contribuito a ridurli fra fame e povertà. Perchè, secondo le notizie dell’epoca e secondo una versione mai smentita del tutto, potremmo essere stati noi: l’Italia. Lo affermava addirittura uno dei vertici del Sismi dell’epoca: il governo Craxi, per tutelare gli interessi energetici italiani in Tunisia, non avrebbe esitato nel promuovere il golpe che portò Ben Ali al governo del paese.

Sette novembre 1987, Tunisi. Nel Palazzo di Cartagine il nuovo leader Ben Alì si insedia alla presidenza della repubblica nordafricana. Durante la notte è succeduto in maniera incruenta al vecchio Habib Bourghiba, destituito con un certificato medico di “incapacità psicofisica”. Sei ottobre 1999, ore 20.38, commissione Stragi del Parlamento italiano. Depone Fulvio Martini, per sette anni a capo del Sismi sotto i governi Craxi, Fanfani, Goria, Andreotti. Si discute del caso Moro piuttosto che delle carte del Kgb, quando Martini si rivolge al presidente Pellegrino: “Se noi passassimo in seduta segreta potrei raccontare una cosa…”. Pellegrino dispone ventidue minuti prima delle nove la “segreta”. E l’ex capo del servizio militare racconta a sorpresa: “Negli anni 1985-1987 noi organizzammo una specie di colpo di Stato in Tunisia, mettendo il presidente Ben Alì a capo dello Stato, sostituendo Burghiba che voleva fuggire”.

E’ stata Repubblica, negli anni ’90, a riuscire a venire in possesso dei documenti della seduta segreta della commissione Stragi. Che dimostrerebbero un nostro diretto coinvolgimento nel golpe di Tunisi.

Un cambio della guardia che già all’epoca dell’insediamento di Ben Alì aveva destato più d’un sospetto. Dunque in Tunisia l’Italia non si limitò solo a orientare politicamente le scelte del paese africano, puntando sui buoni rapporti storici tra i due paesi o sulle leve finanziarie ed economiche. Secondo le dichiarazioni di Martini, il nostro paese mise in atto un golpe per estromettere dal potere un leader malato e pericoloso per la stabilità dell’intera area maghrebina e porre al comando un presidente gradito all’Italia. Un vero colpo da maestri, nel suo genere, quello di Martini e dei suoi. “Io evidentemente non posso scendere nei particolari”, dice ai membri della Cmmissione l’ammiraglio, “essendo ancora Ben Alì presidente della repubblica tunisina”. Lo scenario del golpe Martini lo ha descritto nel suo recente libro “Nome in codice: Ulisse”. Senza naturalmente fare riferimenti a ciò che effettivamente avvenne, l’ex capo del Sismi descrive con un ampio giro di parole quello che oggi sappiamo essere stato un golpe organizzato dall’Italia in un paese straniero. Ci fu, dice Martini, “un trasferimento di poteri tranquillo e pacifico”. Il cui merito, egli afferma, va soprattutto a due persone: Bettino Craxi e Giulio Andreotti. A partire dal 1985 si era creata nella regione “una situazione politico-diplomatica abbastanza complessa”. Si era aperta “una questione di successione al vertice della repubblica tunisina” non facilmente risolvibile. “Si trattava di procedere alla sostituzione di Bourghiba. Bourghiba”, racconta l’ex ammiraglio, “era stato il simbolo della resistenza contro i francesi, ma era un uomo di età molto avanzata e non era più nelle condizioni fisiche e mentali di guidare il suo paese”. Il vento dell’integralismo islamico che comincia a scuotere il Nord Africa arriva a farsi sentire anche in Tunisia. Bourghiba, ricorda Martini, reagisce ma in maniera “un po’ troppo energica”. “Minacciò di fucilare un certo numero di persone e fu subito chiaro che una reazione del genere avrebbe portato a sovvertimenti suscettibili di pesanti riflessi negativi anche nei paesi vicini”.

Il presidente Bourghiba, insomma, tendeva a fare quel che riteneva opportuno. Un po’ troppo, secondo i vertici italiani, che dovevano tutelare gli interessi del paese nel Maghreb. E così, i servizi segreti passano all’azione.

All’inizio del 1985 mi chiama Bettino Craxi, presidente del Consiglio. Poco prima era stato in Algeria, dove aveva incontrato il presidente Chadli Benjedid e il primo ministro pro tempore, non ricordo chi fosse…” (il primo ministro pro tempore di Chadli era Abdel Hamid Brahimi, ndr). Craxi mi dice: ammiraglio, lei deve andare in Algeria, deve incontrare il capo dei loro servizi. Io gli rispondo: presidente, io in Algeria non ci vado. I servizi segreti algerini sono tra i più attivi nell’organizzare e armare i terroristi palestinesi. Il Sismi in quegli anni non aveva contatti con l’Algeria, con i libici, con la Siria. Non avevamo contatti con i servizi che appoggiavano la galassia delle organizzazioni terroristiche palestinesi. Craxi mi ordinò: lei deve andare in Algeria, si cauteli ma vada lì”.(…) Naturalmente io eseguo le direttive del governo: non avevamo rapporti diretti col servizio algerino, un servizio unico controllato dai militari. Perciò chiamai l’ambasciata a Roma e dopo pochi giorni col mio aereo atterrai ad Algeri. Mi fecero parcheggiare a fondo pista, lontano da tutti e da tutto. Rimasi a parlare fino a notte fonda con il capo dei loro servizi, e da allora avviammo un dialogo che aveva un grande obiettivo: evitare che la destabilizzazione crescente della Tunisia portasse gli algerini a un colpo di testa. L’Italia offriva aiuto all’Algeria, e in cambio chiedeva aiuto all’Algeria nel controllo del terrorismo in Italia”. (…) “Sì. Da quel momento iniziò una lunga operazione di politica estera in cui i servizi ebbero un ruolo importantissmo. Alla fine individuammo il generale Ben Ali come l’uomo capace di garantire meglio di Bourghiba la stabilità in Tunisia. Da capo dei servizi segreti, poi da ministro dell’Interno Ben Alì si era opposto alla giustizia sommaria che Bourghiba aveva intenzione di fare dei primi fondamentalisti che si infiltravano nei paesi islamici. Dopo la condanna a morte di 7 fondamentalisti, Bourghiba voleva altre teste. Noi proponemmo la soluzione ai servizi algerini, che passarono la cosa anche ai libici. Io personalmente andai a parlare con i francesi…”.

Questi sono stralci dell’intervista che il generale Martini accettò di rilasciare, sempre a Repubblica, ai tempi della rivelazione della verità sul golpe tunisino.

Poco dopo queste rivelazioni, comunque, arrivarono le smentite degli esponenti politici coinvolti nelle rivelazioni del vertice del Sismi. Bettino Craxi, dall’esilio – guarda guarda – in Tunisia, cercò di essere il più categorico possibile. Giulio Andreotti, per suo conto, a mezza bocca, non smentì e confermò, confermò e non smentì.

Il presidente del Consiglio di allora, Bettino Craxi – che, com’è noto, oggi risiede in Tunisia (ad Hammamet) – è categorico: «Non vi furono manovre o interferenze italiane negli avvenimenti che, nel 1987, portarono all’elezione del presidente Ben Alì. Ogni altra versione sarebbe priva di qualsiasi fondamento». In vena di battute invece il ministro degli Esteri dell’epoca Giulio Andreotti: «Francamente non ricordo nulla di simile. Preferirei non commentare». Poi però aggiunge: «L’unica cosa che ricordo è che accompagnai il presidente della Repubblica in Tunisia, proprio in quel periodo. Trovammo un Bourghiba in condizioni fatiscenti. Quindi quando seppi che era stato destituito la cosa non mi meravigliò affatto».

Così, allora, sul Corriere della Sera.

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