Rio 2016, c’è Yusra Mardini, la nuotatrice siriana (rifugiata) che ha salvato la vita di 20 persone

Non solo storie di sport, vissute nelle piscine e nelle palestre, sui campi erbosi o sulle pedane di tiro. Un’olimpiade porta con sè anche storie di straordinaria umanità, vissute nei luoghi più difficili del mondo, quelli della miseria, della schiavitù, della guerra. A ricordarcelo è l’esperienza di Yusra Mardini, atleta siriana (e portabandiera) della squadra dei rifugiati di Rio 2016 che da adolescente ha sfruttato le sue grandi doti di nuotatrice e rischiato la vita per salvare quella di altre 19 persone.

Yusra ha 18 anni e domani parteciperà alle batterie dei 100 metri stile libero (dopo aver gareggiato nei 100 farfalla). Era una nuotatrice di talento già a Damasco, negli anni in cui la capitale siriana cominciava ad essere distrutta dalla guerra civile. Quando i sogni di giovani ambiziosi cominciavano ad essere spazzati via da esplosioni di bombe e colpi di arma da fuoco. L’escalation di disordini e scontri nel paese la costrinse ad allenarsi in piscine semidistrutte, con tetti sfondati in tre o quattro punti.

 

 

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Quando Damasco è divenuta ancora più instabile e insicura con la sorella Sarah la nuotatrice ha deciso, la scorsa estate, di lasciare il paese e affrontare un viaggio verso altre terre. Le due ragazze hanno raggiunto prima il Libano e la Turchia, per poi tentare di raggiungere la Grecia. È stato proprio quel viaggio verso i confini ellenici a rivelarsi quasi fatale per Yursa e i suoi compagni di viaggio. Trenta minuti dopo la partenza dalla Turchia, il motore della barca che trasportava 20 persone si è fermato. A quel punto Yusra, Sarah e altri due nuotatori non si sono persi d’animo, decidendo di gettarsi in mare e nuotare per tre ore in mare aperto verso l’isola di Lesbo, impedendo che l’imbarcazione si rovesciasse, trainandola verso la terraferma. «Eravamo gli unici quattro che sapevamo nuotare, avevo una mano alla corda attaccata alla barca e muovevo le gambe e un braccio, sono stata tre ore e mezza in acqua fredda», ha raccontato la ragazza ricordando il viaggio. «Senza il nuoto non sarei in vita, è un ricordo positivo per me». Dopo l’esperienza di Lesbo, Yusra Mardini e Sarah nel loro viaggio verso il cuore dell’Europa hanno continuato a spostarsi, varcando i confini di Macedonia, Serbia, Ungheria, raggiungendo poi l’Austria, prima di arrivare alla destinazione finale, la Germania, 25 giorni dopo.

Stabilitasi a Berlino, Mardini si è messa in contatto con il club Wasserfruende Spandau 04 e ha subito sorpreso all’allenatore Sven Spannekrebs, che aveva cominciato a pensare ad una sua partecipazione della promettente atleta alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Ma la rifugiata siriana si è dimostrata più talentuosa del prevedibile e bruciato le tappe. A Rio 2016 è arrivata da portbandiera della squadra dei rifugiati. «Voglio che tutti pensino che i rifugiati sono persone normali, che hanno perso le loro terre non perché volevano scappare ed essere rifugiati, ma perché hanno dei sogni nella loro vita», dice oggi. Una lezione che vale più di qualsiasi record.

(Foto di copertina da archivio Ansa. Credit: GREGOR FISCHER / dpa)

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