Il lavoro della vita o una vita di lavoro?

Una vita in cui si è in grado di decidere marginalmente del proprio destino. È quasi una contraddizione in termini, eppure è ciò che sentono molti trenta-quarantenni di questo paese.

Cresciuti nel benessere degli anni 80′ dopo aver passato i ’90 a fantasticare sulle proprie future gloriose carriere da manager, creativi o geni del marketing, i non più giovani nati negli anni 70  si sono improvvisamente svegliati nei micragnosi anni della crisi del nuovo millennio.

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Il risveglio è stato tanto più traumatico quanto più sono stati gli anni spesi in formazione tra master e corsi post laurea. L’eldorado promesso si era trasformato in una sorta di deserto dei tartari, dove tutto è più o meno programmato. Un deserto al quale nessuno di noi era minimamente abituato, e tantomeno preparato ad affrontare.

Insomma, più che in Yuppies ci si è ritrovati in un enorme dramma generazionale, dai risvolti comici.

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Il presente è fatto sicuramente di precarietà, di instabilità e di un futuro incerto. Ma la vera caratteristica di questa generazione, per quanto riguarda il rapporto con il lavoro è un’altra.

La generazione perduta si trova ad avere a che fare con una invasività del lavoro nella vita quotidiana che è senza precedenti. Una generazione che, sempre alla ricerca del lavoro della vita, come l’italica tradizione vuole, si ritrova a fare i conti con il lavoro che si è preso la vita.

Perchè mentre Landini, a cui va comunque il merito di cercare di capire le nuove dinamiche del lavoro – seppure con scarso successo fino ad ora – parla ancora di 40 o 30 ore di lavoro settimanale, nella realtà il tempo lavoro ha completamente e probabilmente irrimediabilmente pervaso tutti gli spazi della nostra vita.
Complice il web, i Social network e gli smartphone, la separazione tra mondo del lavoro e vita privata se ne sta andando beatamente a quel paese.

Complice l’ansia prodotta da una precarizzazione della vita più che del contratto di lavoro, l’approccio con il lavoro di questa generazione è diventato bulimico. In continua ansia da prestazione, pena la rescissione del contratto, e il ritorno negli inferi del quotidiano invio dei curriculum, il “giovane” italiano è pronto a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Pronti ad accumulare consulenze su consulenze, perlopiù mal pagate, collaborazioni su collaborazioni (a 3,5 euro a pezzo), e prestazioni occasionali una di seguito all’altro.

Ed eccoli i quarantenni italiani, alle prese con un lavoro che non pensavano di fare, e che spesso non amano. Che sognano di cambiare la propria quotidianità con il Grande Fratello o con Amici di Maria de Filippi. Che si immedesimano nel concorrente del reality di turno, sognando di poter prendere il suo posto nell’edizione successiva.

Insomma, alla ricerca di una via di fuga dalla realtà di questo paese costruito dai vecchi per i vecchi, e in cui gli under 40 non sembrano poter far altro che chiudere gli occhi e sognare di incontrare il loro Doc (quello di ritorno al futuro), che con la mitica Delorean, li riporti indietro in quei mitici anni ’80. Dove anche sognare era più facile.

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