La vita (e la morte) infinita delle mine anti-uomo

28/10/2010 di Viola Afrifa

In alcune parti del mondo c’è ancora chi muore per i ricordini lasciati dalle guerre finite da un pezzo. Somigliano a giocattoli ma sono subdole e crudeli perché mirano a mutilare senza uccidere.

In Afghanistan le mine anti-uomo pronte a dilaniare chi le pesta o chi le tocca sono ancora circa 10 milioni: ce n’è una ogni tre abitanti. Questa è uno dei tanti dati che si leggono nell’articolo uscito su Foreign Policy a firma Paul Salopek. Sono munizioni piccole e di poco prezzo alcune delle quali stanno lì, sotto qualche centimetro di terra, addirittura dai tempi dell’invasione sovietica di 30 anni fa ma continuano a mietere vittime a distanza di tempo perché una volta minato un campo, sminarlo costa tempo, competenza e denaro, risorse che in tempo di guerra scarseggiano.

COSA E DOVE SONO – Le mine anti-uomo sono dispositivi esplosivi progettati per essere attivati dalla vittima (victim-activated weapons) che esercita pressione sulle stesse o su fili collegate a queste. Un tipo in particolare, le mine a frammentazione (vi ricordate i pappagalli verdi di Gino Strada? foto) una volta attivate, si alzano ad un metro da terra, ad altezza d’uomo, e esplodono in migliaia di proiettili e frammenti metallici che si conficcano nel corpo della vittima. Dato che sono bombe che non hanno un bersaglio specifico possono ammazzare indiscriminatamente civili che si imbattono in un’arma dimenticata: i dati di FP rivelano che la percentuale dei civili colpiti va dal 65 all’80% delle vittime totali. Gli effetti immediati di una detonazione possono essere la cecità, la perdita di arti e ferite da shrapnel il tutto risultante in amputazioni e setticemie secondarie date proprio da questi interventi. Durante la guerra, le mine vengono poste in prossimità di foreste, deserti, strade, campi coltivati, sentieri, tratti di frontiera, pozzi e case. Spesso l’obiettivo è impedire l’accesso all’acqua e al cibo e limitare la libertà di movimento della popolazione verso gli ospedali o le scuole. Un altro obiettivo potrebbe essere quello di impedire il trasposrto di aiuti umanitari.

NUMERO INIMMIGINABILE – Sono 76 i Paesi e i territori i tutto il mondo che sono ancora minacciati dalle mine anti-uomo di cui è totalmente impossibile stimare il numero. Il problema è che i costi di sminamento sono a carico del Paese interessato che spesso e volentieri è reduce da anni e anni di guerra sanguinosa e dispendiosa. Rendere il territorio sicuro è quindi un lusso che paesi sono l’Afghanistan, l’Angola o la Cambogia non hanno alcuna intenzione né capacità di ottenere. Quello che però il resto del mondo può fare è aggredire il problema alla base inibendo i Paesi a produrre e conservare le mine anti-uomo. E’ questo l’obiettivo del Trattato di Ottawa del 1997.

IL TRATTATO DI OTTAWA – Altrimenti conosciuto come “Trattato per la Messa al Bando delle Mine” (Mine Ban Treaty), questo si prefigge l’obiettivo di debellare il problema alla sorgente proibendo l’uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di mine anti-uomo e mira alla distruzione delle mine ancora in magazzino. Il trattato è entrato in vigore il 1 marzo del 1999 e rappresenta il più completo e autorevole documento sul tema riconosciuto e rispettato dai 156 Paesi firmatari. Tasto dolente: scorrendo la lista dei Paesi non firmatari è interessante notare la presenza di Cina, Egitto, Finlandia, India, Israele, Pakistan, Russia e Stati Uniti. A parte la Finlandia (la cui riluttanza rappresenta un vero mistero, che stia approvvigionando qualche Stato canaglia? Oppure semplicemente è talmente poco belligerante da non sapere proprio dell’esistenza del trattato?), il dato che stupisce è la volontà degli Stati Uniti di starne fuori. L’amministrazione Obama non ha cambiato di un millimetro la decisione di George W. Bush e continua a non firmare il Treaty. Human Right Watch, attraverso le parole di Steve Goose, direttore della sezione armamenti, ha affermato la sua contrarietà: “La decisione del presidente Obama di rimanere legato alle mine antiuomo mantiene gli Stati Uniti su una posizione sbagliata, anacronistica, e contro l’umanità (…) Questa decisione dimostra mancanza di visione politica, di compassione e senso comune e contraddice il multilateralismo, l’attenzione verso il disarmo e le questioni umanitarie sbandierate con grande enfasi da questa amministrazione”.

NON LE USIAMO MA NON LE BUTTIAMO – Gli Stati Uniti ribattono sottolineando che dal 1993 hanno speso più di un miliardo e mezzo di dollari per lo sminamento di altri Paesi e che quindi non possono essere considerati alla stregua di Iran, Pakistan e Cina. Su Unimondo.org si legge che “Secondo Human Right Watch, gli Stati Uniti hanno un arsenale di 10 milioni di mine, e sebbene non le abbiano usate dal 1991, dalla prima guerra del Golfo Persico, si riservano ancora il diritto di farlo. Gli Stati Uniti – evidenzia sempre HRW – non hanno hanno esportato mine antipersona dal 1992, non le producono dal 1997 e non hanno in atto programmi per la loro acquisizione in futuro”. Perché non firmare allora? Gli Stati Uniti non possono permettersi di privarsi di armi che invece altri (perfino al Finlandia) hanno. Sarebbe sorprentente lo facessero. Della serie, è terminata la corsa agli armamenti, ma il mantenimento di questi ha una vita lunghissima.

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