Il golpe di Zanetti nel nome di Verdini. Porta Ala al governo. E fa implodere Scelta Civica

14/07/2016 di Alberto Sofia

In principio fu il sogno di Mario Monti, che provò a rilanciare la sua agenda con una lista che riunì popolari e liberali, cattolici e riformisti. Fu un (quasi) flop alle urne. E il progetto fallì, con il divorzio dal suo stesso fondatore. Ora Scelta Civica si spacca ancora e si divide a Montecitorio. Sarà Enrico Zanetti, il segretario scissionista che lascia il gruppo – quasi una prima volta  a portare quel che resta di Sc verso l’abbraccio con Denis Verdini. O meglio, a portargli in dote una costola parlamentare di un partito già ridotto ai minimi termini di consenso. Nelle vesti del novello “Caronte”, sarà il viceministro all’Economia – di fatto – a traghettare il gruppo dell’ex sodale del Cav, ora passato alla corte di Renzi, al governo. Una volta per tutte.

ZANETTI LANCIA IL NUOVO GRUPPO CON VERDINIANI E FARE

Fine della tregua, dopo mesi di tensioni interne, tra partito e gruppo parlamentare alla Camera. Scelta civica implode. Perché alla fine Zanetti sceglie di rompere con il gruppo di Sc, forte – a suo dire – del mandato della Direzione. In realtà, numeri alla mano, è la sua linea a venire sfiduciata. Pesa proprio il nodo Verdini, con il suo salvagente di transfughi indigesto ai colleghi. Nulla da fare, il progetto non passa in un’assemblea infuocata, quella che doveva rinnovare le cariche interne. Tanto da costringere lo stesso Zanetti alle dimissioni dalla componente parlamentare. Eppure, l’approdo al Misto insieme a chi lo ha seguito è durato giusto qualche ora. Perché Zanetti ha già annunciato l’embrione della nuova creatura, insieme ai tre fedelissimi Mariano Rabino, Angelo D’Agostino e Giulio Sottanelli.

Nasce così a Montecitorio il nuovo gruppo con i deputati di Ala e un esponente tosiano di Fare!. Si chiamerà Sc-Cittadini per l’Italia (con Ala)”. Al momento, oltre all’area Zanetti, aderiscono anche Francesco Saverio Romano, Ignazio Abrignani, Luca d’Alessandro, Giuseppe Galati, Massimo Parisi, Giovanni Mottola, Monica Faenzi e Giorgio Lainati della componente di Alleanza Liberalpopolare Autonomie. E Marco Marcolin di Fare!. Ma è solo il primo passo. Perché ora, rivendica Zanetti, potrebbero aderire anche altri parlamentari. Perché sarà necessario raggiungere quota 20, rispetto ai 15 attuali, affinché venga riconosciuto il gruppo alla Camera. Nella mente di Zanetti sarà l’embrione dell’Alde d’Italia. Il cantiere liberal-democratico da lanciare nei prossimi mesi. E da costruire con Verdini, per riorganizzare quel centro moderato in piena diaspora.

IL BLITZ DI  ZANETTI

Chiaro che la fusione con i verdiniani, al di là del blitz fallito dentro Sc, è un gran colpo sia per l’ex regista del Nazareno, che per Matteo Renzi. Da una parte Ala entra ufficialmente tra le forze dell’esecutivo, aprendosi pure spazi per l’assegnazione di incarichi di sottogoverno. Dall’altra il premier prova a stabilizzare la sua maggioranza a destra, proprio quando il gruppo di Area popolare, al di là dei tentativi di Alfano di nascondere il dissenso, resta ancora una polveriera. Soprattutto al Senato, dove Sc però non è più presente.

IMPLOSIONE SCELTA CIVICA

Certo, in casa Scelta Civica è ancora guerra aperta. Perché se Zanetti intende portarsi dietro nome e simbolo, spingendoli proprio nella direzione dell’abbraccio con l’Ala dello stesso ex plenipotenziario di Forza Italia, la confusione resta totale. «I nodi andavano affrontati, mi sono dimesso perché ormai il gruppo di Sc era tale solo in termini di nome e non di politica», rivendica adesso l’ex segretario. Ma dall’altra parte a sfidarlo è quel che resta del gruppo di Sc, che non ci sta a cedere il nome: «La realtà è che gran parte di noi non condivideva la fusione con Ala, non c’è convergenza politica. Prendete la legge sul conflitto d’interessi: per noi ci avvicina all’Europa, per Ala è inconstituzionale», attacca la deputata Adriana Galgano, una di quelle che non ha sposato la linea Zanetti. Di certo, non la sola.

Pesa anche il nodo delle grane giudiziarie di Verdini. Quelle che per Zanetti non sembrano prioritarie: «Verdini? Perché no? Non si parte dalle dalle fedine penali», si difende. Ma tra i suoi ex colleghi c’è già chi lo invita a lasciare l’incarico alla vicepresidenza del dicastero dell’Economia. Compreso il deputato Bruno Molea, che lo avverte: «Se fonderà un nuovo movimento, verranno meno i presupposti che hanno determinato quella scelta». Tradotto, è guerra totale tra le due anime di quel che fu Scelta Civica. E contro Zanetti si schierano anche Giovanni Monchiero, Gianfranco Librandi, Giovanni Palladino. Così come il sottosegretario ai Beni culturali Antimo Cesaro e il presidente della commissione Affari costituzionali Andrea Mazziotti.

OBIETTIVO REFERENDUM COSTITUZIONALE

Nello sfondo resta proprio Denis Verdini, nel nome del quale Scelta Civica implode. Aveva già provato a coinvolgere i Moderati di Portas, invano. Ora l’operazione riesce – anche se non con i numeri sperati – grazie a Zanetti. Ma all’orizzonte per tutti c’è già il referendum costituzionale, il vero spartiacque della legislatura. Un passaggio che non sarà decisivo soltanto per Renzi. Perché anche l’universo eterogeneo centrista, già organizzato con i comitati del sì presieduti dall’ex presidente del Senato Marcello Pera, punta a riorganizzarsi e unire le forze.

PRESSING MINORANZA PD: «ZANETTI DEVE LASCIARE IL GOVERNO»

L’obiettivo resta lanciare quel cantiere moderato da tempo rivendicato. In attesa che Renzi cambi anche l’Italicum. Altra priorità, quelal della legge elettorale. Perché senza il ritorno al premio di coalizione, gran parte delle truppe parlamentari rischiano grosso. Non solo l’irrilevanza politica, ma anche l’ “estinzione“. In attesa, denunciano le opposizioni e gli ex di Sc, la maggioranza è cambiata ufficialmente: «Oggi Verdini è entrato al governo». Renzi resta ancora in silenzio, per ora anche il Quirinale. Ma il pressing è già partito anche dalla minoranza dem, con il suo leader in pectore Roberto Speranza. Con un solo obiettivo: Zanetti deve lasciare il suo posto nell’esecutivo.

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