Verdini battezza il “salvagente” del governo: «Ddl Boschi anche nostro». E punta verso Renzi

Per ora c’è la garanzia del soccorso alle riforme del governo Renzi, non solo quelle costituzionali. Domani per Denis Verdini e il gruppo salvagente di Alleanza liberalpopolare per le Autonomie (Ala) l’orizzonte sembra già tracciato. Lontano da Arcore e da Silvio Berlusconi, il vecchio leader abbandonato, seppur non rinnegato. E via dal centrodestra salvinizzato. Di fatto, mai nominato – e non sembra un caso – nel corso della conferenza stampa con cui viene lanciata la stampella dei neo Responsabili per il governo a Palazzo Madama. Una fronda di 10 senatori, il minimo per lanciare la componente autonoma, tra ex berluscones, Gal, cosentiniani e lombardiani che hanno già scatenato le fibrillazioni della minoranza Pd.

Verdini Alleanza Liberalpopolare autonomie gruppo
Denis Verdini e il gruppo di Ala battezzato in Senato

VERDINI “BATTEZZA” ALA, IL SALVAGENTE RENZIANO AL SENATO –

I nomi del gruppo verdiniano? Sono quelli noti. Nessuna sorpresa, al di là delle carte “segrete” rivendicate nei giorni scorsi. Dal capogruppo socialista Lucio Barani ai fedelissimi del senatore toscano Riccardo Mazzoni (vicecapogruppo vicario) e Riccardo Conti, fino al campano D’anna (già sostenitore di De Luca alla Regionali e nominato portavoce) e agli ex fittiani Eva Longo e Ciro Falanga. Quest’ultimi, passati nel giro di poche settimane dal gruppo anti-Nazareno a quello pro-riforme renziane. Una giravolta politica per un’operazione bollata dai critici come una “manovra di Palazzo”. Per completare la truppa verdiniana bastano Pietro Langella (ex Gal) e i siciliani Antonio Scavone e Giuseppe Compagnone, dopo il via libera di Raffaele Lombardo e del Movimento per le Autonomie all’operazione politica orchestrata dall’ex regista del patto del Nazareno. Indecisi, corteggiati e titubanti restano invece nel limbo. Anche se, sono convinti Verdini e i suoi fedelissimi, nelle prossime settimane anche altri azzurri archivieranno Berlusconi e un partito, Fi, ormai subalterno alla Lega e senza prospettiva politica.

Tra una settimana, invece, possibile lo strappo anche a Montecitorio, dove però non ci sono ancora i numeri per un gruppo autonomo, ma soltanto una componente nel Misto. «Siamo 8, puntiamo ad arrivare a 10», spiega il deputato Ignazio Abrignani a Giornalettismo. Insieme a lui, i fedelissimi Luca D’Alessandro, l’ex coordinatore toscano Massimo Parisi, Giovanni Mottola e l’ex sindaco di Castiglione della Pescaia, Monica Faenzi. E, secondo fonti parlamentari, sarebbero pronti a lasciare il gruppo di Brunetta anche l’ex ministro Saverio Romano e il calabrese Giuseppe Galati. Ex “fittiani”, poi critici verso la strategia politica scelta dal ribelle pugliese.

Di certo, Forza Italia, ormai, è il passato per Verdini e la sua fronda. Nel futuro c’è il premier fiorentino. Al di là delle smentite e delle rassicurazioni sulla sua presunta volontà di entrare nel Pd: «Voglio tranquillizzare gli amici della sinistra Pd: nessuno di noi ha voglia di iscriversi al gruppo dem. Io, poi, sono toscano e se lo avessi voluto fare lo avrei fatto da ragazzo», ha rivendicato il senatore toscano. Consapevole che un ipotetico ingresso nel partito sarebbe complicato da giustificare, soprattutto per Renzi. Tutt’altro che indispensabile per orchestrare un progetto politico comune. A partire dal possibile avvicinamento con quella parte di Ncd, da Alfano a Schifani, che non ha alcuna voglia di “morire salviniana”, né di redimersi sulla via di Arcore. «C’è una prospettiva politica nella nostra visione che ritiene che il centro del Paese, l’area moderata è determinante per vincere le elezioni. Ma questo centro ha bisogno di muoversi senza pregiudizi», ha spiegato lo stesso Verdini. Tradotto, anche in direzione dello stesso Renzi. Non è un caso che in cantiere c’è la possibilità della creazione di una lista comune tra Verdini e gli ex “diversamente berlusconiani” di Alfano. In attesa che si aprano spazi percorribili per il già vagheggiato Partito della Nazione.

VERDINI E QUEL CANTIERE CHE GUARDA VERSO RENZI –

Per il momento, per l’ex coordinatore di Fi già custode del berlusconismo, è sufficiente blindare la legislatura verso il 2018. Perché, seppur sbandierando la formula dell’opposizione responsabile, è chiaro che il gruppo Ala sosterrà le riforme renziane. A partire dal superamento del bicameralismo perfetto (con l’eccezione di D’Anna, contrario), che Verdini e Forza Italia hanno “contribuito a scrivere”. Anzi, rivendicano: «Con orgoglio ci abbiamo lavorato, ci abbiamo messo molto del nostro. Va approvato così com’è». Quasi un diktat. Perché, spiegano i verdiniani, in quelle riforme c’è l’identità azzurra, abbandonata dal Cav per inseguire Salvini.

Guarda il video: Verdini rivendica il ddl Boschi

Videocredit:Alberto Sofia/Giornalettismo

E l’Italicum? «Ormai è legge, può essere modificato una volta approvato il Ddl Boschi, come sul premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista». Ma la convergenza con Renzi, come ammette D’Anna, in realtà è un cantiere aperto. Perché, spiegano i verdiniani, su quelle riforme che saranno considerate “liberali” Verdini e i suoi non faranno mancare i voti. A partire dal programma della “rivoluzione copernicana” delle tasse. Un mantra berlusconiano poi rievocato dal premier Renzi.

BERLUSCONI ORMAI È IL PASSATO –

E il Cav? Dall’ex collaboratore, per anni braccio destro e regista delle strategie politiche azzurre, non arrivano accuse verso Berlusconi. Né viene rinnegato il passato. Qualche parola di commiato, nessuna voglia di polemizzare: «Come tutti gli strappi, addolora e fa male. Quando non ci sono identità di vedute nessuno finisce o muore, uno vede le cose in maniera diversa. La nostra storia legata a Berlusconi è straordinaria e fa male parlarne. Non ne vogliamo parlare, parliamo di quello che facciamo». Ma è chiaro che quella stagione è finita. Ora è tempo di programmare il futuro e le prospettive comuni con Renzi. Con buona pace della minoranza dem. «Partito della Nazione con Renzi? Vedremo, c’è tempo. Se la sinistra dovesse staccarsi, se il premier dovesse cercare i voti dei moderati e fare qualcosa di diverso, perché no?», ammette Abrignani. 

Guarda l’intervista a Ignazio Abrignani – Videocredit: Giornalettismo

Poco importa se il drappello dei transfughi forzisti e Gal sia tutt’altro che gradito alla sinistra Pd. Quella che, secondo Verdini, sembra aver perso la memoria. A partire dall’ex capogruppo Roberto Speranza: «Parla di film dell’orrore? Lui ha fatto tutte le trattative per il Nazareno, senza scandali, era il capogruppo, correttamente», lo ha provocato il senatore azzurro.

Guarda il video: Verdini attacca la sinistra Pd e Roberto Speranza
Videocredit: Alberto Sofia/Giornalettismo

Per i vertici dem, comunque, non sembra esserci imbarazzo per la stampella di cosentiniani, forzisti e lombardiani. Già la Boschi aveva avvertito: «Fi ha già votato le Riforme, le ha scritte insieme a noi. Se ora una parte di FI – io mi auguro tutta – votasse il ddl in Senato non sarebbe una novità».

Guarda l’intervista a Zanda

E anche Zanda precisa a Giornalettismo: «Imbarazzo per il sostegno di Verdini? Lui è un parlamentare e fa quel che vuole, il Pd continua a fare la sua politica». E sulle preoccupazioni dei militanti alle Feste dell’Unità, Zanda taglia corto: «A me nessun militante mi ha mai ha detto di essere preoccupato per aperture a destra, che non ci sono».


Guarda il video: D’Anna insulta il giornalista dell’HuffPost – Videocredit: Giornalettismo

Per Verdini e i suoi fedelissimi critiche e domande dei cronisti sembrano invece indigeste. A partire da quelle che rievocano le grane giudiziarie, come i rinvii a giudizio e le indagini della magistratura su Verdini. O le accuse di “impresentabilità” rilanciate in casa dem dalle minoranze. Così come l’ombra di Nicola Cosentino, l’ex azzurro finito in carcere per camorra e amico di D’Anna: «Lei è una persona disonesta. Certo che sono suo amico, ma  Cosentino è una persona onesta. Lei invece è un piccolo comunista. E anche un po’ stronzo», è l’insulto del senatore campano rivolto al giornalista di Huffington Post. Attacchi alla stampa, come nella peggior stagione del ventennio del Cav. Il vecchio leader archiviato dal nuovo salvagente renziano. 

Share this article