Una fronda azzurra vuol votare le riforme. E Verdini svuota (quel che resta di) Forza Italia

Si salvi chi può. Se il Cav si rifugia ad Arcore, lontano dalle beghe romane, alle sue spalle tra i suoi vassalli ed ex fedelissimi la priorità adesso è soltanto una: sopravvivere. Tra senatori e deputati azzurri c’è la consapevolezza che sia ormai arrivata l’eclissi del berlusconismo. E che non ci sarà alcun rilancio reale. Anche qualora Berlusconi tenti l’ultimo colpo, per «salvaguardare l’Impero», c’è la certezza che non saranno gli antichi peones, né le vecchie truppe parlamentari i volti al quale Berlusconi si affiderà per il rinnovamento sbandierato ad Arcore. Anche nella destra a trazione leghista sarà complicato trovare spazio. Non resta che cercare una scialuppa. E il porto sicuro, per sfuggire alla tempesta, ha le sembianze dell’ALA di Denis Verdini. Il gruppo salvagente creato dall’ex plenipotenziario azzurro per blindare la legislatura, alla corte di Renzi.

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FORZA ITALIA RIFORME ROMANI

FORZA ITALIA IMPLOSA, LA GRANDE FUGA. E SULLE RIFORME I SENATORI AZZURRI RISCHIANO DI VOTARE IN ORDINE SPARSO –

Poco importa che, dopo l’accordo in casa Pd, il peso di ALA sia per ora diminuito. I verdiniani sono convinti che sia necessario attendere: il momento dell’incasso arriverà presto. Perché la «tregua dem non durerà» e allora il sogno del Partito della Nazione tornerà a farsi reale. Così come un ingresso ufficiale in maggioranza, rivendicato a microfoni spenti. Nell’attesa, meglio allargare le truppe, continuando lo scouting parlamentare. C’è il Nuovo centrodestra che, al di là del compromesso sul ddl Boschi, è pronto a esplodere. Ma prima c’è Forza Italia, in piena erosione, da “saccheggiare”.

A Palazzo Madama sono al momento 13 i senatori accolti da Verdini, dopo gli ultimi arrivi di Auricchio, l’ex gasparriano Amoruso e l’ex Udc Ruvolo. Non è finita qui: altri azzurri potrebbero presto abbandonare il Cav. C’è chi nega, come Franco Cardiello, evocato tra i nomi più vicini al salto. O chi prende tempo, come il medico Sante Zuffada. Senza dimenticare l’ex Guardasigilli Francesco Nitto Palma, che ha già negato altre volte di voler abbracciare i dissidenti Fitto o Verdini, pur non nascondendo l’insofferenza:  «Lascio? Quando lo deciderò lo dirò apertamente. E lo farei comunque da solo. Non ho mai fatto parte di cordate e non partecipo a operazioni politiche di corrente», spiegò. Ma nel pallottoliere dei transfughi trovano spazio anche l’imprenditore Bernabò Bocca. O Riccardo Villari, uno che non si è mai fatto troppi scrupoli a cambiare partito: ex Dc, Ppi, Cdu, Udeur, poi Margherita, entrò nel Pd dal quale fu espulso per una poltrona alla vigilanza Rai alla quale fu eletto con i voti del Pdl e che non voleva lasciare. Passò per l’Mpa, poi si riconvertì berlusconiano. Ora potrebbe finire anche lui nel calderone di Ala. Insieme a Franco Carraro, l’ex sindaco di Roma. E si fa anche il nome del neosenatore pugliese Michele Boccardi: arrivato a Palazzo Madama dopo la scomparsa di Donato Bruno, ha abbandonato Fitto per restare con il Cav. Ora lo potrebbe “tradire” dopo pochi mesi.

VERDINI TENTA L’OPA SU QUEL CHE RESTA DI FORZA ITALIA –

Tradotto, c’è un universo che cerca di ricollocarsi, temendo di restare isolato e perdere poltrone. E le accuse di trasformismo e campagna acquisti arrivate dagli ex colleghi di Forza Italia? «Tutto falso, ci vedremo in tribunale», replicano con tanto di minacce il portavoce verdiniano D’Anna e gli altri del gruppo. Convinti che, con Salvini che occuperà ogni spazio a destra, l’unica strada percorribile sia quella che porta verso Matteo Renzi. Con tanto di lista da lanciare, soprattutto se il premier si decidesse di modificare il premio di maggioranza sull’Italicum: “Moderati per Renzi“. Altrimenti, si spingerà il presidente del Consiglio per rompere con Bersani, D’Alema & Co.

RIFORME, UNA PARTE DI FI TENTATA DAL “SÌ” –

Ma se Verdini sta provando a svuotare quel che resta di Forza Italia, sfilando i parlamentari al Cav, c’è anche chi resta nel limbo. Come Altero Matteoli o lo stesso capogruppo al Senato Paolo Romani, ben lontano – non è un mistero – dall’opposizione oltranzista del collega Brunetta alla Camera. C’è insofferenza per quel “no” alle Riforme che Berlusconi non vuole rimettere in discussione. «Le abbiamo già votate, abbiamo contribuito a scriverle. Con i tre emendamenti della maggioranza sono state pure riviste le funzioni e il nodo dell’elettività. Perché continuare a evocare un rischio regime che non esiste?», spiegano a microfoni spenti gli indecisi. Più che tentati dal sì alla riforma. O da assenze strategiche. Anche perché, sono convinti, con un “sì” azzurro al Ddl Boschi si potrebbe ancora spingere per riaprire le trattative sulla legge elettorale. Per correggere quel “suicidio politico” del via libera al premio alla lista. Un errore che rischia di consegnare gli ultimi resti di Forza Italia al leader del Carroccio Matteo Salvini. Già ieri nelle vesti del “federatore” durante un incontro romano con Fitto ed ex An come Ronchi e Gasparri. Pronto ormai, a suon di primarie, a raccogliere la leadership di quel mondo lasciato vuoto con la fine del dominio berlusconiano sul centrodestra. Piaccia o non piaccia al Cav.

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