Venezia 73. Kim Rossi Stuart, l’intervista: “Non accetto confronti con nessuno”

VENEZIA 73, KIM ROSSI STUART INTERVISTA –

Pur lavorando poco, seppur benissimo, Kim Rossi Stuart è uno dei pochi attori dello scarno star system italiano ad essere ben saldo nell’immaginario del pubblico. Lo sguardo, il rigore, la gentilezza, tutto lo porta a colpire le corde più segrete e potenti delle interpretazioni, così che quel viso d’angelo non di rado ha saputo, grazie al talento fuori dalla norma, essere altro e oltre: da bandito (Il Freddo in Romanzo Criminale e Vallanzasca) al disturbato e disturbante Saverio di Senza Pelle a Lucignolo nel Pinocchio di Benigni. Solo per citarne alcuni.

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Ora è a Venezia perché la sua opera seconda, Tommaso, che arriva 10 anni dopo l’esordio (finalizzato, Anche libero va bene, nei mesi della convalescenza di un bruttissimo incidente motociclistico): è il divertito e nevrotico racconto della vita sentimentale sgarrupata di un attore (e regista, sì c’è anche più di un pizzico di autobiografia autoironica) che ha un’ossessione sessuale per tutte le donne che incontra, tranne quelle con cui condivide progetti e convivenza. Film, Tommaso, che tutti potranno vedere in sala dall’8 settembre.

Torna Tommaso, dopo Anche libero va bene. Anche se non sembra cresciuto, anzi

E’ successo tutto naturalmente, non c’era un progetto di far tornare il protagonista del mio primo film, adulto. Semplicemente mi sembrava più adatto di altri a recepire i due temi portanti dell’opera, il tragicomico desiderio di ogni essere umano di avere una relazione sessuale e sentimentale soddisfacente e la catena che ci lega alle generazioni che ci precedono, genitori in testa, la zavorra che lasciano sempre sulle spalle dei figli e che loro hanno preso dai loro padri e madri. L’imprinting familiare sofferto e condizionante del Tommaso bambino in Anche libero va bene era perfetto per questo Tommaso che cerca di liberarsi di questi pesi.

Si costringe a interpretare un attore cane. A uno così bravo, non deve essere riuscito facile Intendiamoci, il mestiere d’attore di Tommaso è marginale nella storia. Ma cinematograficamente, filosoficamente ritenevo giusto non tirarmi fuori dalle riflessioni del film, trovo giusto in una società che pensa solo al profitto e al successo personale, di mettermi a nudo, di fare una cosa diversa. E’ un personaggio di finzione, ma ha anche qualcosa di me. Qualcosa, però: è un mio alter ego.

Quindi Tommaso non sarà il suo Michele Apicella?

Non amo i confronti, sono abbastanza megalomane e ambizioso da ritenere di avere un percorso personale importante e tanto ancora da fare. No, non renderò Tommaso una costante e no, non accetto similitudini con nessuno, non accetto confronti perché è un lavoro personale e con una sua qualità, quindi non mi metto in competizione neanche con i maestri come Nanni Moretti. Penso di poter fare sempre qualcosa di diverso, sempre a un genere nuovo, come sarà il prossimo film. Ho fatto un romanzo di formazione all’inizio e forse c’era qualcosa che mi avevano insegnato De Sica e Truffaut, ma qui il buono e il cattivo son tutti miei.

Come possiamo definire Tommaso? Una commedia emotiva?

Una commedia? Prendo atto, ma secondo me la verità è che le etichette classiche per un film così non hanno molto senso. Io penso sia l’opera di un regista che ha un profondo interesse nello scandagliare la mente e per farlo, uno degli strumenti più importanti e naturali è proprio l’ironia, oltre ad essere uno dei frutti specifici di quest’ultima. Ed è necessaria l’ironia proprio perché i quesiti filosofici anche pesanti che affrontiamo hanno bisogno anche della leggerezza. Ovvio che il mio esordio era più drammatico: era un film su un nodo allo stomaco (quasi bellocchiano – ndr), qui i nodi sono nella testa.

Perché ha deciso di mettersi al centro della storia e della riflessione?

Perché volevo fare almeno un film autoreferenziale nella vita. Ma anche autoironico e autocritico, che credo produca una differenza rispetto a modelli illustri del genere, come Nanni Moretti e Woody Allen. Insomma non ho ispirazioni o maestri che ho seguito, ma sì, un autore può arrivare anche a se stesso nel viaggio di un film.

Sì, tutto vero. Ma alla fine c’è anche la sua compagna Ilaria Spada. Come coinvolgimento non è male, visto che la incontra mentre è alla deriva…

Non ci costruirei su chissà cosa sulla sua presenza. Avevo bisogno di una bravissima attrice e avevo solo due ore per girare la scena. E a Ilaria posso non pagare gli straordinari – ride – ed era immediatamente a disposizione. Scherzi a parte: non era facile quella scena, senza essere riconoscibili se non per la voce e un profilo appena accennato, ed aveva una sua centralità. Insomma, è stato un unione di necessità e pragmatismo.

C’è istinto e razionalità anche nel linguaggio del suo cinema. Come riesce a farli lavorare insieme? N

on a caso ci ho messo 10 anni per arrivare alla mia opera seconda. Nel primo ho cercato più l’emotività e la pancia, qui più il ragionamento. E questo ha portato a un lavoro su sceneggiatura, regia e montaggio più complesso e approfondito.

Come sta affrontando il suo ruolo di presidente della giuria per il Leone alla migliore opera prima?

Lo sto affrontando svincolandomi dal mio gusto personale, cercando di trovare la lucidità di giudicare la bellezza di un film anche quando non parla di tematiche a me affini. E’ un compito importante, un onore e un onere.

Le dispiace non essere in concorso con Tommaso?

La competizione è uno degli aspetti più infantili dell’essere umano sano. A volte può essere molto divertente, ma se ne può fare a meno.

Perché sta facendo meno come attore? Il cinema italiano è sempre meno interessante?

No, sono affetto da una strana malattia: fare solo film molto sentiti. Se non scatta qualcosa, non lo faccio, io ho sempre lavorato poco, anche quando non c’era la regia.

Però questi “film molto sentiti” evidentemente non gliel’hanno proposti, o non ci sono?

Beh, io credo che un film ogni due anni sia sufficiente. E io ho trovato quelli giusti per me.

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