«Ciao Italia me ne vado. Sono incazzato, qui vanno avanti solo gli amici degli amici»

«Io ho 31 anni. Faccio il videomaker e il fotoreporter, faccio il lavoro che mi piace, e sotto questo punto di vista sono molto fortunato. In realtà per me andarmene dall’Italia è molto difficile, sono molto attaccato al mio quartiere, il Tufello, ho lavorato molto anche su questa realtà».

Valerio Nicolosi
Valerio Nicolosi – Foto di Daniele Napolitano

Valerio Nicolosi  ha 31 anni. Romano, nato e cresciuto al Tufello, che in parte è stato anche oggetto del suo lavoro. Una vita con l’obiettivo in mano. Come videomaker per raccontare quello che avviene in città prima, poi, anche per motivi di sopravvivenza, ha privilegiato la via più commerciale. Produzioni tv, clip musicali, documentari. Fa il Free Lance, in un paese che non è fatto per chi ha meno di 40 anni, soprattutto se è un lavoratore autonomo. O un precario. Due facce della stessa medaglia.

Ci si campa con il tuo lavoro da freelance?

«Potenzialmente si, ma nella realtà no. Io devo avere tanti soldi da tanti aziende, che però non pagano. Soprattutto i più grandi pagano sempre meno e sempre più tardi. Io lavoro tutti i giorni e in teoria non guadagnerei male. Negli ultimi 4 giorni ho lavorato tanto, ma chissà quando prenderò i soldi che mi spettano».

Valerio Nicolosi - Foto di Ernesto McBean
Valerio Nicolosi – Foto di Ernesto McBean

Quanto passa prima che ti paghino?

«Anche otto o nove mesi».

Ora hai deciso di andare via

«Mi è capitata un’occasione a Bruxelles, in un service, un fisso mensile, ed ho accettato. Dirette tv per il Parlamento Europeo. Continuerò ad essere un freelance, ma avrò la possibilità di ricevere un fisso mensile».

Pensi di tornare?

Parto a tempo indeterminato, per ora non metto in cantiere l’idea di tornare.

Deluso dall’Italia?

«Si parecchio. In realtà sono incazzato. Ho studiato tanto per fare questo lavoro, ma poi ti ritrovi senza una lira».

In teoria non sarebbe così. Questo aumenta la rabbia e la frustrazione immagino.

«Io sono un videomaker. Sopra di me ci sono appalti e sub-appalti. Parlo di produzioni importanti, che poi però ti chiedono 10 euro di sconto sulle fatture. Se la grande azienda non paga il primo appaltatore, i soldi a cascata non arrivano ti arrivano mai»

Avere i soldi che ti spettano diventa difficile così…

«Dovrei pagare una persona solo per fare recupero crediti. Spesso e volentieri soldi che vengono promessi a 30 giorni, in realtà poi arrivano a 90. E la tua vita si incasina».

Il tuo sembra il destino di un’intera generazione

«Secondo me più che questione generazionale è una quesitone di classe. Io in teoria sono un libero professionista, però non vengo pagato con dignità, e vado a cercarmi un lavoro altrove. Certo il precariato è una tipologia tipica della nostra generazione, questo è palese, ma affligge anche altre persone che fanno il mio lavoro, ma che hanno una diversa età. Io non me la voglio prendere con i 50enni 60enni».

Forse è un po’ una crisi del sistema audivisio in Italia il tuo problema?

«Per quanto mi riguarda la mia è una questione di classe; sono le grandi aziende a mettermi in crisi. Quando grandi case di produzione ti dicono che se vuoi essere pagato a 30 giorni gli devi fare lo sconto del 30%, altrimenti si passa a 90 giorni, siamo davanti ad un sistema che non ti lascia nemmeno le briciole. Ti assicuro che a loro non mancano i soldi. Eppure fanno sempre forzature sui prezzi e sulle modalità di pagamento».

Individui nella politica il colpevole della tua situazione?

«Prendersela con la classe politica non mi piace, è un atteggiamento demagogico. Ho fatto politica per tanti anni. La classe politica rappresenta il paese, un paese che si regge su clientelismo e sugli amici degli amici. Sulle relazioni personali. Il sistema creditizio e finanziario italiano non investe sui piccoli, non c’è alcuna redistribuzione del reddito o investimenti da parte dello stato per mitigare le differenze sociali. Renzi è l’espressione della parte peggiore del paese, che però è maggioranza»

Ti senti una vittima?

«Non mi sento una vittima, ho combattuto fino all’ultimo per una società che non sia questa. Non mi sento sconfitto, c’è un annichilimento dei movimenti sociali. Il capitalismo non ha lasciato nemmeno le briciole. Tutto ciò che aveva lasciato tra il dopoguerra e gli anni 70 ammortizzatori sociali, welfare, diritti, con la fine dei movimenti dagli anni 80 è sparito. Io cerco una possibilità altrove»

 

Foto Copertina: Pagina Facebook di Valerio Nicolosi – Foto di Emanuele Botticchio

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