Esiste un vaccino per la carie?

25/09/2017 di Redazione

Se lo sono chiesti in molti. Esiste o meno un vaccino contro la carie? Recentemente l’Accademia Cinese delle Scienze ha pubblicato un rapporto sullo Scientific Reports. I ricercatori del Wuhan Institute of Virology (WIOV) hanno testato sui topi una fusione di proteine che sembra dare buoni risultati. Eppure gran parte del mondo scientifico spiega come sia pressoché impossibile ottenere un vaccino anti carie.

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VACCINO CARIE: LO STUDIO SPERIMENTALE

Procediamo per ordine. Partiamo dall’ultimo studio del Whuan Institute. Il team si è concentrato su un batterio molto diffuso nel nostro cavo orale: lo Streptococcus mutans.
Sulle cavie è stato introdotte un mix di S. mutans ed E. coli e solo con una seconda combinazione di queste proteine – come ben racconta anche Focus – su topi il vaccino ha dimostrato una copertura dalla carie del 64,2% su quelli non cariati; negli esemplari già con denti cariati, del 53,9%. Si tratta di una dose per la quale, stavolta, non sono stati riscontrati effetti collaterali degni di nota.

VACCINO CARIE: COME CAMBIANO LE CAUSE REALI DEL PROBLEMA

Da sempre l’eziologia della carie dà la colpa alla fermentazione del glucosio ad opera dei batteri, in primis Streptococcus mutans all’interno della nostra bocca. Da questo tipo di fenomeno è esente solo una piccola parte della popolazione: circa il 10-20 % degli individui. Recenti studi ricostruiti sulla rivista di settore Dental Journal  la carie è una malattia polimicrobica per cui sarà impossibile arrivare a un «vaccino»

Grazie alle ricerche con le nuove tecnologie genetiche, come la metatrascriptomica (vedi box nella pagina a fianco), la lesione cariosa si è rivelata un ecosistema dotato di enorme biodiversità, nel quale il patriarca S. mutans rappresenta solo una minima parte, compresa tra lo 0,7 e l’1,6 %, della popolazione. Insieme alle formazioni a catenella del ricercato numero uno, hanno un ruolo di primo piano un’altra decina di complici; oltre ai già noti lattobacilli e bifidobatteri, sono state scoperte specie ben note ai paradontologi, come Prevotella, Veillonella e Propionibacterium, insieme con specie sconosciute al grande pubblico e dal nome bizzarro come Atopobium e Scardovia wiggsiae.

La variabile composizione microbica, inoltre, è ancora più stupefacente se si dedica una mezz’oretta a leggere qualche articolo, tra cui il più decifrabile per i non microbiologi è opera di due autori spagnoli (Simón-Soro A, Mira A. Solving the etiology of dental caries. Trends Microbiol. 2015 Feb;23(2):76-82). Si può così apprendere che la composizione delle comunità microbiche varia perfino nelle carie dello stesso individuo. La variabilità è minima per le lesioni dello smalto (in media abitate da 177 specie) e massima per quelle aperte al flusso salivare (251 specie); le carie dove vi è una minima comunicazione con l’ambiente orale sono abitate da circa 200 specie in media. Un gradiente simile riguarda anche S. mutans, la cui presenza tra le specie attive nelle carie scende dallo 0,73% dello smalto (dove predomina S. mitis) allo 0,48% delle carie aperte per finire con lo 0,02% della cavità quasi chiuse.

La flora patogena cambia con l’habitat tissutale, oltre che da individuo a individuo, e la carie non ha un unico agente eziologico ma un’associazione di microbi colpevoli dove «le specie acidogene intervengono per prime e aprono la strada a quelle proteolitiche». Abbastanza complicato, in queste condizioni, creare un vaccino.  Se le componenti sono varie e non stabili l’idea di un «vaccino» anticarie su una singola specie batterica è impossibile. Questa sfida dura da secoli. Nel campo della ricerca medica si possono ricordare i primi esperimenti condotti da Bowen negli anni ’60 sulle scimmie ma non mancano contributi anche di autori italiani, tra i quali la scuola di Bologna con il professor Gaetano Salvioli, per molti anni primario della clinica pediatrica.

 

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