Turchia, via 55mila dipendenti pubblici. Erdogan: «Nel golpe forse coinvolti altri Paesi»

20/07/2016 di Redazione

Non si arresta l’escalation autoritaria del presidente Recep Tayyip Erdogan in Turchia dopo il golpe del 15 giugno, fallito in poche ore. Stando a quanto riferito oggi da un funzionario del ministero dell’Istruzione del paese sono state chiuse finora ben 626 istituzioni scolastiche, la maggior parte private, nell’ambito della repressione dopo il tentato colpo di Stato.

TURCHIA, SOSPESI 15MILA DIPENDENTI DEL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE

Il mondo della cultura vive insomma momenti di vero e proprio terrore. In Turchia sarebbero circa 6.500 i dipendenti del ministero dell’Istruzione sospesi, mentre le università hanno accettato la richiesta di dimissioni di oltre 1.500 presidi di facoltà, perché ritenuti vicini agli ambienti in cui è maturato il piano di golpe fallito. L’ultima decisione di sospendere professori e maestri ha aggravato ulteriormente il bilancio già preoccupante. Il ministero dell’Educazione turco ha annunciato di aver sospeso 15.200 dipendenti per sospetti legami con la rete che fa capo a Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere dietro al tentato golpe, religioso che vive negli Usa, ex sodale di Erdogan diventato dal 2008 suo acerrimo nemico.

 

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TURCHIA, ARRESTATI OLTRE 6MILA MILITARI E 1.500 GIUDICI

Come riferito dal vicepremier Numan Kurtulmus, la purga di Erdogan a 4 giorni dal fallito golpe ha portato in carcere 9.322 persone tra militari (oltre 6mila, tra cui 118 tra generali, anche dell’aeronautica, e ammiragli e 1.350 ufficiali), magistrati (1.500 tra procuratori e giudici) e agenti di polizia dei servizi segreti. In totale sono circa 25.000 i funzionari pubblici sospettati di simpatie per Gulen che sono stati sospesi o licenziati. Tra questi gli oltre 1.577 rettori e presidi di facoltà a cui vanno aggiunti 15.000 tra insegnanti e professori. Ma sono stati anche sospesi 492 imam. Il repulisti ha colpito anche i servizi segreti: sono stati licenziati 100 agenti del Mit e 257 dipendenti dello staff del primo ministro Binali Yildirim, per cui lavorano in totale 2.600 persone. A casa, infine, anche 1.500 lavoratori del ministero delle Finanze.

Un bilancio ancora più grave è quello presentato poi proprio dal presidente Erdogan in serata, nel corso della sua intervista all’emittente araba Al Jazeera: dopo il fallito golpe sarebbero 10.937 le persone arrestate in Turchia, prevalentemente militari e giudici. In totale sono stati mandati a casa 55mila dipendenti pubblici.

Intanto, come riferito dall’emittente televisiva privata Ntv sono stati arrestati due membri della corte costituzionale. I due magistrati sono accusati di far parte di un gruppo di 113 esponenti del sistema giudiziario arrestati oggi.

Non mancano rispercussioni sulla libertà di stampa. La polizia turca ha bloccato la distribuzione della nuova edizione del settimanale satirico Leman, uno dei più diffusi del Paese. «Pensiamo che sia il prezzo pagato per le vignette e le copertine su Feto(Gulen)», accusato da Ankara di essere dietro al fallito golpe. Il magazine ha più volte sottolineato gli antichi legami tra il presidente Erdogan e Fethullah Gulen, storici alleati fino alla rottura definitiva nel 2013.

TURCHIA, ERDOGAN: «MIO COGNATO MI HA AVVERTITO DEL GOLPE»

Intanto Erdogan in un’intervista ad Al Jazeera: «Mio cognato mi ha informato del golpe. All’inizio non ho preso la minaccia sul serio, ma appena l’intelligence ha verificato il pericolo, abbiamo lasciato l’hotel (di Marmaris, sulla costa egea) in sicurezza con il ministro dell’Energia e siamo arrivati a Istanbul». In Turchia il colpo di stato – ha detto il presidente turco – «è stato organizzato da una minoranza, che rappresenta un’organizzazione terroristica, che voleva imporre la propria volontaà alla maggioranza del Paese».

«Penso che non sia finita, e nei prossimi giorni avremo altri nomi» di persone arrestate, «ma nel rispetto della legge, perché siamo un Paese democratico», ha affermato ancora Erdogan nell’intervista ad Al Jazeera. «Già prima avevamo molti sospetti, ma non potevamo agire per il rispetto della legge», ha spiegato il presidente per giustificare la rapidità degli arresti effettuati.

TURCHIA, ERDOGAN: «NON HO MAI LASCIATO IL PAESE»

Erdogan ha anche negato una sua fuga. «Da venerdì – ha detto – non ho mai lasciato la Turchia. È assolutamente falso che io abbia chiesto asilo in Germania. Si tratta di affermazioni fatte solo per dipingermi in difficoltà». Il presidente ha anche dichiarato che «potrebbero esserci altri Paesi coinvolti nel golpe».

TURCHIA, ERDOGAN: «MANIFESTEREMO ANCORA SOLIDARIETÀ VERSO GLI USA»

Erdogan ha poi lanciato anche messaggi agli Usa. «Il Presidente Obama mi ha detto che è dalla nostra parte e ci sostiene contro il tentato golpe. Le reazioni del nostro Stato non sono basate sulle emozioni ma sulla ragione. Continueremo a mostrare la stessa solidarietà con gli Usa». «Provvederemo agli Usa tutti i documenti e aspetteremo la decisione dei tribunali americani sull’estradizione di Gulen», ha aggiunto Erdogan.

TURCHIA, ERDOGAN: «CON IL SÌ DEL PARLAMENTO, APPROVERÒ PENA DI MORTE»

Da Erdogan nessun passo indietro sulla possibilità di introdurre la pena di morte, abolita nel 2004. «Per 53 anni abbiamo bussato alla porte dell’Unione europea e ci hanno lasciato fuori, mentre altri entravano. Se il popolo decide per la pena di morte, e il Parlamento la vota, io la approverò», ha risposto il presidente riferendosi alle posizioni dei leader Ue, che hanno avvisato che una reintroduzione della pena capitale porterebbe ad un’interruzione dei negoziati di adesione di Ankara.

TURCHIA, ERDOGAN: «STATO D’EMERGENZA PER TRE MESI»

Infine, lo stato d’emergenza. In serata erdogna ha annunciato che il Consiglio di Sicurezza Nazionale (Mgk) ha deciso di adottare lo stato d’emergenza in Turchia per 3 mesi, in base all’articolo 120 della Costituzione, per «affrontare rapidamente» le minacce legate al fallito golpe. «Non si tratta di una decisione contraria alla democrazia, al contrario serve a garantirla», ha aggiunto il rpesidente turco.

(Foto di copertina da archivio Ansa. Credit: Can Demir / Depo Photos / ABACAPRESS.COM)

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