Cosa succede tra Donald Trump e la Russia dopo il caso di Michel Flynn

Mentre il Cremlino, per il momento, si limita a osservare, dall’altra parte del mondo, a Washington, il presidente Trump sta affrontando in questa settimana uno dei momenti più delicati nella storia recente della politica americana.

Lo scandalo che sta facendo tremare il palazzo si è consumato nel giro di qualche giorno. Prima sono venute le dimissioni del Consigliere per la sicurezza nazionale Michel Flynn nella notte tra lunedì e martedì scorso. Pressato dalla stampa, l’ex generale ha ammesso di aver parlato, mentre era ancora un semplice cittadino, con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Sergej Kisljak dell’intenzione di Trump di eliminare le sanzioni imposte a Mosca dall’amministrazione Obama, salvo poi nasconderlo alla stampa, all’Fbi e a Mike Pence, il vice di Trump, che l’aveva sostenuto in precedenza negando che quelle conversazioni fossero mai avvenute. In sostituzione di Flynn, irrimediabilmente caduto in disgrazia, è stato nominato ad interim un nuovo consigliere, Joseph Kellog, in attesa di individuare nelle prossime settimane un successore definitivo per la carica.

COSA SIGNIFICA “RUSSIAN CONNECTION”

Ad aggravare ulteriormente un quadro già estremamente complesso, c’è la rivelazione del Washington post secondo la quale sembrerebbe che lo stesso Trump fosse stato informato dal Dipartimento di Giustizia delle conversazioni pericolose di Flynn con l’ambasciatore russo.
Come se non bastasse, ieri, è apparso un lungo articolo del New York Times nel quale sono descritte le rivelazioni di quattro funzionari americani, rimasti anonimi, secondo cui l’Fbi e i servizi di intelligence statunitensi starebbero svolgendo delle indagini su alcune persone della cerchia di collaboratori del Presidente. A insospettire le autorità di sicurezza sarebbero stati i frequenti contatti di alcuni di questi (di cui non si è ancora fatto il nome, se non quello di Paul Manafort, capo del comitato elettorale di Trump per alcuni mesi) con alte personalità dell’amministrazione e, perfino, dell’intelligence russe nel corso della campagna elettorale del 2016. Le conversazioni, tra cui quelle di Flynn, sarebbero state intercettate, come da prassi quando intercorrono con rappresentati di paesi stranieri. Per quanto non si abbia notizia, per ora, di prove che dimostrino che questi contatti abbiano davvero influito nelle ultime elezioni presidenziali, come molti sospettano, si punta a chiarire fino in fondo quella che è stata definita la “russian connection”, cioè il sistema di rapporti con la Russia di Trump e dei suoi più vicini collaboratori.

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LA POSIZIONE RUSSA SULLA QUESTIONE FLYNN

Di fronte a tutto questo, il Cremlino, si diceva, si limita a osservare. Dal presidente Vladimir Putin, su questo argomento, non è giunta una parola. L’unica voce che si è levata, laconicamente, è stata quella del portavoce Dmitrij Peskov che ha definito la notizia «non basata su fatti concreti» e «risibile» perché a suo supporto «ci sono cinque differenti fonti e tutte sono anonime». E ha aggiunto: «Non dobbiamo credere sempre alla stampa. È difficile scindere la verità dalle bufale e dalle invenzioni». La posizione di Peskov è del tutto in linea con la reazione di Trump agli ultimi avvenimenti. Nel corso della giornata il neo-presidente ha lanciato una serie di tweet polemici, prontamente rilanciati dalle più importanti testate russe, con le governative Russia Today e Rossijskaja Gazeta in prima fila: «Questa insensata ‘russian-connection’ è un tentativo per coprire i molti errori commessi durante la fallimentare campagna elettorale di Hillary Clinton»; «Il vero scandalo qui è che informazioni classificate vengono distribuite dall”intelligence’ come caramelle». Secondo la portavoce del Mid (il ministero degli esteri russo) Marija Zakharova l’intera vicenda sarebbe «la prova di un gioco politico in grande scala all’interno della politica americana (sic)».

LA TECNICA DI DONALD TRUMP DOPO IL FLYNN GATE

Ma non è tutto. Mentre il laccio delle indagini si stringe intorno alla sua cerchia, Trump ha compiuto un’altra mossa, scegliendo di nuovo Twitter per un messaggio che vuole contemporaneamente criticare l’operato della presidenza precedente e rilanciarne le politiche, almeno a parole, in una questione di grande importanza per il Cremlino. «La Crimea è stata presa durante l’amministrazione Obama. Obama è stato troppo tenero con la Russia?». Il testo è parallelo alla dichiarazione del portavoce della Casa Bianca Sean Spicer che ha messo in chiaro come il neo-presidente aspetti «dal governo russo una de-escalation delle violenze in Ucraina e la restituzione della Crimea». Questa improvvisa presa di distanza da Mosca, in un momento in cui tutta l’attenzione è concentrata sull’affinità elettiva tra gli attuali esponenti di governo dei due paesi, è apparsa a molti analisti come un modo per smarcarsi dallo scandalo esploso in questi giorni e dall’accusa generale di troppa tolleranza nei confronti di un paese che in molti, in America, considerano ancora come un nemico.

LA POSIZIONE DI MOSCA: «LA CRIMEA TERRITORIO DELLA FEDERAZIONE RUSSA»

Se sul resto la posizione dell’orso russo si è rivelata abbastanza attendista e flemmatica, su quest’ultimo punto da Mosca le repliche sono state secche e decise. «La Russia – ha detto Peskov – non discuterà con nessuno il ritorno della Crimea all’Ucraina, Stati Uniti compresi». A questa dichiarazione ha fatto eco quella della Zakahrova: «Noi non abbandoniamo i nostri territori. E la Crimea è territorio della Federazione Russa».

(articolo a cura di Daniele Foffa. Foto copertina © Future-Image via ZUMA Press)

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