Torino, Chiara Appendino chiede scusa per i fatti di piazza San Carlo

È già passata una settimana dai fatti di piazza San Carlo a Torino, quando – nel corso della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid – un presunto allarme ha creato il panico tra le 30mila persone radunate per guardare la partita al maxi-schermo installato in pieno centro. Ma oggi, con una lettera aperta, Chiara Appendino, sindaco del capoluogo piemontese, chiede ufficialmente scusa.

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LA LETTERA DI SCUSE DI CHIARA APPENDINO

«Un sindaco rappresenta un’intera comunità – scrive Chiara Appendino sul proprio sito web – e deve essere pronto ad assumersi anche responsabilità che vanno al di là del ruolo che ricopre. Per questo, a nome mio, di tutta l’Amministrazione e della Comunità che rappresento – a prescindere dalle eventuali responsabilità civili e penali di ognuno – desidero porgere le mie scuse a tutte le persone coinvolte».

Il sindaco ha chiarito che le indagini per evidenziare eventuali responsabilità andranno avanti e che il tema della sicurezza a Torino sarà più che mai prioritario: «I feriti di sabato scorso non sono solo quelli contati – continua la Appendino -: ad essere ferita è un’intera città che per la prima volta ha conosciuto su se stessa gli effetti di un clima di instabilità globale e crescente incertezza, pur in assenza di un evento terroristico». 

La gestione della piazza da parte del sindaco – che in quella circostanza, tra l’altro, si trovava allo stadio di Cardiff per seguire dal vivo la partita della Juventus – è stata al centro di numerose polemiche. Sotto osservazione anche la presenza di centinaia di bottiglie di vetro (che sono state responsabili di molti dei 1500 feriti) in un luogo ad alta concentrazione di persone. Inoltre, erano stati sollevati dubbi sull’adeguatezza della piazza a contenere un numero così elevato di tifosi. La lettera non spegne completamente le polemiche, ma rappresenta senz’altro un punto di partenza su cui ricostruire la verità in merito a quello che è successo lo scorso 3 giugno.

(FOTO: ANSA / MATTEO BAZZI)

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