«Ti racconto l’inferno del lavoro in un call center»

«Vi devo parlare ragazze: sono confermate lei e lei. Voi finite qui». Non si tratta di una selezione di concorso di bellezza e neanche di un gioco a premi. L’uomo che punta il dito contro un gruppetto di cique ragazze gestisce un call center sotto la Madonnina. Alice, grandi occhi verdi e 24 anni e tra quelle che non “passa”. Nonostante abbia firmato un contratto e superato due prove di selezioni lei, con un diploma di ragioneria alle spalle, non ce la fa. La ragazza vive a Milano e cerca lavoro da due anni. Periodi passati tra un “Pronto” alla cornetta e nell’inferno degli outbond, ovvero le chiamate fatte da un centralino per poter vendere un servizio od un prodotto. «Fanno anche fatica a pagarti – ci racconta la ragazza – perché lo stipendio si basa sugli appuntamenti fissati. Se non ci riesce a fissare gli appuntamenti allora anche il salario manca». Questa di Alice è solo l’ultima avventura in un call. Ne ha passate quattro. Alcune “buone” altre “da dimenticare”.

call center precari 2

NIENTE TRUCCO NIENTE INGANNO? – Tutto iniziò tramite una agenzia interinale. Le offerte di outbound (chiamate in uscita) pullulano in rete. Più difficle (e raro) è entrare nelle inbound (chiamate in entrata) nelle quali è il dipendente a venir contattato e a fronire assistenza alla clientela. IL mondo dei call center non è del tutto negativo: «Ci sono anche quelli corretti», spiega la ragazza. «In quest’ultimo però in cui ho lavorato non mi avevano neanche avvisato del periodo di prova. Su cinque ragazze ne hanno tenuto solo “due”». Prima di entrare Alice ha fatto due colloqui. Uno con l’agenzia, l’altro davanti al cliente. Nessuna richiesta di conoscenze lingue ma solo prove simulative davanti a famigerati clienti. «Lui ha scelto su dodici ragazze. Tra le cinque scelte ne hanno scremate altre. Ovvio senza però (a loro detta) avvisare l’agenzia interinale». Al momento del “licenziamento” la ragazza ha provato a chiedere spiegazioni: «Il capo mi disse che avrebbe avvisato l’agenzia ma alla fine mi è sembrato tutto uno scaricabarile. Non è la prima volta che succede. Fanno tante selezioni come se fosse chissà quale posto di lavoro. Se poi vai a vedere diritti e paga insomma non è decisamente il massimo».

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(Call center in Germania e Francia – Photocredits: GettyImages)

AVEVA FIRMATO UN CONTRATTO – Eppure Alice aveva firmato un contratto. Il primo giorno in cui aveva messo piede in azienda aveva siglato un foglio: «Io pensavo di essere assunta. Nel contratto non era menzionata la prova. Si trattava di un co co pro. Cosa che credo non potrebbero fare. Il co co pro non può esser applicato a compiti ripetitivi no? Cosa che invece è il call center». Non sempre c’è una certa continuità lavorativa: «Nel penultimo contratto – spiega – mi rinnovavano l’incarico ogni mese. Ero sempre sul filo del rasoio». In un altro call center Alice veniva pagata sugli 800 euro: «Peccato però che erano in ritardo coi pagamenti. Ero tramite cooperativa ma dovevo continuamente sollecitare. Alla fine mi sono licenziata. Non posso stare in un posto dove non sapevo se e quando mi avrebbero pagato». Dopo che Alice ha detto basta l’hanno ricercata con una proposta “allettante”: «Mi hanno richiamata. In pratica un agente di commercio (che gestiva gli appuntamenti) doveva garantire un tot di contratti. Io mi sono chiesta ma come fa? Anche prendendo un appuntamento al giorno non ci sarebbe comunque riuscito. Ho detto no».

PAGHE DA FAME – «Nel penultimo ho lavorato per una compagnia telefonica. O meglio per una cooperativa che lavorava per tale azienda. Erano regolari con i pagamenti ma mi hanno fatto una prova non retribuita. Mi hanno tenuto in ballo per quattro giorni, solo dopo è arrivato un contratto, di collaborazione». Che paga? «Trecento euro netti al mese per 4 ore al giorno. Se si faceva lo straordinario il sabato raggiungevo 370 netti al mese». Una miseria: «Io ci andavo anche perché vivo con i miei e piuttosto che non far nulla guadagnavo qualcosa. Ma uno che ha figli? Un part time viene sui 500 euro netti. Non c’è riconoscimento nel livello di inquadramento. Spesso ci sono stipendi da fame. Ci sono call center con stipendi buoni ma finora non mi sono mai capitati». Chi fa assistenza clienti secondo Alice vive tutt’altra cosa: «Gli outbound sono i peggiori. Anche le vecchiette che si sentono squillare il telefono in continuazione non attaccano più. Per gli inbound chiedono l’esperienza salvo corsi di formazione (retribuiti o meno) precedenti alle selezioni». Se si sale di livello a volte il clima non migliora: «In una azienda per cui ho lavorato la teamleader (sposata con bambino) prendeva 500 euro part time», racconta la ragazza.

LEGGE DI STABILITÀ E LIMITI– Nella legge di stabilità 2014 è inserito un incentivo alla stabilizzazione dei call center. Le aziende che stabilizzano lavoratori (cocopro) nei loro call potranno godere di incentivi pari a un decimo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per ciascuno dei lavoratori stabilizzati. Il tutto per un massimo di 12 mesi. Si tratta del comma 22:

22. Al fine di salvaguardare la continuità occupazionale nel settore dei servizi di call center, in favore delle aziende che hanno attuato entro le scadenze previste le misure di stabilizzazione dei collaboratori a progetto di cui all’articolo 1, comma 1202, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, entro i termini predetti e ancora in forza alla data del 31 dicembre 2013, è concesso, per l’anno 2014, un incentivo pari a un decimo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per ciascuno dei lavoratori stabilizzati, per un periodo massimo di dodici mesi, nel rispetto dell’articolo 40 del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008.

ma ci sono i limiti…

L’incentivo è corrisposto al datore di lavoro esclusivamente mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili del periodo di riferimento, fatte salve le diverse regole vigenti per il versamento dei contributi. Il valore mensile dell’incentivo non può comunque superare l’importo di 200 euro per lavoratore. Il valore annuale dell’incentivo non può superare 3 milioni di euro per ciascuna azienda e non può comunque superare il 33 per cento dei contributi previdenziali pagati da ciascuna azienda nel periodo successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, per il personale stabilizzato entro i termini predetti e ancora in forza alla data del 31 dicembre 2013. L’incentivo di cui al presente comma è riconosciuto nel limite massimo di 8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016.

Per poter godere dell’incentivo ciascuna azienda interessata deve autocertificare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge (pubblicata il 27 dicembre), il numero dei dipendenti interessati. Come? Tramite l’invio “alla sede territorialmente competente” dell’Istituto nazionale della previdenza sociale di un elenco delle persone stabilizzate entro i termini e ancora in organico. Non solo, l’azienda deve fornire, con cadenza mensile, un aggiornamento di tale elenco. L’emendamento in questione che punta a stabilizzare i call center è stato approvato dalla commissione Bilancio della Camera mercoledì 18. Peccato però per i limiti temporali: con una agevolazione riservata alle realtà che hanno stabilizzato non oltre il 31 dicembre 2013 e un “beneficio” che dura massimo dodici mesi. Alice intanto aspetta ancora la paga di quei famigerati giorni di prova a sua insaputa: «Speriamo non ci siano problemi. Io onestamente voglio uscire fuori da questo mondo, cercare di meglio. Non so un posto da impiegata, commessa. Ho paura che se calo con la posizione dei miei impieghi mi capiterà sempre peggio».

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