Parisi punta alla convention di settembre. Ma FI non vuole il «papa straniero»

23/08/2016 di Alberto Sofia

Niente interventi di partito, non sarà nemmeno una kermesse ufficiale di Forza Italia. Sulla convention organizzata da Stefano Parisi a Milano, a metà settembre, per rilanciare il centrodestra in chiave liberal-popolare, c’è ancora il più stretto riserbo. Sarà un evento parallelo rispetto al progetto che Silvio Berlusconi ha affidato al superconsulente ed ex city manager, al quale il Cav ha affidato le chiavi della “rifondazione” azzurra. Ma resta la prima tappa per andare oltre la stessa FI e organizzare il nuovo contenitore dei moderati. Perno centrale di una nuova alleanza che possa anche frenare l’Opa della Lega Nord di Matteo Salvini. Quel Carroccio che negli stessi giorni – sarà un caso o un escamotage per evitare imbarazzi – si ritroverà altrove, per l’evento classico di Pontida.

BRUNETTA E ROMANI CONTRO PARISI

Certo, mezza Forza Italia così come i vecchi colonnelli azzurri continuano a opporsi al nuovo modello parisiano. Cercando di non spezzare quei legami, già compromessi alle Amministrative, tra lùmbard e forzisti: «Non esiste nessun nuovo corso, il centrodestra non aspetta il Papa straniero», è l’avvertimento rilanciato sulle pagine del Corsera dello stesso capogruppo di FI Renato Brunetta. L’anima dell’oltranzismo antirenziano che poco sembra legarsi con il volto da “opposizione responsabile” dell’ex candidato alle Comunali di Milano.  Per mesi sotto assalto tra le faide nel gruppo parlamentare, ora Brunetta non vuole saperne di rompere l’unità (presunta) del centrodestra. Né di commissari o nuove leadership: «Ad oggi esiste solo quella di Silvio Berlusconi. Abbiamo tutti convenuto di affidare a Parisi solo la “due diligence” (il progetto di studio su come cambiare il partito, ndr). Altro non c’è da dire. Parisi ha confermato questo impegno ed entro la fine del mese consegnerà a Silvio Berlusconi il suo report».

In realtà, al di là della resistenza della nomenklatura azzurra, a Parisi il Cav ha affidato quasi carta bianca. E non è un caso che da Giovanni Toti a Paolo Romani, fino a Brunetta, Gasparri e Matteoli, il vecchio corso digerisca poco il progetto del manager: «Dopo Berlusconi non potrà essercene un altro. Lui è stato unico come, nel bene e nel male, Cavour, Giolitti, Mussolini e De Gasperi. Ora tocca alla classe dirigente che in questi vent’anni è maturata al suo fianco: sono i 4.500 eletti in ogni sede istituzionale», charisce alla Stampa pure l’altro capogruppo, Paolo Romani. Uno che poco aveva apprezzato la fotografia di Bologna, con il Cav sbeffeggiato nella piazza leghista, gregario di Salvini. Ma che ora sembra lavorare più per non venire travolto dalla rottamazione della vecchia classe dirigente: «Ho apprezzato il cantiere di Parma: meno fischi, più parole e ragionamenti. Con Lega e Fdi c’è una storica e consolidata alleanza».

IL NODO REFERENDUM

Non a caso, come Brunetta, pure Romani “piccona” Parisi: «Il tempo dell’uomo solo al comando è finito. Ciò detto discutiamo sul metodo migliore: congresso, conferenze programmatiche, primarie di partito o di coalizione». Tutt’altro che un assist al superconsulente del Cav. Con un avvertimento, seppur più in salsa retorica, anche agli ex Pdl e ai transfughi del berlusconismo: «Chi vota sì al referrendum è fuori dal centrodestra. Alfano? Se vince il no occorrerà fare la legge elettorale per il Senato e cambiare l’Italicum, anche Alfano è d’accordo». Tradotto, un mix tra propaganda – per mantenere i rapporti con la Lega – e realpolitik da Palazzo.

Chiaro che il verdetto del referendum resti uno spartiacque anche per il centrodestra. Ma Parisi, su mandato del Cav, lavora in anticipo. Verso quella convention che sarà soltanto la prima tappa della ricostruzione.

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