Stefano Cucchi, lo strano caso del perito nient’affatto super partes

05/10/2016 di Redazione

Duecentocinque pagine che invece di chiarire rendono più ingarbugliato il caso. Sono quelle della perizia di ufficio sulla morte di Stefano Cucchi (deceduto in carcere dopo essere stato pestato da quattro carabinieri) firmata da un collegio di professori presieduto da Francesco Introna. Nella relazione si sostiene che il 32enne sia morto per un attacco epilettico (ipotesi «dotata di maggiore forza ed attendibilità»), senza però escludere l’altra ipotesi, ritenuta meno plausibile, che il ragazzo possa essere deceduto per un’abnorme dilatazione vescicale (determinata in parte dalla frattura alla schiena, provocata o «da una colluttazione » o «da una caduta»). Un mix di veleni e giravolte.

 

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STEFANO CUCCHI MORTO DI EPILESSIA? PERIZIA CON GIRAVOLTE

Carlo Bonini su Repubblica parla della perizia come di un «italianissimo capolavoro di ipocrisia», un «guazzabuglio della logica», un «monumento al ‘ma anche’», che avvia l’inchiesta bis della Procura verso la sepoltura. Introna, tra l’altro, sarebbe anche un docente chiacchierato, «legato da rapporti di stima e colleganza» con almeno due dei professori e medici legali di cui dovrebbe giudicare il lavoro (uno consulente del pm e l’altro consulente d’ufficio della corte di Assise nel processo di primo grado) e nello stesso tempo «diviso da profonda inimicizia» dallo storico consulente della famiglia Cucchi. I due medici, in particolare, «hanno categoricamente escluso che le lesioni subite alla schiena durante il pestaggio da Cucchi (due fratture vertebrali) abbiano qualcosa a che vedere con le cause del suo decesso». Il lavoro di Intorna tende più a confondere che a chiarire, facendo tirare un respiro di sollievo ai difensori dei carabinieri che arrestarono e colpirono Cucchi. Scrive Bonini:

Per uscire dalla tenaglia, Introna impiega dieci mesi. E, alla fine, sceglie la via del «ma anche». Tira fuori dal cilindro come «probabile causa di morte» il coniglio dell’epilessia, ma ammette che l’ipotesi, sebbene da lui privilegiata, non ha riscontri «oggettivi». Quindi, sdogana quella avanzata dall’odiato Fineschi. Ancorché da lui scartata — argomenta infatti — esiste una seconda ipotesi plausibile: che le fratture alla schiena di Stefano (per la prima volta in sette anni riconosciute come recenti e dunque frutto del pestaggio) abbiano indotto un riflesso del nervo vagale che ha provocato la spaventosa dilatazione della vescica e, a cascata, una gravissima brachicardia che ha prodotto l’arresto del cuore. E tuttavia, aggiunge, quelle fratture (e dunque il pestaggio) non possono essere considerate causa del decesso, perché sarebbe bastato che qualcuno avesse avuto cura di svuotarla quella vescica. Insomma, colpa non dei carabinieri, ma degli infermieri del Pertini, dove Stefano fu ricoverato, e per giunta ormai assolti con sentenza passata in giudicato.

(Foto: ANSA / ANGELO CARCONI)

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