Guerre Stellari è morto. Evviva Guerre Stellari. Attenzione: contiene TUTTI gli spoiler

Guerre Stellari è morto, evviva Guerre Stellari.

Questa è la sintesi della sorprendente (e potente) operazione tentata, e riuscita, da J. J. Abrams, per il VII Episodio della più celebre saga della storia della fantascienza.
Ovviamente, c’è tutto quello che vi aspettavate, sul piano tecnico. Effetti speciali straordinari, navi stellari che vi sfiorano la faccia col 3D, battaglie, inseguimenti e duelli, scene digitali grandiose e accurate (forse troppo, in almeno un caso un’esplosione di una nave è davvero troppo “pulita” per essere un’esplosione, ma è un’eccezione). Insomma quello che doveva esserci. Vederlo è un godimento oggettivo, di quel genere che si prova a vedere una cosa davvero ben fatta. E poi c’è l’epos. Ci sono scene visivamente così cariche di epicità, che al confronto la Nuova Zelanda del Signore degli Anelli vi sembrerà il parchetto sotto casa. Ma l’epos è (quasi) solo lì.
Ed è questa la rivoluzione di Abrams. Guerre Stellari era stato uno straordinario (l’ultimo) paradigma dell’epicità contemporanea. C’erano il Bene, il Male, gli Eroi e gli Antagonisti, e soprattutto l’Antagonista per eccellenza, il grandioso Anakin Skywalker/Darth Vader, che nel prequel diventa il vero protagonista. È vero, già nel prequel le cose non andavano proprio come dovevano andare, il Bene non vinceva, ma in teoria sapevi che era un prequel, e che alla fine avremmo festeggiato tutti alla luce dei fuochi di festa della Ribellione vincitrice in tutta la Galassia, insieme a tutti gli Eroi, vivi o meno.

Niente di tutto questo, adesso. Tutto finito, crollato, archiviato, asfaltato. Guerre Stellari VII è una storia di mezze tacche, di vecchie glorie in drammatico disarmo o in fuga penosa, di giovani frustrati e inadeguati.

ATTENZIONE. SPOILER ALARM! QUI SOTTO POTRESTE SCOPRIRE TROPPO SUI BUONI!

C’è un buon pilota di caccia, che, come personaggio, ha lo spessore della caricatura di un giocatore di football americano. C’è un soldato che si è ribellato al suo destino, che sa amare, ma vorrebbe scappare, non combattere. E poi, basta. Il resto è il cantico dei mediocri, di gente che vive nel vago ricordo che la grandezza c’era stata, un tempo, o addirittura di essere stati grandi, una volta. Ma non più. Eccezionale Harrison Ford (spoiler! spoiler! spoiler!), che per molti versi domina il film, interpretando con superbo stile e ironia il declino e la morte (drammatica e anche tragica, ma non epica) del suo Han Solo. Leila non è neppure più una principessa, si fa chiamare “generale”, ma soprattutto sembra una versione materna e passiva di “Sean” in Giù la Testa. Luke Skywalker (spoiler! spoiler! spoiler!), poi, è il Santo Graal di tutto il film, tutto l’universo lo cerca, lui è tecnicamente un imboscato, e alla fine ti domandi perché lei non lo faccia rotolare giù dalla scogliera, quando lo trova che contempla il mare mentre il mondo cade a pezzi.

ATTENZIONE. SPOILER ALARM! QUI SOTTO POTRESTE SCOPRIRE TROPPO SUL CATTIVO!

E poi il cattivo. Eravamo abituati a uno dei più grandi cattivi della storia del cinema. Abrams ci serve un ragazzino isterico e frustrato. Giovane di buona famiglia, figlio di gente ricca e potente, sembra passato al male per noia o per qualche aspettativa di carriera, viziato, inadeguato, fa un errore dopo l’altro, e non è rispettato neppure dai cloni o dagli ufficiali. Soprattutto (e questa è pura e semplice genialità della scrittura) è pateticamente ossessionato dal nonno (il mitico Darth Vader) che vorrebbe in tutti i modi imitare, palesemente senza riuscirci. Tutti i buoni della vecchia generazione sono disperati dal fallimento educativo che lo riguarda. E lui, forse (comprensibilmente) non potendone più di cotanta disperazione sul suo conto, li vorrebbe uccidere tutti (in un caso ci riesce).
In questo panorama disastrato di ex-eroi, in questa penosa ridda di chierici perduti e traditori, che si contrappongono a cattivi che paiono giovani broker della City al servizio dell’Isis (unica eccezione – spoiler! spoiler! spoiler! -: il capo supremo del male, che però è più un effetto speciale che un personaggio), in questa Guerre Stellari allo zenith della crisi del Nome del Padre, dove l’epos maschile tradizionale si è rifugiato nelle scene in digitale a 3 dimensioni,  un fiore spunta tra le rocce.
Perché in Episodio VII non ci sono né Eroi né Antagonisti epici.

LEGGI ANCHE: STAR WARS VII, LA RECENSIONE: LA FORZA SI RISVEGLIA, LA SAGA NO

star wars recensioni
Alberto E. Rodriguez/Getty Images for Disney

 

ATTENZIONE. SPOILER ALARM! QUI SOTTO POTRESTE SCOPRIRE TROPPO SULLA PROTAGONISTA!

C’è solo un’Eroina: Rey (la giovane Daisy Ridley). Al tempo della Caduta degli Eroi, il Messia è femmina. Come in Hunger Games, come in Trono di Spade con l’affascinante madre dei draghi. C’è qualcosa di profondamente onirico in queste Eroine. Ma quel che colpisce in Rey è la radicale diversità dagli Eroi Star Wars che l’hanno preceduta. Lei non si muove seguendo i Grandi Ideali. È affascinata dal vecchio Han Solo: ma per lei non è un mitico eroe di guerra, ma un leggendario contrabbandiere. Eppure, ogni volta che deve scegliere, spontaneamente, femminilmente, Rey sceglie la strada giusta. Con l’istinto naturale di una donna (o forse con l’istinto che l’immaginario maschile assegna alla Donna Ideale), Rey va sempre dritta verso la vita, e contro la morte. Anche l’unica volta in cui esita, non ha i tremendi travagli tra il Bene e il Male dei suoi ambiziosi e prometeici predecessori. Ha solo il dubbio che tutta questa storia possa rivelarsi una gran fregatura per lei, che in fondo vorrebbe solo viaggiare, vedere tanti boschi, e non vivere più raccattando rottami, residui di un tempo finito. È pura, Rey, pura vitalità, puro fascino e puro carisma, e così risplende, senza violenza ma con indomita forza, sui veri rottami che la circondano, i resti malconci di un Epos tradizionale che J. J. Abrams ha sepolto.
La Forza, rimossa dal mondo dalla fuga dalle responsabilità dei padri, si risveglia in una giovane donna senza genitori, un’orfana che si è stancata di aspettare, e che così finisce per essere l’unica risposta possibile a un universo in passiva attesa di qualcosa.

E Guerre Stellari VII (senza dubbio un capolavoro coraggioso e riuscito), finisce per non essere forse il Guerre Stellari di cui avremmo avuto bisogno.
Ma per essere, in compenso, senza dubbio, il Guerre Stellari che ci meritiamo.

Alessio Aringoli (direttore editoriale Castelvecchi RX)

Share this article