Venezia 75, Una storia senza nome: Incontro con Roberto Andò e il cast del film
07/09/2018 di Thomas Cardinali
Una storia senza nome presentato fuori concorso a Venezia 75 è una delle sorprese più interessanti, abbiamo incontrato il regista Roberto Andò e un cast eccellente guidato da Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri ed Alessandro Gassmann.
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Roberto Andò: “Una storia di Palermo e io sono palermitano, mi sembrava funzionale al cinema perché i pentiti avevano inquinato i fatti nei loro racconti cambiandoli. Volevamo dare qualcosa di grottesco, una commedia profonda per raccontare il cinema ridandogli quel ruolo che continua ad avere. Può risarcirci di un’altra versione rispetto alla realtà illuminandola in modo profondo.
“Una Storia senza nome” è un film sul cinema e sulla capacità di incidere sulla realtà, forse non ci crediamo sempre.
Roberto Andò: “Bisogna crederci ancora, mi piaceva l’idea che queste persone fossero quelle che lavoravano dietro le quinte. Abbiamo uno sceneggiatore in crisi, una ragazza talentuosa senza riconoscimento è un produttore che ci prova comunque a mandarlo avanti. Il personaggio di Renato Carpentieri usa questa storia per arrivare alla verità unito anche da un legame con la sceneggiatrice. Ci siamo divertiti, vogliamo far perdere lo spettatore in una storia”.
“Una storia senza nome” è centrale sul ruolo dello sceneggiatore, quanto vi ha divertito? Avete trovato aneddoti personali?
Angelo Pasquini: “Ci siamo divertiti nel racconto tra realtà e finzione, c’è questa ambiguità che è il sale del cinema. I film nascono proprio da un’idea su uno spunto reale, abbiamo fatto in modo che incidesse sulla realtà trasformandola. Lo sceneggiatore deve trasformare la finzione in realtà. C’è questa specie di sogno con la finzione che diventa realtà, credo che ci sia la metafora sia del lavoro con lo sceneggiatore Ge la macchina del cinema.
Giacomo Bendotti: “La cosa che mi divertiva di più è che lo sceneggiatore viene trattato come un cialtrone, ci siamo divertiti molto a calcare sullo stereotipo dello sceneggiatore fannulloni. È un film doppiamente sul cinema, c’è una doppia ironia ricalcata intorno al thriller che mette in scena il lavoro del cinema”.
Micaela Ramazzotti: “C’è grsditurknd perché mi scrivono sempre bellissimi ruoli, sono ancora più grata a Roberto per essere la sua prima vera protagonista femminile. Gli scrittori hanno la capacità di osservare e saper raccontare mescolando la realtà con l’immaginazione. Ho iniziato per lavorare al personaggio rubacchiando qualcosa dallo sguardo di Roberto, ho cercato di trasmettere lo sguardo di chi sa raccontare”.
Alessandro Gassman: “Non può esistere un buon film senza una buona sceneggiatura. Quando ho letto il film ne ho apprezzato la complessità, quando ho visto il film sono stato molto colpito dalla capacità di Roberto di rendere la complessità comprensibile a tutti. Con gli sceneggiatori ho avuto un bellissimo rapporto”.
Renato Carpentieri: “Io ho un rapporto personale con gli sceneggiatori di stima, il mio personaggio invece ha un rapporto necessario. È rimasto ferito dal furto del quadro accumulando una serie di dati che non sono sufficienti a scoprire che fine abbia fatto il quadro. Ha bisogno di fantasia, perché solo raccontando ed immaginando storie si riesce a penetrare nelle parti oscure dei dati. Da un momento in poi c’è Valeria a portare avanti la storia. Questo film si fa e determina pezzi di realtà, alla fine abbiamo la nostra soluzione. Scopriamo una soluzione diversa dagli sceneggiatori rispetto a quelle dei pentiti. Le ferite della mafia si rimarginano con il film”.
La figura del produttore è divertente, quanto vi ha divertito essere coinvolti in una Storia senza nome?
Angelo Barbagallo: “Il personaggio di Antonio Catania rappresenta i vari aspetti del nostro lavoro. C’è passione, ma anche un po’ di cialtronaggine. C’è poi il gioco con le scommesse del casino, lui è stato davvero bravo.
Paolo Del Brocco: “Il cinema fa ironia e quando la fa su se stesso è anche il meglio.
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Tra questo gioco di realtà e finzione abbiamo il grande regista polacco Jerzy Skolimowski nella parte del regista Kunze di “Una storia senza nome”, come mai?
Roberto Andò: “Lavoro spesso con registi nelle vesti di attore, in passato Kusturica. Due anni fa avevo incontrato a Venezia Skolimoski e quando ho scritto il ruolo mi era sembrato giusto che fosse uno come lui ad interpretarlo con un’ultima chance. È fascinoso e misterioso, legato al thriller. I registi che so prestano a fare gli attori sono sempre impeccabili”.
C’è il tema dell’inganno in “Una storia senza nome”, perché questo aspetto ti interessa così tanto?
Roberto Andò: “Io se dovessi definire questa cosa credo che abbia a che fare con la mia Sicilia. Non solo per grandi personaggi come Cagliostro, ma proprio perché una delle più grandi maschere siciliane è quella dell’essere quello che non si è. L’inganno ti permette di entrare in un segreto, non rilevare e lavorare con gli attori in un determinato modo. Dei pentiti hanno fatto del depistaggi sul dipinto, mi appartiene l’idea che ci troviamo di fronte ad una continua invenzione.
Gli attori sono impostori per eccellenza, che ci potete raccontare del vostro lavoro in “Una storia senza nome”?
Micaela Ramazzotti: Si perché forse ci inventiamo sempre qualcosa, credo che il doppio che c’è in ogni personaggio è molto attraente. Lei è una scrittrice che scrive nell’ombra ma a lei piace, gode nel restare lì. Ha anche l’esempio della madre, ci sono persone che amano restare nell’ombra e si eccitano le quello.
Alessandro Gassman: “Io porto una parte della commedia presente nel film di Roberto, rappresento Il cialtrone che è una figura della nostra società. Ci fa ridere in modo drammatico, anche perché è una delle cause principali dei nostri problemi. Si ride da sempre dei pronlemk attraverso il cinema, è bello che la parte cialtrona sia rappresentato così bene.
Renato Carpentieri: “Molti personaggi sono nascosti, travestiti e questo da Pirandello in poi c’è sempre nella nostra cultura. C’è fascino noir, l’impiegato non si presenta così com’è affida il blocco dei dati ad una ghostwriter e si trovano di fianco un personaggio doppio. Gli intrighi di questo film sono numerosi, anche se leggeri. La commedia beffarda è data da utilizzo di elementi noir . C’è una camera a fianco da cui si ascolta tutto, mi sembra che anche la mamma abbia una sua doppiezza per cui mi sembra davvero una cosa notevole”