Tutto il mio folle amore: Recensione del nuovo film di Salvatores

04/10/2019 di Redazione

Tutto il mio folle amore, di Gabriele Salvatores, racconta la difficoltà di accettazione degli altri. Anche quando sono diversi da come ci si immaginava.

Tutto il mio folle amore, film di Gabriele Salvatores, è ambientato a Trieste e ha compre protagonista Vincent (Giulio Pranno). Lui è un ragazzo di 16 anni con un grave disturbo della personalità, con il quale sua madre Elena (Valeria Golino) si confronta da sempre. Col tempo ad aiutare Elena nell’impresa è sopraggiunto suo marito Mario (Diego Abatantuono), che ha imparato a voler bene a Vincent come ad un figlio e l’ha adottato legalmente. Ma quando sulla scena irrompe Willi (Claudio Santamaria), il padre naturale del ragazzo che ha abbandonato lui ed Elena alla notizia della gravidanza, quel poco equilibrio che si era instaurato con un figlio gestibile a stento, si rompe. Vincent trova la via di fuga che cercava: si infila nel furgone di Willi, cantante da matrimoni e da balere soprannominato “il Modugno della Dalmazia”, ora diretto verso una tournée nei Balcani.

Diversi ma uguali

Un film sulla diversità. Amare le persone per ciò che sono. Senza volerle cambiare. Vincent è un ragazzo con dei problemi, che vive in un mondo tutto suo, dove anche il linguaggio è diverso. Elena ha difficoltà a trovare con il figlio un punto d’incontro, a volte non sa come prenderlo. Ma lo ama per il ragazzo particolare che è, così come Mario, ottima interpretazione di Abatantuono. Un uomo che ride, scherza e parla con Vincent. Che scende a compromessi con lui, utilizzando il personale modo di comunicare del ragazzo. Tutto il mio folle amore sottolinea quanto ancora si è legati alle convenzioni sociali, in un mondo dove chi ha dei problemi o non sa come affrontarli viene allontanato. Emarginato e trattato come “diverso”. Quando invece andrebbe solo accolto, capito e dal quale, forse, c’è da imparare.

Tutto il mio folle amore - Valeria Golino
Valeria Golino in una scena del film

Animo intatto

Vincent vive senza filtri. La sua felicità, paura e rabbia sono evidenti e le esprime senza alcun freno. Ogni suo atteggiamento, sorriso, urlo o espressione è pura, genuina. Naturale. Sincera. Il film diverte e commuove al tempo stesso, dando una caratterizzazione completa di ogni personaggio, eccetto Elena, che sembra colpevolizzarsi per i problemi del figlio, incapace di trovare il modo di parlare con lui. Willi nel giro di pochi minuti si rende conto che il suo figlio sedicenne è un ragazzo speciale e che creare un rapporto con lui sarà molto più difficile. Lui tratta Vincent proprio come chiunque dovrebbe. Come gli altri, dandogli regole, ridendo, scherzando o insultandolo, quando crede che serva. E questo Vincent, anche se non sembra, lo sente e lo apprezza. Perché lui è un essere umano, come tutti.

Tutto il mio folle amore, ma con una precisione eccessiva

La regia di Salvatores è attenta ai dettagli e ai particolari, con delle scene oniriche forse fuori luogo, non sempre narrativamente coerenti. Tutto il mio folle amore ha infatti ogni presupposto per essere un ottimo prodotto. Sfocia però, a volte, nel didascalico. In un’inverosimile comico, che però non infastidisce, finché non osa troppo. Come il disturbo di Vincent, poco chiaro. E forse qualche informazione in più avrebbe reso alcune dinamiche più comprensibili per lo spettatore. L’interpretazione degli attori, tra cui l’esordiente Giulio Pranno, è perfettamente calibrata con il film, una scelta davvero perfetta. Con una colonna sonora che accompagna la storia e l’evoluzione dei personaggi, il film racconta un viaggio. In tutte le sue mille sfaccettature. Perdendosi ogni tanto, senza però mai deludere, Tutto il mio folle amore porta ad una riflessione, forse scontata, ma ancora attuale. E, purtroppo, non universalmente condivisa.

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