The Handmaid’s Tale 3×04: Recensione episodio “God Bless the Child”
13/06/2019 di Redazione
Ecco la nostra recensione del quarto episodio della terza stagione di The Handmaid’s Tale dal titolo “God Bless the Child” (Dio benedica il figlio)
Dopo il rilascio, della settimana scorsa dei primi tre episodi di The Handmaid’s Tale 3 (qui la nostra recensione) sulla piattaforma streaming Hulu, e in Italia su TimVision, questa settimana è arrivato il quarto episodio dal titolo “God Bless the Child” (Dio benedica il figlio). Ecco la nostra recensione.
Il Battesimo in The Handmaid’s Tale
Il battesimo, nella religione cristiana è considerato il sacramento più importante di tutti, dato che la funzione lava via il peccato originale e permette la salvezza dell’anima. Secondo Dante infatti, tutti i bambini che non sono riusciti a venire al mondo o morti prima che il sacramento venisse attuato, sono situati nel limbo assieme alle anime che vissero da uomini giusti ma non cristiani in quanto nati prima della venuta di Cristo.
Il solo luogo illuminato e sereno all’interno dell’inferno. Gilead è l’inferno sulla terra e i bambini, sono l’unica gioia presente, l’unico raggio di sole in un luogo pieno di disperazione, privazione e sofferenza.
Proprio perchè il tema è il battesimo, che in questo quarto episodio di The handmaid’s Tale 3 tornano i flash back.
Parallelamente vediamo con gli occhi di June la funzione in due momenti diversi.
Il primo è in Gilead dove a tutti i neonati del distretto viene eseguito questo sacramento. Come se non bastasse alle ancelle che hanno dato alla luce i bambini, viene offerto un posto “speciale” davanti a tutte le altre, alimentando ulteriormente, la loro sofferenza.
E impensabile per ogni donna, dover assistere a quella cerimonia senza poter fare niente. Non penso possa esistere dolore più grande per una madre, di vedere il proprio figlio insieme ad altre persone. Altre persone che lo stanno crescendo al tuo posto, senza il tuo consenso e la totale impotenza di cambiare le cose.
Il secondo avviene nel passato dove assistiamo al battesimo della piccola Hannah. Ovviamente le situazioni sono completamente diverse, sentiamo perfino la volgarità di June all’interno della chiesa. Persone non praticanti, ma che desiderano comunque l salvezza dell’anima per gli innocenti.
Uno degli aspetti significativi sono proprio i versi citati all’interno delle due cerimonie, anzi tre se aggiungiamo anche quella di Nichole. I medesimo versi in delle realtà completamente opposte.
Nichole e il motivo per il quale June ha mantenuto il suo nome
Sul finale della scorsa stagione di The Handmaid’s Tale 2 June decise di consegnare la bambina ad Emily e di chiamarla Nichole, non Holly come sua madre.
Grazie al finale di puntata, riusciamo a comprendere questa da parte degli autori di questa serie televisiva. Era l’unico modo per la continuità della trama. Se il nome della neonata, fosse stato Holly, sarebbe stato molto più complicato riuscire a rintracciarla.
Emily e Oliver
Emily è salva in Canada, e per lei, è arrivato il momento di riabbracciare i suoi cari, ma come disse Moira nello scorso episodio, non c’è un e vissero felici e contenti, c’è solamente il dopo. E se tutti gli spettatori si aspettavano abbracci forti, lacrime e grida, hanno dovuto ricredersi.
Il trauma è troppo grande, le ferite sono ancora troppo profonde. Sylvia indossa una fede, ma non viene rivelato se ha una nuova compagna, si potrebbe presumere che sia così ma non viene esplicato. E’ tutto molto imbarazzante, come ammettono entrambe e quello che dovrebbe essere un momento di gioia estrema, è vissuto come un profondo imbarazzo e paura.
In qualche modo The Handmaid’s Tale cerca di abbracciare un realismo in una serie televisiva distopica.