Stanley Donen, il rivoluzionario del musical

23/02/2019 di Redazione

Stanley Donen, regista di Cantando sotto la pioggia e uno dei più grandi cineasti della grande Hollywood, si è spento, all’età di 94 anni. L’ennesimo, e ormai ne restano davvero pochi, rappresentante di un cinema americano che era ancora più grande, artisticamente, di quanto potesse sembrare a uno sguardo superficiale.

Un discorso che per Stanley Donen vale anche più che per molti altri. Nasce ballerino, nel vero senso della parola, a Columbia nel 1924, e quando a nove anni vide al cinema per la prima volta Fred Astaire e Ginger Rogers rimase folgorato. Iniziò a prendere lezioni di ballo e quella sarebbe stata la sua vita, anche grazie alla madre, che lo spinse a lasciare il South Carolina per andare a New York e cercare fortuna a Broadway, quando era appena sedicenne. Ne trovò a sufficienza, incontrando alle audizioni di Pal Joey un tal Gene Kelly. Stanley prese un posto nella fila, Gene quello da protagonista, e diventò una stella. Ma si era accorto che il ragazzo aveva talento da vendere, da coreografo più che come ballerino, e lo assunse. Il miglior affare della vita di entrambi. Ma Stanley Donen era più che un coreografo, era uno sperimentatore, una caratteristica che proprio il cinema gli consente di mettere in pratica, con la sua prima, folgorante regia.

O meglio co-regia, perché il connubio con Gene Kelly andava a gonfie vele. Stavano per passare dietro la macchina da presa con quello che sarebbe diventato un classico, Take me out of the Ball Game, un musical sul baseball che avrebbe poi girato Busby Berkeley. In effetti forse per questo divenne un classico. Nello stesso anno viene data loro un’altra occasione, On the Town, da noi Un giorno a New York.

Una scena di Un giorno a New York

E lì c’è la prima grande intuizione di Donen, fuggire dai teatri di posa e portare la danza, la musica, l’azione per le strade della più incredibile città del mondo. Le avventure dei tre marinai in libera uscita Kelly, Frank Sinatra e Jules Manschin, trio perfettamente rodato dal precedente film, sono molto più di una parade di numeri musicali che sostengono un’esile storia romantica. Un giorno a New York è il manifesto di un cinema nuovo in un’America del futuro, di cui la Grande Mela era il simbolo, una città che guarda alla tradizione artistica europea fondendola con l’energia di una nazione che non è stata colpita dalla guerra.

Stanley Donen conferma il suo essere autore con Cantando sotto la pioggia.

Suo quarto film, secondo diretto con Kelly, è una riflessione meravigliosa sulla macchina cinema e sulle possibilità offerte dalla sua continua evoluzione tecnica e linguistica. Oltre ciò, ci sono due dei più grandi numeri musicali della storia del cinema, “Singin’ in the rain”, con Gene Kelly, e ancor di più “Make ‘em Laugh”, un trattato del concetto stesso di commedia e comicità, interpretato da Donald O’Connor in stato di grazia.

Negli anni Cinquanta Donen è uno dei dei due registi di musical per eccellenza a Hollywood. L’altro è ovviamente Vincente Minnelli. Hanno stili diversi, il primo più fisico, sempre con il fervore di raccontare qualcosa di più. Cosa che riesce con naturalezza a Minnelli, che non abbandona mai la sua eleganza nel girare e la sua tecnica sopraffina, come dimostrato ampiamente in Un americano a Parigi e ancor di più in Spettacolo di varietà.

Stanely Donen mette a segno un grandissimo successo

Sette spose per sette fratelli, nel 1954, diventerà un classico, l’anno dopo farà per l’ultima volta coppia con Gene Kelly dietro la macchina da presa, per il magnifico È sempre bel tempo, un ideale seguito e chiusura del loro film d’esordio, la maniera migliore per congedarsi a vicenda. Donen vuole fare altro, e inizia con Cenerentola a Parigi, un musical dalle atmosfere diverse, dove finalmente può coronare il suo sogno di lavorare con Fred Astaire. E con Audrey Hepburn, con cui si instaurerà un rapporto professionale che porterà a due altre collaborazioni negli anni a venire.

Stanley Donen inizia gradualmente ad abbandonare il musical

Un genere che ha detto ormai tutto nella forma che lui stesso a portato sullo schermo. La commedia sofisticata è il suo nuovo campo d’interesse, e gli riesce incredibilmente bene. Intermezzo, Baciala per me, Sciarada, L’erba del vicino è sempre più verde, quattro film che, anche grazie allo stile e al talento di Cary Grant, lo pongono di fatto tra i grandi maestri del genere. L’ultimo, in particolare, è anche una critica feroce alla borghesia americana, un film datato 1961 che non avrebbe sfigurato negli anni Settanta.

Cary Grant e Audrey Hepburn in una scena di “Sciarada”. Jonathan Demme ne ha poi fatto un remake dal titolo “The Truth About Charlie”, con Mark Wahlberg e Thandie Newton

Sia con Sciarada (1963) e poi con Arabesque (1967) Stanley Donen mette la commedia al servizio della spy story, e viceversa, ma è anche l’occasione per passare del tempo in Europa, che diventa il set di tutti i suoi film degli anni Sessanta. Tra questi, Due per la strada, con protagonisti la Hepburn e Albert Finney, che proprio due settimane fa è venuto a mancare.

I due film londinesi sono straordinari. Il mio amico il Diavolo, scritto e interpretato da Peter Cook, è diventato un cult, e lancia Dudley Moore come talento comico. Quei due è semplicemente un gioiello, storia di una coppia gay non più giovane, composta da Rex Harrison e Richard Burton. Film eccezionale, che si regge su di un equilibrio narrativo ed emotivo da manuale.

Gli anni Settanta sono quelli della Nuova Hollywood, un cinema che non è nelle corde di Stanley Donen, ma cerca comunque di adattare il suo ai tempi che corrono. In tre sul Lucky Lady è una commedia picaresca che gli offre l’occasione di lavorare con tre grandi talenti, Gene Hackman, Burt Reynolds e Liza Minnelli.

Il boxeur e la ballerina è quasi sperimentale, tre piccoli film in uno girati con lo stesso cast. Operazione interessante, ma non riuscita, così come la sua unica incursione nella fantascienza, Saturn III, la cui ambientazione spaziale è in effetti solo una maniera per mascherare una morbosa storia di sesso, tradimenti e omosessualità latente. A suo modo, un film dalle molte intriganti implicazioni.

Si congeda dal cinema con una commedia senile, Quel giorno a Rio, con Michael Caine che si innamora di una giovinetta, figlia del suo migliore amico. Una storia anche molto personale, lui che le donne le ha sempre amate, celebrandole sullo schermo e nella vita. Cinque matrimoni, tra cui quello con l’attrice Yvette Mimieux, due brevi relazioni con Judy Holliday ed Elizabeth Taylor. La donna che lo ha accompagnato fino all’ultimo giorno della sua vita è un genio della scrittura, Elaine May, sceneggiatrice, regista, intellettuale. Sono stati insieme negli ultimi vent’anni.

Credo che Stanley Donen se ne sia andato con un sorriso.

Ed è giusto così, perché a noi ne ha donati migliaia. La migliore eredità che si possa lasciare.

Share this article