Soldado: Incontro con Stefano Sollima “Avevo paura, ma ho fatto tutto il film come volevo” | VIDEO
11/10/2018 di Thomas Cardinali
Abbiamo incontrato Stefano Sollima che ci ha intrattenuto per oltre 30’ parlando del suo nuovo film Soldado, acclamato da pubblico e critica in America e pronto a sbarcare in Itali con Leone Film Group.
Quello di Stefano Sollima non è un film di semplice intrattenimento, è l’opera di un regista italiano che entra nel cinema di Hollywood e riesce a farsi imporre. Prima di lui recentemente soltanto Gabriele Muccino con “La ricerca della felicità” ce l’aveva fatta, ma la competenza e la solidità del cinema di Stefano Sollima ci fanno dire con quasi assoluta certezza che Soldado non resterà soltanto una splendida prima volta.
Abbiamo incontrato il regista creatore di Romanzo Criminale e Gomorra, due dei più grandi successi dell’audio visivo italiano degli ultimi 20 anni, in quella che si è trasformata quasi in una masterclass in cui gli interlocutori erano quasi degli amici. Stefano Sollima non ha cambiato il modo di gestire il suo rapporto con la stampa dopo aver trovato l’eldorado di Hollywood, che ci ha raccontato nelle sue più importanti (e spaventose) differenze con quello nostrano. Forse è proprio per questa sua straordinaria dote di rendere tutti a proprio agio che è riuscito a tirare fuori il meglio da due giganti come Josh Brolin e Benicio Del Toro il meglio, due che pochi mesi fa hanno superato i due miliardi di dollari al box-office con un blockbuster come Avengers: Infinity War.
Soldado partito da un immaginario già consolidato, tu dove hai iniziato a lavorare per entrarci? Come ti sei inserito col tuo cinema in questo scenario americano?
“Io ho cambiato tutti i reparti in questo nuovo capitolo all’interno di una saga, non volevo fare un vero e proprio sequel. Soldado lo puoi vedere tranquillamente senza aver visto Sicario. L’unico legame sono i due attori protagonisti, non si capisce neppure se sia un sequel o no. Lavorare in spazi così influenza l’approccio visivo, mi sono trovato a mio agio con il racconto davvero vicino al mio cinema. Mi sembrava un ottimo punto di partenza per questa transizione verso il cinema americano. Ci sono anti eroi e una struttura corale, a volte le storie neppure si toccano in Soldado. Pur essendo un film estremamente spettacolare aveva anche uno sguardo profondo e attento sul nostro mondo, sul racconto della frontiera”.
Com’è stato il suo debutto ad Hollywood? È al lavoro sul terzo capitolo della saga?
“Il passaggio è stato abbastanza impegnativo, da un certo punto di vista sembra che devi ricominciare da capo. Per me è stata una bellissima avventura anche perché non ho perso la specificità. Io non lo capisco l’epilogo che avete visto voi in Soldado. Il finale non è un’apertura, ma una chiusura del personaggio del ragazzino. Noi per altro il film che vediamo è il mio directors cut a cui ho tagliato 10’ di finale. Ho fatto una scelta un po’ radicale, no tolto delle scene ma neanche ci avevo fatto caso. Non vi dirò mai nella vita cosa c’era (risate ndr). In realtà era una conclusione con gli effetti delle scelte dei personaggi, che però non serviva era uno spiegone. La cosa bella dell’idea di una saga è che i limiti sono pochi, sono progetti non collegati temporalmente in nessun modo. Noi non pensavamo al terzo”.
Come si è approcciato con il film di Villeneuve? Gli attori sono usciti da un film che ha incassato due miliardi di dollari, l’ha affascinata?
“Ho rispettosamente ignorato Villeneuve, non era richiesto fissarmi su quel film completamente diverso. Sicario è un film molto più delicato e ha un punto di vista morale, meno forte, meno provocatorio e visivamente più lento. Io ho fatto il mio Soldado, da quel punto di vista non mi sono posto il problema. Non ci siamo mai visti, lui mi ha mandato una mail molto carina il giorno prima delle riprese. Può essere paragonata a una saga come Alien, li forse c’è un legame temporale con la storia di lei ma i registi sono completamente differenti. Questa saga è ispirata a quella saga in cui cambiavi regista alla ricerca della specificità”.
Cosa c’è di provocatorio in Soldado?
“Per come è costruito perdi completamente i riferimenti del rapporto tra bene e male. Loro si vendicano di una strage e mano a mano contrastando il male iniziano a esercitarlo. Tutti i personaggi in Soldado non sono filtrati da uno sguardo morale, ad un certo punto perdi completamente il senso. Benicio Del Toro ha perso quasi la sensibilità rispetto a quello che vive, è stato così annacquato dal suo vissuto che ha perso il senso. Lo ritrova salvando la figlia di quello che gli aveva sparato, perdi ogni punto di rifornimento e non c’è nulla che possa aiutare a digerire il processo. Nessuno ti guida per mano nell’esperienza in sala, è destabilizzante e a me piace per questo. Non capisci bene dove ti trovi alla fine, non è confine solo geografico e politico ma diventa morale. Affronta tematiche complesse in modo asciutto, dritto e non cerca in nessun modo di nascondersi”.
Soldado, la determinazione di difendere le proprie idee
Lei prima che uscisse Soldado ha dichiarato che girare ad Hollywood era una grande opportunità, ma ci poteva essere una pressione dell’universo produttivo. In quali parti l’ha trovata? Ha avuto difficoltà ad imporsi?
“Il film in europa parte dal regista che ha un controllo creativo molto più forte. Il sistema produttivo in Europa è più semplice con un produttore un distributore. In America è estremamente più complesso perché hai il produttore dei diritti letterari, poi hai il finanziatore del film, poi hai l’esecutivo dello studio di distribuzione. Non sei tu che condividi con un altro un progetto, ma lo fai con altri otto. In quel contesto è molto più facile perdersi. Loro riconoscono il talento e lo associano ai progetti, ma dato che ci sono tante parti in movimento tentano di imporsi limitando la specificità. Magari pensano che è troppo violento e impongono dei tagli. Non ritengono il pubblico troppo colto e quindi tentano di renderlo più semplice. Essendo un film puntato sugli attori e non sul regista rischi di essere estremamente marginale e per questo ero terrorizzato. Non ho risolto questa cosa, sono stato molto insistente. Io non sono di quel mondo, sono bellissimi ma non ero obbligato a fidanzarmi con loro. Sono stato fortunato perché i produttori mi hanno protetto e difeso rispetto a tutti gli altri. Loro hanno fatto dei test marketing da cui dipende la vita del tuo film, sono andati bene. In quel momento sono usciti i numeri e ci hanno detto “davvero, molto bene questo è il film”. Non è qualcosa di governabile, tu hai sicuramente un ruolo”.
Ogni personaggio ha un cambiamento nel corso del girato di Soldado, è più difficile relazionarsi e convincere attori già affermati oppure a con esordienti come in Gomorra?
“Gli attori sono tutti uguali, fai solo più fatica a spiegarglielo. Tu porti un’idea, se a quello piace va tutto bene. Stai parlando con Benicio Del Toro, loro avevano già interpretato gli stessi personaggi ma non in determinate situazioni. Nel momento in cui l’attore capisce che c’è una visione deve solo cercare di capirla, loro stanno in scena e tu sei lo sguardo esterno e loro si fidano di te. Chiunque dei due ti guarda e ti chiede com’era”.
Quando Soldado è uscito in America c’è stato un momento di sgomento, sembrava molto basato sull’attualità.
“Il film è stato scritto anni prima rispetto a questo cambiamento politico, Trump manco si immaginava dove sarebbe andato a finire. Le cose usate da Trump sul terrorismo ne avevamo scritto due anni prima. Il nostro racconto parte da quello, ma è molto antecedente a Trump. Era una provocazione, che poi è stata usata. Ci sono dei temi che sono stati nell’aria, noi su suburra abbiamo fatto un film prima che arrivasse. Noi raccontiamo una cosa che stava nell’aria. La migrazione c’è da secoli, lui la utilizza come propaganda facile da Twitter”.