La repressione scatenata nel Cile dopo la salita al potere da parte dei militari, resta una delle pagine più oscure del Cile, dove centinaia di persone furono uccise, ma soprattutto torturate, le donne stuprate, il tutto in una orgia di follia che ancora oggi non riesce a trovare spiegazioni precise, in Cile non ci fu una guerra civile, ma solo una guerra contro i civili.

Santiago, Italia riapre questa dolorosa pagina di storia e lo fa attraverso numerose interviste agli scampati alla tortura e alla morte, aiutati dalla nostra ambasciata e lo fa anche sorprendentemente intervistando uno dei torturatori. Prima di addentrarci nella lezione di storia che Nanni Moretti ha deciso di impartirci, poniamo subito un giudizio molto positivo alla pellicola,che senza dubbio per un regista militante e apertamente di sinistra, potrebbe far sembrare sintomatico uscire in questo particolare momento storico della nostra Repubblica. In realtà, quasi senza volerlo, Moretti ci porta dentro la storia delle capacità del nostro popolo di aver saputo accogliere questi rifugiati, nutrendoli, dandogli un buon lavoro. Una Italia che nel 1970 era profondamente differente, un paese che rischiava di avere dei comunisti al governo, come temevano gli americani, ma che in realtà ha dimostrato, al di là dei nostri governanti schiacciati dalle pressioni politiche, di essere solidale con un paese, che per volontà acclarata degli Stati Uniti come recenti documenti desecretati hanno dimostrato, ha voluto rovesciare un governo socialista e marxista eletto in modo democratico. Salvador Allende vinse le elezioni nel 1970 e fece dichiarare allo storico segretario di stato U.S.A. Henry Kissinger: “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.”
Moretti ci porta con i suoi testimoni, mentre lui con la sua voce sempre fuori campo conduce la sua intervista, alle loro drammatiche ed eroiche storie, dove molti scavalcando il muro dell’ambasciata italiana, scamparono alla morte e trovarono la libertà e asilo nel nostro paese in seguito.

Uno dei momenti forse più intensi e interessanti giunge quando il regista riesce ad ottenere l’intervista con uno dei tanti militari processati e condannati, un processo ancora lungo in Cile iniziato da pochi anni, che difficilmente riuscirà a dare giustizia ai tanti morti che la dittatura ha provocato. Nell’intervista appare ancora una volta, come un’uomo accusato di torture, si difenda sottolineando che lui ha solo eseguito degli ordini, che lui in realtà non ha mai torturato nessuno e che ora invece di stare in galera dovrebbe ricevere un perdono. Una difesa che ricorda i tragici processi ai nazisti, ma ad un certo punto, l’unico della pellicola, quando l’uomo spiega ad Moretti che lui ha accettato l’intervista perché gli hanno detto che sarà inserita in un giusto contesto, dando voce alla sua presunta innocenza, in un quadro imparziale, Nanni risponde entra nel campo della telecamera e sentenzia: “Io non sono imparziale !”.
Si potrebbe quasi chiudere qui il documentario, ma siamo solo a metà delle interviste, che alla fine commuovono gli intervistati e inevitabilmente anche lo spettatore. Siamo certi che il film non imparziale, ma militante di Nanni Moretti creerà numerose polemiche, e forse sarà una valida scusa per andarlo a vedere e ricevere maggiore visibilità. Utile sicuramente a tutti i nostri millennials magari per scoprire i film di Patricio Guzman, attraverso la rete, dedicati al suo paese alla fine di Allende, utile per raccontare ancora una volta come un paese libero, che stava risolvendo i suoi gravi problemi economici e migliorando la scolarizzazione, sia precipitato in un’incubo.