Parlami di te : Recensione, “mi riposerò quando sarò morto !”
19/02/2019 di Redazione
Parlami di te. Fabrice Luchini e Leïla Bekhti diretti da Hervé Mimran, in una storia ispirata alla vicenda di Christian Streiff, ex CEO di Airbus e di PSA Peugeot Citroën. La caduta e la lenta rinascita di un manager schiavo della carriera e del successo.
Alain (Fabrice Luchini) è un rispettato uomo d’affari e un brillante oratore, sempre in corsa contro il tempo. Nella vita, non concede alcuno spazio alle distrazioni e alla famiglia. Un giorno, viene colpito da un ictus che interrompe la sua corsa e gli lascia come conseguenza una grave difficoltà nell’espressione verbale e una perdita della memoria. La sua rieducazione è affidata a Jeanne (Leïla Bekhti) , giovane logopedista. Con grande impegno e pazienza, Jeanne e Alain impareranno a conoscersi e alla fine ciascuno, a modo suo, tenterà di ricostruire se stesso e di concedersi il tempo di vivere.
Questo ci racconta la semplice sinossi di Parlami di te, terzo lungometraggio, per lo sceneggiatore e regista Hervé Mimram (Tout ce qui brille, Nous York ) che confeziona una “commedia sulla ricostruzione”, come viene definita dal regista stesso, dove la fa da padrone Fabrice Luchini con una interpretazione eccezionale.
Il cuore della storia è tutto nella tragedia che colpisce Alain, dispotico amministratore delegato di una grande casa automobilistica, per il quale esiste solo il lavoro, il lavoro e il lavoro. Tutti gli affetti vengono schiacciati dalla sua smania, dalla voglia di fare che di colpo viene spezzata da un ictus. Alain si ritrova completamente azzerato e dovrà ricominciare, anche solo per pronunciare alcune parole, ad affidarsi all’aiuto della sensibile logopedista Jeanne.
Dalla Francia arriva una storia simile, ma non troppo, al Quasi amici di
Olivier Nakache e Éric Toledano, l’ennesima commedia legata ad un dramma umano, anche se profondamente differente dal film che aveva per protagonisti Omar Sy e François Cluzet.
La “commedia di ricostruzione” ,cui fa cenno il regista, è il semplice vivere giorno dopo giorno di Alain, con l’aiuto della logopedista, per ricostruire non solo il suo linguaggio, ma anche la sua vita dove aveva annullato tutti i suoi affetti pensando solo al suo smisurato ego, e alla sua smania lavorativa e ora si ritrova solo a cercare di riconquistare una semplice comunicazione verso gli altri.
Tanta ironia aiutano la pellicola ad accettare il dramma di quest’uomo e a regalarci tanti piccoli momenti di tenerezza, dimostrando ancora una volta la fragilità dell’essere umano e del suo corpo.
Una storia ispirata al vero manager vittima della tragedia, ma molto differente, per scelta del regista e dello stesso Christian Streiff che aveva già raccontato tutto nel suo libro autobiografico: J’étais un homme pressé : AVC, un grand patron témoigne.
Il titolo originale del film è appunto Un homme pressè, e la pellicola
di Hervé Mimram , benchè costruisca appieno il dramma legato anche alla solitudine della società moderna, forse è un pò troppo positivo e buonista, e parte del merito e demerito va proprio a Luchini, grazie alle capacità linguistiche del suo personaggio che riesce a ricreare situazioni estremamente divertenti in un contesto drammatico. In conclusione un’ottima pellicola a cui forse, per parafrasare il nostro protagonista, contiene qualche refuso qua e là, che non la pregiudica, ma che non ci fa gridare al capolavoro.