L’uomo dal cuore di ferro: Recensione, Anche i boia muoiono

24/01/2019 di Redazione

Dal regista Cedric Jimenez (French Connection) arriva L’Uomo Dal Cuore di Ferro, una storia incentrata su una delle figure più oscure e temibili del regime Nazista e sugli uomini e le donne della Resistenza Cecoslovacca che con immenso coraggio cercarono di eliminarlo.

L’uomo dal cuore di ferro. Anche i boia muoiono è il titolo del primo film dedicato ad una delle figure più pericolose del terzo Reich: Reinhard Heydrich.Il film fu realizzato da Fritz Lang nel 1943 a solo un’anno dalla eliminazione della figura del governatore del Protettorato di Boemia e Moravia , a cui seguirono nel corso degli anni altri cinque lungometraggi legati a questa oscura figura e al piano organizzato per eliminarlo, questa è la sesta pellicola, forse a modo suo la più completa a livello storiografico.

Il film realizzato da Jimenez esce nella Settimana della Memoria dedicata al ricordo dell’olocausto ed è l’adattamento del bestseller di Laurent Binet: HHhH – Il cervello di Himmler si chiama Heydrich. Il regista ha seguito in modo perfetto quanto già aveva riportato il romanzo di Binet, il quale si era documentato in modo dettagliato su quella che effettivamente, al di là dello stesso Adolf Hitler, rappresentava uno dei cervelli che hanno messo in pratica la soluzione finale della questione ebraica. Ed il merito della pellicola è proprio quello non solo di ricordarci questa oscura figura, ma anche come nacque, forse l’aspetto più interessante della pellicola. Il film si divide in 3 atti, e ci porta dentro i fatti in modo fin troppo fedele ed al tempo stesso agghiacciante, una storia non basata sui fatti realmente accaduti, una Storia Vera.

La pellicola inizia mostrandoci il giovane Heydrich, un’ambizioso ufficiale di marina che cade in disgrazia per una storia di donne e viene costretto a dare le dimissioni e ad interrompere per sempre la sua carriera militare. Sarà l’incontro con la futura moglie Lina (Rosamund Pike) ad introdurlo nella ideologia nazista e fargli conoscere l’uomo che salverà la Germania: Adolf Hitler. Lina viene da una nobile famiglia ormai decaduta, il suo sogno e quello di tornare agli antichi splendori e sarà proprio lei a far incontrare il marito con Himmler che lo arruolerà nelle neonate SS.

La forza della storia e anche delle scelte della regia, sempre precisa e asciutta, ci portano in breve nel vortice della guerra, nel primo olocausto delle pallottole ad opera delle SS Einsatzgruppen, dove Himmler stesso avevo messo a capo Heydrich. Ma dopo questo primo atto la pellicola ci porta al secondo atto, quello incentrato sull’operazione operata dalla resistenza cecoslovacca e in particolare sulle figure dei due giovani Jan Kubis e Jozef Gabcik (Jack ‘O Connell e Jack Reynor) , addestrati dagli inglesi e paracadutati assieme a pochi altri per cercare di portare al termine l’operazione nota col nome Anthropoid. Poco prima nel gennaio 1942 alla famigerata conferenza di Wannsee, Heydrich aveva preparato tutti piani per la soluzione finale ebraica, che verranno eseguiti fino alla fine della guerra. Il 27 maggio 1942, la resistenza cecoslovacca colpirà l’auto decappottabile del gerarca, che guidava senza scorta quasi a mostrare la sua intoccabilità. Colpito da una bomba, ferito Heydrich resiste per alcuni giorni prima di morire a causa di una grave infezione riportata. La vendetta dei nazisti sarà implacabile e sproporzionata come il gigantesco funerale dedicato a questa oscura figura.

Il film pur raccontandoci una storia conosciuta, almeno per chi si è documentato, riesce ad essere totalmente coinvolgente, Jimenez rende un sentito omaggio a quei giovani ragazzi cecoslovacchi che forse senza saperlo, hanno compiuto la prima vendetta per il popolo ebraico, oltre che per il loro.

Molto spesso il cinema ci ha raccontato degli attentati a cui Hitler era riuscito fortunatamente a scampare, Tarantino a modo suo aveva voluto uccidere quella figura in Bastardi senza Gloria, ma senza dubbio L’uomo dal cuore di ferro ci riporta in modo reale a quei terribili anni e lo fa senza la solita citazione della “banalità del male”. Heydrich era un nazista che amava la musica, un padre premuroso che insegnava il pianoforte ai figli e al tempo stesso un maniaco pronto a scrivere cartelle su cartelle per trovare la migliore soluzione per sterminare nel modo e più efficiente possibile il popolo ebraico. Dall’altra parte troviamo un gruppo di giovanissimi cecoslovacchi, pronti a tutto, consci che la fine può arrivare da un momento all’altro.

Jason Clarke/HEYDRICH

In alcune drammatiche scene troviamo un bambino costretto ad assistere ad una terribile tortura per confessare dove si rifugiano i vili attentatori del gerarca nazista. Il regista ci mostra senza sè e senza ma, come nei documentari più veritieri, la violenza estrema. La strage del villaggio di Lidece, che porta all’eccidio di tutti i cittadini maggiori di 16 anni e la deportazione di donne e bambini con la completa distruzione del luogo viene rappresentata in modo disturbante. Una vendetta che era sta operata dopo la morte di Heydrich per ricordare al popolo cecoslovacco le conseguenze della loro azione. Un film che ci riporta una pagina di storia in modo fin troppo fedele, perché non deve essere dimenticata. Un chiaro monito per ricordarci che il passato oscuro può sempre tornare, ma anche che ci saranno sempre persone pronte all’estremo sacrificio pur di fermare il male.

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