Le invisibili: Recensione, sopravvivere con il sorriso
18/04/2019 di Redazione
Le invisibili, campione d’incassi in Francia con oltre 10 milioni di euro al box office. Le invisibili è un’imperdibile commedia degna del miglior Ken Loach, capace di unire impegno e divertimento per affrontare un tema quanto mai attuale. Protagoniste del film sono quattro assistenti sociali dell’Envol, un centro diurno che fornisce assistenza alle donne senza fissa dimora. Quando il Comune decide di chiuderlo, si lanciano in una missione impossibile: dedicare gli ultimi mesi a trovare un lavoro al variopinto gruppo delle loro assistite, abituare a vivere in strada. Violando ogni regola e incappando in una serie di equivoci, riusciranno infine a dimostrare che la solidarietà al femminile può fare miracoli. Diretto da Louis-Julien Petit, il film si ispira al lavoro sul campo di Claire Lajeunie, che ha dedicato un libro e un documentario alle donne senza dimora di Parigi, ma offre anche un ritratto straordinario delle assistenti sociali e delle volontarie impegnate ad aiutarle, spesso “invisibili” loro stesse agli occhi della società.
Questa ci racconta la veloce sinossi della pellicola diretta da Louise- Julien Petit, che riesce in modo sorprendente a trasformare una storia tragica in una rutilante commedia, non per nulla il regista ha rivolto lo sguardo al nostro cinema neorealista e a registi come Comencini ed Ettore Scola, per sua stessa ammissione.
Una commedia basata su storie drammatiche
Il film presentato in anteprima nell’ambito del festival Rendez-Vous Nuovo Cinema Francese, ricorda con il suo titolo una una bella trasmissione televisiva condotta da Marco Berry qualche anno fa. Il programma ci portava a conoscere le tristi storie di persone che, per le ragioni più disparate, avevano perso tutto nella vita e si ritrovavano a vivere per strada con l’aiuto dei servizi sociali.
Partendo dal documentario Femmes invisibles – Survivre à la rue” e il libro Sur la route des invisibles – Femmes dans la rue, entrambi di Claire Lajeunie, il regista Louise-Julien Petit confessa che, quando ha scoperto dalla sua autrice l’enorme divertimento che aveva tratto incontrando queste persone, si è fortemente incuriosito e, in breve, ne ha acquistati i diritti per farne un film.
Ma non un film strappalacrime, bensì una fantastica commedia che vede protagoniste le vere invisibili francesi, ora osannate come delle star in Francia. Il paradosso di come un prodotto cinematografico e un bravo e giovane regista possano davvero invertire magicamente un processo distruttivo e ricreare l’attenzione su persone che incontriamo ogni giorno per strada ignorandole.
La scelta di un immaginario di homeless fatto da donne, che effettivamente rappresentano il 40% nel paese transalpino, è stata senza dubbio la scelta vincente. Le senza dimora francesi sono le più disparate e la forza de Le invisibili sta proprio nel farci accettare un gruppo di figure femminili non più giovani e decisamente poco attraenti che, nel giro di meno di due ore, vengono rese bellissime anche agli occhi degli spettatori più intransigenti.
“Il cinema italiano la mia ispirazione !”
Curioso il fatto che il regista non abbia negato che la sua fonte d’ispirazione sia molto italiana e legata ad una certa commedia (come non ricordare Brutti sporchi e cattivi ), a cui poi mischia sapientemente la dose di neorealismo nostrano utilizzando, dopo una complicata selezione, delle vere senza fissa dimora che, all’inizio riluttanti, hanno poi deciso di partecipare al progetto.
Risulta davvero difficile cercare di scrivere una critica cinematografica ad un film costruito in modo assolutamente perfetto, perché il regista non solo compie un miracolo trasformando delle storie tragiche in commedia, ma riesce a portare le sue protagoniste ad un grado di empatia con gli spettatori (e con il critico) tale che, all’uscita dalla sala, si guardano inevitabilmente con occhio diverso e meno sospettoso i nostri senza fissa dimora.
Va poi dato atto al film di mostrarci anche un sistema di accoglienza e sostegno francese tutt’altro che perfetto, facendoci comprendere, in un certo senso, l’avanzata populista e i tanti gilet gialli che scendono in piazza ogni sabato. La tragica possibilità di essere esclusi dal tessuto sociale a causa della perdita del lavoro e di scendere rapidamente la china a cui si lega anche la depressione è davvero veloce e terribile.
Nella pellicola ci vengono mostrati anche gli sforzi delle assistenti sociali (interpretate dalle attrici professioniste Audrey Lamy, Corinne Masiero, Noèmie Lvovsky e Dèborah Lukumuena) di un centro diurno, le quali tentano in qualche modo di aiutare le loro donne. La chiusura del centro, anticipato anche dalla scena dello sgombro di un campo da parte della polizia, rappresenta uno dei momenti più drammatici della pellicola, che ci svela anche una certa brutalità nei confronti di cittadine, che hanno perso tutto, ma non la dignità.
A cena da Macron
Un insieme che sarebbe veramente ingeneroso definire buonista, in quanto fin troppo vero, che passa anche attraverso tutti i momenti di comicità (a volte involontari) delle sue protagoniste. Louis-Julien Petit, quasi senza volerlo, è stato capace di andare oltre il suo progetto cinematografico, finendo lui stesso travolto dal successo delle sue senza fissa dimora, le quali ora godono di uno status di notorietà incredibile, girano la Francia promuovendo il film e sono state ospiti a cena dal presidente Macron.
Senza parlare del fatto che, dopo la visione de Le invisibili, il sindaco di Parigi ha immediatamente preso in carico l’apertura di un nuovo centro per sostenere le persone e cercare un reinserimento nel tessuto sociale.
Sarà lo spirito della rivoluzione che scorre nel sangue dei francesi, ma dobbiamo ammettere che raramente un lungometraggio era riuscito a cambiare politicamente in modo concreto una situazione che nessuno voleva vedere. Vi lasciamo con il consiglio di andarlo a vedere, per riflettere a fondo sulla tematica che ci coinvolge tutti, con buona pace di Richard Gere, che aveva provato ad affrontare l’argomento, e anche del bravo Marco Berry, ma sinceramente Le Invisibili francesi ormai sono fin troppo visibili.