La settima Musa – Recensione del nuovo horror di Jaume Balagueró
22/08/2018 di Redazione
La settima Musa è personale omaggio del regista spagnolo al Maestro Dario Argento. Le Madri sono sostituite dalle Muse in quest’horror dall’impianto classico, perfetto per la fine delle italianissime vacanze estive del cinema. Dal 22 agosto al cinema distribuito da Adler Entertainment.
La settima Musa: la Filmax non muore mai
Il cinema spagnolo deve molto alla Filmax, storica casa prima di distribuzione nata negli anni Cinquanta che portava nella Spagna della dittatura di Franco il cinema americano, soprattutto di genere, dal noir ai b-movies. Una connotazione che la factory di Julio Fernandez, suo fondatore, non ha mai perso, e che ha poi fatto le sue fortune negli ultimi trent’anni. Da quando, cioè, due figure fondamentali del cinema americano indipendente come Stuart Gordon e Brian Yuzna si sono legati alla Filmax per produrre horror a basso costo che dal mercato spagnolo potessero poi viaggiare in giro per il mondo. Gordon e Yuzna sono personaggi chiave dell’horror americano degli anni Ottanta, il primo regista di un classico come Re-Animator, il secondo di Society, film di rara intelligenza, che allo splatter univa un sottotesto politico e sociale quasi sovversivo. La collaborazione tra i due era stretta e li portò a incontrare Fernandez, con cui fondarono la Fantastic Factory, una divisione della Filmax completamente dedicata al genere. La collaborazione non durò molto, ma Fernandez imparò bene la lezione. Nel mentre la Filmax da casa di distribuzione si era evoluta in una produzione a tutti gli effetti, e proprio nel territorio dell’horror aveva fiutato l’affare.
La settima Musa di Jaume Balagueró
La Filmax è la casa di Jaume Balagueró, sin dal primo lungometraggio Los Sin Nombre, o The Nameless, grandissimo successo che inaugura la stagione dell’horror ispanico alla conquista del mondo. Dopo arriveranno, sempre di Balagueró, Darkness, Fragile, e soprattutto la serie di Rec, di cui gira tre dei quattro episodi. Nel mentre il movimento in terra iberica è in fermento, iniziano a farsi conoscere i nomi di Alejandro Amenabar (che aveva già esordito con Tesis e girato poi Apri gli occhi, ma che raggiunge il successo mondiale nel 2000 grazie a The Others, horror con Juan Carlos Fresnadillo, Paco Plaza. Alcuni di loro faranno il grande salto a Hollywood, come Bayona e Fresnadillo. Balagueró non ci riesce, o forse semplicemente non vuole, preferendo restare legato a un cinema che ama e conosce.
La Settima Musa – Trama
La Settima Musa muove i suoi passi a Dublino, nel prestigioso Trinity College, dove il professor Samuel Solomon insegna letteratura. Il professore ha una relazione con la giovane Beatriz, che si suicida senza motivo lasciandolo in un profondo stato di depressione. Solomon inizia anche ad avere un sogno ricorrente, la visione di un rituale durante il quale una donna viene uccisa. Dopo averlo raccontato all’amica e collega Susan, sarà proprio lei ad avvertirlo che il suo sogno sembra essere stato premonitore di un misterioso omicidio commesso a pochi chilometri da Dublino. Solomon si reca sul luogo del crimine per indagare e incontra Rachel, una misteriosa ragazza che ha avuto lo stesso sogno e che come lui è in cerca di spiegazioni Tutto sembra ruotare attorno a un misterioso manufatto che trovano in un comparto segreto su cui sono incisi dei versi di Dante Alighieri. I due scoprono di essere parte di un disegno molto più ampio e ben oltre i limiti della realtà.
La settima musa – Recensione
Jaume Balagueró ama l’horror classico, in tutte le sue forme, lo ha dimostrato esplorando possessioni, case infestate, morti viventi, e in questo caso rendendo omaggio a un grande Maestro come Dario Argento. La struttura narrativa de La settima musa (liberamente tratto dal romanzo La dama numero tredici dello scrittore cubano Juan Carlos Somoza, edito in Italia da Frassinelli) ricorda molto quella della Trilogia delle Madri, concentrata in un unico film e proprio per questo abbastanza confusionaria. Il film parte bene, arrivando velocemente all’inizio dell’indagine, ma altrettanto rapidamente si siede e si ingarbuglia, con una parte centrale faticosa sia nel ritmo che nella scrittura. Non mancano i colpi di scena, per quanto prevedibili, e qualche buona spruzzata di sangue, usato con la giusta misura per poter contare su un pubblico ampio, ma il finale diventa agognato perché ci si arriva decisamente con qualche fatica di troppo. Soprattutto, latita l’elemento che sarebbe potuto veramente intrigante, ovvero l’ossessione dell’ispirazione, che viene invece frettolosamente archiviato. Non aiutano molto neanche i due protagonisti, anche loro più di una volta visibilmente sperduti e basiti. Elliot Cowan (già visto nelle serie Da Vinci’s Demon e Doc di Ritorno al futuro, Joanna Whalley, già signora Val Kilmer, e la sempre splendida Leonor Waitling, già veramente musa di Pedro Almodóvar nel bellissimo Parla con lei. Nobili decaduti che le regole non scritte del genere impongono per impreziosire la confezione. Non ci riescono, ma fa piacere rivederli.
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