Glass: Recensione, apoteosi del cinecomic

17/01/2019 di Redazione

Glass, diretto da M. Night Shyamalan è la conclusione di una trilogia nata con Unbreakable proseguita con Split,  che ci porta sullo schermo il confronto tra i tre protagonisti delle due precedenti pellicole in uno scontro epico.

Quando uscì Unbreakable nell’ormai lontano 2000, dopo il clamoroso successo de Il Sesto Senso, non tutti compresero a fondo che cosa si affrontava con quella pellicola, un thriller che parlava di un supereroe contrapposto ad un temibile “villain” cattivo,  Bruce Willis e Samuel L. Jackson erano protagonisti, loro malgrado, di un vero e proprio  trattato cinematografico sui fumetti, una sentita dichiarazione d’amore del regista per una particolare forma di intrattenimento che ben presto è ormai divenuta un vero e proprio genere nel cinema definito con il nome di  cinecomic.

Ora con la giusta distanza di anni e dopo l’incredibile Split,  dove avevamo fatto  la conoscenza di un mostro psicopatico dotato di ben 24 personalità, e ritrovandoci  nel finale a sorpresa Bruce Willis con il suo personaggio di David Dunn, l’attesa per questa nuova pellicola è stata altissima da parte dei fan.  Shyamalan, nonostante alcuni presunti passi falsi nella sua carriera cinematografica, si conferma come sempre talentuoso e in grado di realizzare film con budget molto ridotti che incassano cifre stratosferiche. Insomma il regista perfetto per Hollywood e per un produttore come Jason Blum la cui missione è fare film a basso costo con incassi stellari, quello che si faceva nei lontani anni’70 con le pellicole di genere.

Il risultato finale di Glass è per i fan dei supereroi la vera apoteosi del genere cinecomic, ma che in realtà come già in Unbreakable esplora le storie di quel mondo a cui il cinema ormai attinge a pieni mani e non solo riguardo alle storie di super poteri. La struttura stessa della storia, che poi si rifà ad altre storie e rimanda anche ad un piccolo capolavoro mai riconosciuto di Shyamalan come Lady in the Water, ci porta dentro l’universo creato per David Dunn,  Kevin Wendell Crumb e le altre sue 23 personalità, ed Elijah Price, l’uomo di vetro che condurrà il gioco finale.
Tutti e tre si ritroveranno chiusi nello stesso manicomio criminale dove la dottoressa Ellie Staple (un’algida Sarah Paulson), ha solo tre giorni per dimostrare a tutti a cominciare dai suoi pazienti, prima che vengano internati in modo definitivo, che non hanno nulla di speciale, che sono solo vittima di disturbi psicologici che si possono curare. Una teoria sulla impossibilità che esistono persone dotate di potere eccezionali, che si scontra forse con la verità che qualcosa di incontrollabile vive tra di noi.

In un crescendo di dialoghi e scene imprevedibili Shyamalan, riesce a sviare anche il suo spettatore più attento. Glass è una storia curata, sentita, i suoi protagonisti nella stessa recitazione tengono il giusto passo per il loro personaggio, quasi gli stessi attori credessero nelle loro innate capacità di farci credere nell’impossibile, e  grazie a pochi effetti speciali dovuti ad budget limitato, paradossalmente aiuta ancora di più le doti del regista nel portarci dentro  questa storia, nel portarci a capire che cosa significa credere nei fumetti.
La degna conclusione di una curiosa trilogia realizzata a distanza nel tempo, non vogliamo svelarvi altro dell’autore de Il Sesto Senso, ma siate certi che alla fine della visione quando penserete di aver compreso tutto, verrete anche voi assaliti da un dubbio… Forse non siete venuti  solo al cinema a vedere un film interessante che si chiama Glass, un film che  parla di quei fumetti nei quali molti si sono rifugiati durante l’infanzia e continuano a farlo rivivendo le avventure dei loro eroi sul grande schermo.  Forse ci potrebbe essere  qualcosa di più,  forse la verità non sta in quel mondo reale che vivete ogni giorno, probabilmente vive nella fantasia di tutti noi e nella capacità di tenerla viva, fantasia che qualcuno tutti i giorni cerca di uccidere.
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