Dumbo: L’elefantino volante secondo la magia di Tim Burton | RECENSIONE

Tim Burton regala una nuova versione più lunga e decisamente più moderna dell’elefantino più famoso di sempre, la nostra recensione di “Dumbo”.

Sin dal primo momento in cui la Disney annunciò l’intenzione di realizzare il live action dei suoi classici il nome diche abbiamo incontrato a Roma) era stato accostato a “Dumbo”. Nessun altro avrebbe potuto affrontare una sfida così complessa, perché ricordiamo che lo storico film animato del 1941 durava solamente 62’ e quindi a differenza de “La Bella e la Bestia” e altre produzioni c’era bisogno di un massiccio lavoro di riadattamento sulla storia. I classici Disney sono senza tempo, ma con i suoi cambiamenti Tim Burton ci ha regalato una fiaba moderna con il suo inconfondibile marchio di fabbrica, che è presente nonostante le limitazioni alla parte più “dark” che la collaborazione con un così grande studios comporta.

Se “Alice in Wonderland” era stato criticato perché il visionario regista era sceso a compromessi commerciali con la Disney stavolta sembra che abbia ottenuto maggiore libertà artistica, soprattutto nelle due scene più iconiche: la prima è quella sull’origine del nome “Dumbo”, qui completamente diversa e burtonizzata, mentre la seconda è l’iconica sequenza degli elefantini rosa. Dumbo non si ubriaca è vero, ma la scelta di Tim Burton è sicuramente convincente e azzeccata per il differente taglio narrativo scelto rispetto al classico animato. Il regista di Burbank è sin dagli esordi un artista fuori dagli schemi, un genio che ha voluto raccontare la diversità e non poteva non essere stuzzicato dinanzi all’ipotesi di rendere suo il classico che più di tutti nella storia dell’animazione ha affrontato queste difficoltà. Qui Tim Burton sembra avere una maggiore autonomia artistica sulla visione di “Dumbo”, nonostante non risulti tra gli sceneggiatori, ma siamo certi che in qualche modo abbia contribuito alla sua stesura definitiva.

Tim Burton nel suo “Dumbo” cerca di umanizzare molto il racconto, cercando di trasformare un viaggio di accettazione di se stesso in uno di ricongiungimento familiare, ma anche in un riscatto del genere umano attraverso le azioni dei due piccoli protagonisti che entrano subito in empatia con l’elefantino. Il cantore degli outsider porta quindi la sua versione dell’outsider per eccellenza di casa Disney, con Michael Keaton che torna dopo quasi 30 anni a lavorarci insieme e personifica  la parte marcia dell’industria che assorbe le eccellenze più piccole. Che sia una velata frecciatina proprio al mondo Disney con cui c’è da sempre un rapporto di amore e odio? Probabilmente se glielo chiedessimo direbbe di no, ma la risposta spetta al pubblico e quantomeno siamo davanti ad un monito evidente: la centralizzazione dell’arte è un qualcosa di estremamente pericoloso.

Tim Burton riesce ad essere davvero Tim Burton in Dumbo, regalando attimi di vera e propria magia. Se la prima parte è forse troppo lenta e dialogata nella seconda c’è una virata degna dei voli del piccolo elefantino con una virata decisamente adrenalinica ed accattivante. D’altronde il regista non è mai stato un amante delle scene action, ma qui dimostra di sapersi anche divertire creando la giusta suspense combinando alcuni elementi a lui particolarmente cari e che rimandano al suo periodo più gotico. La parte più importante però è senza dubbio quella dei sentimenti e del messaggio di crescita, che faranno volare il cuore e la fantasia di grandi e piccini nel nuovo “Dumbo”.

Dumbo Holt Farrier (Colin Farrell) and Colette Marchant (Eva Green) Credit: Jay Maidment/Disney

Il cast oltre ai vecchi amici Danny De Vito e Michael Keaton vede come protagonista anche Colin Farrell e la “nuova musa” Eva Green, con cui aveva già collaborato in Miss Peregrine e qui dea del circo con le sue evoluzioni acrobatiche. Un pezzo di  famiglia Burton in pratica, perché mai come questa volta il cineasta aveva l’obbligo di sentire la fiducia dei suoi attori per una sfida a cui teneva troppo in maniera personale per le tematiche affrontate. Romantica per i suoi fan anche la reunion con Danny Elfman, suo storico compositore la cui mancanza si era sentita terribilmente in Miss Peregrine.

“Dumbo” ha la qualità di toccare il cuore come sapevano fare i vecchi film di Tim Burton,  con una magia che avevamo solo parzialmente ritrovato ne “La casa dei ragazzi speciali di Miss Peregrine” e che qui probabilmente riusciamo ad apprezzare nuovamente appieno. Forse perché Tim Burton era “Dumbo” prima ancora di vederlo e gli ha messo intorno tanti freaks in un circo che è la fotografia dei vizi e delle virtù umane. Probabilmente la resa del film in CGI lo ha reso anche troppo perfetto, ma d’altronde il mondo si evolve e anche Tim Burton non poteva pensare di realizzare un elefante in stop motion.

Gli occhi di “Dumbo” però sono in grado di comunicare molto più che con le parole, come accadeva nei suoi più grandi capolavori come “Edward Mani di Forbice”. Sono pochi i registi in grado di parlare con gli sguardi e Tim Burton riesce ancora una volta a costruire questa invisibile rete di emozioni. Nel finale poi c’è  tutta la magia del cinema, con una scena che vi farà commuovere ricordando E.T, perché “Dumbo” sembra come tutti gli outsider un alieno. Non siamo pronti per lui, ma lui ora è tornato e non possiamo fare a meno di sognare insieme.

Il trailer di Dumbo

Tim Burton vi porterà nel magico mondo di “Dumbo” dal 28 marzo, forse stavolta è davvero pace fatta con la Disney.

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