Carlo Verdone presenta il libro “Uno, dieci, cento Verdone”: “Non ho niente di Sordi, ho regalato risate e leggerezza”
21/11/2018 di Thomas Cardinali
Carlo Verdone è uno degli artisti più amati d’Italia, capace di attraversare 40 anni di cinema che rivivono attraverso il libro fotografico di Claudio Porcarelli presentato oggi a Palazzo Alberti a Roma.
Cento fotografie per celebrare Carlo Verdone e i suoi quarant’anni di carriera e grandi successi. Una densa carrellata di immagini, foto di backstage e ritratti, anche inediti, scattati sul set o in studio sono raccolti nel volume “UNO, DIECI, CENTO VERDONE”, nato da un’idea del fotografo Claudio Porcarelli, autore delle splendide immagini che ritraggono l’attore e regista, e dalla collaborazione con il Gruppo BANCO BPM.
L’iniziativa vuole rendere omaggio al genio artistico di una vera e propria icona del nostro cinema che, da profondo osservatore e instancabile pedinatore della realtà quale è sempre stato, ha saputo rappresentare magistralmente pregi e difetti degli italiani, guardati con severità ma allo stesso tempo con grande bonarietà, e raccontati attraverso i suoi molteplici personaggi in maniera comica e drammatica, seria e allegra, dissacrante e leggera.
Le prime 3000 copie del libro saranno distribuite in omaggio per festeggiare questo importante anniversario, ma in progetto c’è anche l’uscita del volume nelle librerie con un editore:
“Era che da un po’ di tempo che Claudio Porcarelli mi invitava a non disperdere tanto materiale interessante raccolto nel corso di tutti questi anni e che, giustamente, doveva trovare posto in una pubblicazione di prestigio – racconta Carlo Verdone -. Questa colorata galleria fotografica è dedicata a mia madre Rossana, la prima persona che credette in Carletto come attore, incoraggiandomi ad affrontare il mio primo importante e terrorizzante spettacolo teatrale nel 1977 con un calcio nel sedere: Vai in scena, fregnone! Perché un giorno mi ringrazierai…. E infatti non c’è giorno che non la ringrazi”.
La pubblicazione del volume UNO, DIECI, CENTO VERDONE rientra nell’ambito più ampio del costante sostegno alla cultura italiana da parte del Gruppo BANCO BPM:
“La nostra Banca – dichiara Giuseppe Castagna, Amministratore Delegato del Gruppo – affianca un grande artista come Carlo Verdone nella logica di proseguire quella attività di protezione e divulgazione della cultura e della identità nazionale che ha sempre svolto e continuerà a svolgere, con impegno e passione nei confronti dei nostri territori di riferimento”.
L’autore di questi meravigliosi scatti è Claudio Porcarelli, l’unico da cui l’attore e regista vuole farsi immortalare:
“Prima di essere fotografo di Carlo Verdone, sono un suo fan, perché per Carlo Verdone ho un’ammirazione che va al di là della nostra trentennale collaborazione. La ritrattistica fotografica è apprezzata soprattutto quando riesce a catturare l’anima di chi si ha davanti, le sfumature più autentiche di noi stessi. Con Carlo, questo mi è riuscito in maniera spontanea e naturale”.
“Questo libro ha fermato nel tempo alcune fasi importanti della mia carriera. Credo che la mia forza sia stata quella di essere una persona molto sensibile, ho avuto una famiglia che mi ha sempre stimolato a guardare gli ultimi artigiani del quartiere dal vetraio al calzolaio. Loro erano spiritosi e mi stimolavano a girare nel mio quartiere tra Campo de Fiori e Trastevere. Albero sordi aveva la finestra a canto a me in Via dei Pettinari. L’osservazione del quartiere arriva dalla curiosità a cui mi ha spinto la mia famiglia, poi quando mio padre mi ha regalato le tessere dei cineclub per farmi una cultura ho scoperto che la grandezza del cinema italiano era nella forza che registi come Fellini e germi avevano la capacità di portarci attori veri e credibili anche dalla seconda e terza fascia”.
Carlo Verdone parla a ruota libera spiegando come il cinema italiano abbia perso quella magia che aveva a causa degli attori, sempre più protagonisti e meno caratteristi:
“Tutti sappiamo che Mastroianni è stato il più grande d’Italia, ma ci sono film che senza dei caratteristi non sarebbero ricordati. Alcuni hanno fatto la fortuna dei film più degli attori protagonisti, in questo de sica, germi, Dino Risi erano maestri. Germi non ha mai sbagliato un personaggio nel dettaglio, Fellini non ha mai sbagliato niente nei suoi film. Tutto quel mosaico di personaggi era assolutamente vero vero e io ne ero estasiato. Quando ho scoperto che avevo questa sensibilità e questa capacità di trasportare dei personaggi attraverso una gestualità, delle pause, attraverso il modo di fumare, riuscivo ad individuare l’anima del personaggio e vedevo che poi il corpo una volta catturata la voce si muoveva da solo. Io sono una persona che non prova, io sono sempre andato a istinto”.
Poi arriva una confessione sui su quanto fare questo libro gli abbia fatto ricordare le varie fasi di una carriera unica e straordinaria:
“Mi ha fatto riflettere su quanto mi sono spersonalizzato, ma avevo dentro questo furore creativo che mi portava nei personaggi annullandomi. Penso che la mia forza sia la naturalezza, faccio delle prove approssimative per gli attori ma loro lo sanno che poi tirò via perché quando batto il Ciak faccio tutto al 100%. Mi piace più dirigere quando sono io dentro la scena, io la chiamo spontaneità. Quando si faceva un sacco bello nessuno si poteva rivedere e io chiedevo al direttore della fotografia che mi facevano le facce e io capivo. Ricordate sempre il monologo dell’emigrande di bianco rosso e verdone e se lo avessi provato avrei fatto schifo invece che così vero. Non si può costruire, io chiesi 20’ di silenzio assoluto mi chiudo dentro una stanza a bassano romano e ripercorsi tutti i disastri dell’emigrante da Monaco di Baviera fino a Matera e quindi dovevo partire in quarta. Io so partito a mitraglietta e ero uno straccio di sudore, parti un applauso dalle comparse e io risposi che fatica. Mi chiesero di farne un’altra e io dissi non possiamo farne un’altra che non ce la facevo. Quando diede il motore dopo 20’’ non avevo ritmo e lucidità e naturalezza quindi stoppai tutto. Sono cose estemporanee che non puoi studiare”.
Poi spiega come non abbia niente in comune Alberto Sordi e di quanto fare commedia oggi sia davvero molto difficile:
“Io non ho proprio niente di Sordi, lui sta la ed è un grande attore e una grande maschera. Lui è Alberto sordi, è enorme, anche Aldo Fabrizi. Il mio è un altro tipo di lavoro. Oggi le domande che mi fanno più spesso sono “Oggi è più facile o più difficile fare commedia?”, dico sempre che è molto più difficile. Questo perché alcuni quartieri nella Città e nel paese tranne a Napoli che si salva con un suo teatro aperto, però anche lì è cambiato tutto. A Roma non c’è più il teatro di piazza non ci sono più i mercati, oggi ci sono supermercati. Negli anni ‘80 ancora c’era chi parlava da finestra a finestra, ora la società è cambiata e i romani sono stati deportati nelle periferie e si è andata a perdere l’umanità e la verità, ora la città è impoverita. Dobbiamo tenerci stretti film come Roma di Fellini, io sono stato l’ultimo ad utilizzare Mario Brega, Sora Lella e gli ultimi caratteristi”.
Arriva poi la stoccata ai registi di oggi, colpevoli insieme agli attori di aver dimenticato come si fa commedia:
“Poi è finito tutto per colpa dei registi e degli attori, molti sarebbero stati splendidi caratteristi ma hanno tentato di fare i protagonisti senza la forza. Ora non c’è più il contorno fondamentale per Risi, Monicelli, Germi e Steno. Ora abbiamo tutti protagonisti senza cura nel contorno, mancano le figure che sono importanti e sono state la linfa della commedia italiana. È più difficile perché la gente si apre di meno perché è incazzata col mondo, si vede anche quando critichi qualcuno e gli dici le peggiori cose. So tutti uguali ma il vero dramma si chiama omologazione. Il taglio dei capelli, il tatuaggio, il modello di smartphone è tutto uguale. Ecco che non esce più fuori il personaggio si parla di meno e si digita di più. Per un autore osservatore della società diventa faticoso gli devi stampare le parole col forcipe. Questo è un disagio anche comprensibile con un futuro complicatissimo, io non ci sarò più ma mi preoccupo di che mondo ci sarà. Pensavo che dopo la seconda guerra mondiale non ci sarebbero più state guerre mentre ora ci sono guerre peggiori. C’era una volontà di riscatto fantastica ora viviamo in un medioevo senza orizzonti. Voglio dire ai registi italiani, il cinema italiano è molto criticato dai giovani”.
Confessioni anche sui tanti progetti futuri, pensando però a come i giovani del cinema italiano non vogliono più godere:
“Giovanni Veronesi sta scrivendo con me e ha fatto una trasmissione nella scuola e uno gli ha risposto di voler fare il critico. Gli ha risposto però non del cinema italiano e gli ha esposto i motivi in modo lucido e preciso, era difficile dare torto a quel ragazzo che diventerà un critico incazzato. Io non me so sparlato la macchina addosso in un sacco bello e avrei potuto farlo, mi sono circondato di grandi protagonisti come Mario Brega. Critico gli altri e critico anche me, però il compito del regista è continuare nell’osservazione”.
Le donne sono sempre importanti per Carlo Verdone, che paragona il suo lavoro a quello di Massimo Troisi:
“Sono tutti film dove io recito con le donne, sono di una fragilità estrema non posso essere il conquistatore e l’amante. Il comico non può essere trombante, sordi non lo ha mai fatto.
Credo di aver raccontato bene una megalomania che poi alla fine nascondono una grande fragilità, sono personaggi deboli che hanno una loro fragilità. Ho rappresentato l’uomo fragile perché sono nato nel periodo del pessimismo, La donna prima era oggetto del desiderio e l’uomo ad un certo punto è stato messo all’angolo e ha preso cazzotti da una donna vogliosa di riscatto nella società. Io e Troisi abbiamo rappresentato la nostra confusione di fronte ad un oggetto complicato, avevo mille patemi e ho rappresentato in epoca e un tipo di uomo debole non codardo alla Sordi. Ho rappresentato uno sfiancato che si fa in mille pezzi. Più sono messo in difficoltà più rendo”.
Netflix (a cui è stato mostrato il pilot della sua prima serie tv) e il futuro della sala inquietano Carlo Verdone, che spiega come il prodotto debba cambiare ma sarebbe meglio continuare a vivere in ogni modo la magia della sala:
“Una domanda complicata, credo che non si possa fermare l’evoluzione delle cose. Dipenderà da Netflix stesso, credo che la perdita della sala sia un grande dolore ma non so se i giovani capiscono questo dolore. Per noi il cinema è un luogo sacrale di condivisione, oggi però non si vuole più. Ora la condivisione è soltanto condividere sul web queste cose. È un peccato che la gente non voglia più stare insieme. Credo che il cinema italiano debba fare molto molto di più. Ci sono anche film che sono rimasti molto di più. Hanno fatto cose egregie, non sono nessuno per dire che se va su Netflix non va a Cannes. Io sono convinto che se uno vuole cercare l’anima di un racconto lo troverà anche in una serie con una catena di montaggio con 50 persone che scrivono. House of cards mi ha inchiodato con la prima stagione, ma oggi è il trionfo del male e non è neppure educativo prima o poi bisognerà affrontare questo discorso”
Auguriamo altri 40 anni di successo a Carlo Verdone (che non farà una serie tv sul libro autobiografico di Francesco Totti), il libro sarà presto disponibile anche nelle librerie.
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