Cannes 2018, Capharnaum : Recensione, il bambino povero di Nadine Labaki

19/05/2018 di Redazione

Capharnaum di Nadine Labaki, la regista e attrice libanese ci porta dentro la realta’ delle baraccopoli del Libano attraverso gli occhi di un bambino di strada. La recensione della probabile Palma D’Oro al Festival di Cannes.

Capharnaum di Nadine Labaki ha per protagonista un bambino (uno straordinario Zain Al Rafeea) che lotta e sopravvive nella dura realtà delle baraccopoli libanesi. La scelta di un cast del tutto non professionale, ogni richiamo al nostro cinema neo realista e fin troppo voluto, permette alla regista un narrazione accompagnata da una performance incredibile resa dal suo piccolo protagonista e dagli altri comprimari.
Capharnaum è il nuovo meraviglioso film di Nadine Labaki

Sarebbe fin troppo facile per noi bollare Capharnaum come un film “furbo”, ovvero come nello stile di altri film che ci raccontano la povertà quasi come un film porno, al contrario riesce appieno a coinvolgere lo spettatore e anche il suo senso di colpa.  Se poi, come nel nostro caso, visionamo la pellicola nella sfavillante Cannes, dove all’uscita del cinema ti attendono ragazze discinte e party con fiumi di champagne si fa ancora più stridente il contrasto e aumenta il senso di colpa del giornalista, della giuria e del pubblico.
Beirut come Rio, o Johannesburg con le sue baraccopoli, con il mondo sempre più diviso tra pochi ricchi e tanti , davvero tanti, poveri. La storia di Capharnaum inizia in tribunale  dove il giovane Zain e’ stato arrestato per aver pugnalato un’altra persona. L’avvocato, interpretato dalla stessa Nadine Labaki, spera di citare i genitori del piccolo , la madre Souad (Kawthar Al Haddad) e il padre Selim (Fadi Kamel Youssef), che non sono in grado di dargli alcun sostegno economico e anche di affetto.

I genitori di Zaid in Capharnaum non possono neanche permettersi di pagare le tasse per registrare all’anagrafe  il piccolo  per ottenere una carta d’identità con la quale potrebbe ricevere un minimo di educazione scolastica ed assistenza medica. Il povero Zain che vive in un grattacielo fatiscente , lavora per sfamare se stesso e i suoi fratelli, lavora per un droghiere in odore di pedofilia interessato alla sua sorellina, tanto che alla fine per disperazione i genitori vendono la piccola all’odioso personaggio, provocando la fuga di uno sdegnato Zain.
Da qui inizia in Capharnaum una lunga serie di incontri, all’interno di un quadro di povertà disarmante. Un film che necessita di una grande scorta di fazzoletti (forniti per nostra fortuna da una giornalista ben attrezzata in sala), chi invece in modo più “cinico” guarda il film dal punto cinematografico non può non apprezzare tutto il lavoro fatta dalla regista assieme al montaggio (oltre 600 ore di girato , ridotte a due), e resta davvero colpito quando un drone  dall’alto ci mostra Beirut in tutto il suo squallore, un visione che ci ricorda il triste dopoguerra italiano e tedesco.
Un momento sul set di Capharnaum

Se volete vedere le foto di Beirut nel 1977 quando era considerata la Svizzera  d’oriente vi basterà una veloce ricerca su internet,   il paragone con l’attuale è veramente devastante.  Dobbiamo rendere merito alla regista di Capharnaum di aver fatto aumentare un poco il senso di colpa negli occidentali, portando a delle riflessioni a chi passeggia sorseggiando champagne con star hollywoodiane.
Se per Capharnaum arriverà la Palma D’Oro i cinici diranno che come al solito il film sulla gente povera funziona per vincere i premi, ma chi vi scrive vi chiede di riflettere sul fatto che quei poveri rappresentati nel film sono veri e sono stati presi dalla strada.  Il protagonista che sfoggia il suo piccolo smoking a Cannes  mentre riceve i flash dei fotografi da tutto il mondo, forse si starà chiedendo perchè i suoi amici debbano vivere ancora in fatiscenti baracche. Se la povertà come dice spesso Papa Francesco ha la sua bellezza, nel nostro caso,  Capharnaum, ha pieno diritto alla corsa alla Palma d’Oro.
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Il trailer di Capharnaum

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