Addio, Bruno Ganz
18/02/2019 di Redazione
Matt Dillon ha diviso la scena con Bruno Ganz in The House that Jack Built, o La casa di Jack. Durante la presentazione del film a Roma ha detto di lui:
“Sono molto triste, sono stato fortunato ad avere l’opportunità di lavorare con lui. È stato uno dei miei attori preferiti da quando avevo 17 anni. Bruno è stato scelto dopo di me, Lars mi mandò semplicemente una sua foto con sotto scritto “Verge!”. Il nostro rapporto nel film è quasi tutto off camera, molti mesi dopo avere finito le riprese del film siamo andati in Danimarca per lavorare insieme al lungo dialogo che si dipana nel corso di tutto il film. Siamo entrati subito in sintonia. Lars mi disse “Voglio che guardi il film con me”, ma per varie ragioni non siamo riusciti a vederlo insieme. Bruno ci riuscì e mi disse che gli era piaciuto molto e che sarei stato orgoglioso della mia interpretazione. Aveva ragione”.
Bruno Ganz se n’è andato. L’attore svizzero aveva settantasette anni, lo ha sfiancato un carcinoma all’intestino che gli era stato diagnosticato alcuni mesi fa. Si è spento nella notte tra il 15 e il 16 febbraio a Zurigo, sua città natale.
Svizzero di cittadinanza e di padre, italiano da parte di madre, e Ganz all’Italia ha sempre voluto bene, un affetto ricambiato dai nostri registi e dal nostro cinema. Uno di quegli attori che quando lo vedi in un film esclami “ma c’è anche lui”, magari molti riconoscendolo con piacere ma senza ricordarne il nome, la condanna per eccellenza dei bravi caratteristi. Bravo lo era Ganz, e tanto, molto più di quanto si sapesse. Attore di formazione teatrale che al teatro ha dato tanto, tra i fondatori di una delle più importanti compagnie brechtiane degli anni Settanta a Berlino, e basterebbe questo.
Era la sua seconda casa Berlino, è lì che incontrò Wim Wenders che lo volle protagonista di L’amico americano, al fianco di Dennis Hopper, straordinario Tom Ripley nel film tratto dal romanzo di Patricia Highsmith. Una gara di bravura, anche se il suo talento sul grande schermo lo aveva già dimostrato con La marchesa Von O, uno dei migliori film di Eric Rohmer, con cui vinse il German Film Award come protagonista.
Di premi ne ha vinti meno di quanti ne meritasse, Bruno Ganz
Attore davvero internazionale, che poteva recitare in tedesco, francese, inglese e italiano senza alcun problema. Una peculiarità che lo ha portato, nel corso degli anni, a girare letteralmente il mondo, dall’America all’Australia. Hollywood lo sfiora, Franklin Schaffner lo vuole per un bel ruolo ne I ragazzi venuti dal Brasile, ma ancora di più lo cerca Werner Herzog, che lo affida, nei panni di Jonathan Harker, alle amorevoli cure di Nosferatu. E l’Italia, prima con Giuseppe Bertolucci e il suo bello e dimenticato Oggetti smarriti. Poi Mauro Bolognini, regista che il nostro cinema non ha mai opportunamente celebrato, con cui si conquista una candidatura ai David per La storia vera della signora delle camelie, con una giovanissima Isabelle Huppert.
È un lavoratore instancabile Bruno Ganz
Ma per fortuna nel 1987 trova il il tempo per il vecchio amico Wenders, che lo vuole per celebrare la loro amata città d’adozione. Il cielo sopra Berlino è quello da cui l’angelo Damiel decide di scendere, per camminare tra gli umani e scoprire l’amore. Ganz ci regala un’interpretazione meravigliosa, e riprenderà il ruolo anni dopo, per l’improvvido sequel Così lontano, così vicino.
Nel 2000 è invece grazie a Silvio Soldini che Bruno Ganz entra nei cuori degli italiani. Fernando Girasole, il cameriere islandese di Pane e tulipani è un personaggio poetico e gentile, proprio come lui. Il pubblico lo premia, decretando il successo del film, e lui si porta a casa un meritatissimo David di Donatello.
Nel 2004 interpreta Adolf Hitler, ne La caduta, racconto degli ultimi giorni del Fuhrer. E lui, da uomo mansueto qual era, consegna ai posteri un’interpretazione incredibile, che fa gelare il sangue, fatta di dettagli, impercettibili sfumature che costruiscono la folle psicologia del demonio. In questa moderna epoca di stolti, resterà immortale, ma purtroppo più per le centinaia di versioni “meme” che girano su Facebook.
Nel 2007 lo vuole Francis Ford Coppola per il suo Un’altra giovinezza, nello stesso anno di Hitler Jonathan Demme lo scelse per The Manchurian Candidate, Ridley Scott gli ritaglierà un ruolo in The Counselor. Con la discrezione che ha caratterizzato tutta la sua carriera, Bruno Ganz ha lavorato con molti dei più grandi cineasti contemporanei. Compreso Lars Von Trier, che gli cuce addosso il ruolo di Virgilio nella sua personalissima versione dell’Inferno di Dante e ideale testamento artistico e confessione del regista danese.
Non sarà l’ultimo film in cui vedremo Bruno Ganz. Sarà Terrence Malick a farcelo salutare definitivamente in Radegund, la storia di un obiettore di coscienza che durante la seconda guerra mondiale si rifiuta di combattere per l’esercito nazista.
Il modo migliore per dirgli addio. E per farci dire arrivederci.