Albert Finney, ci lascia uno degli ultimi grandi

08/02/2019 di Redazione

Albert Finney è morto a 82 anni, al termine di una breve malattia. Con lui se ne va uno degli ultimi giganti del cinema. Nato il 9 maggio del 1936 a Salford, nel distretto di Manchester in Inghilterra, Finney è stato un attore dall’immenso talento, per fortuna quasi mai sprecato, ma che ha certamente raccolto molto meno di quanto avrebbe meritato.

Come la gran parte degli attori inglesi, soprattutto della sua generazione, la sua formazione avviene sulle tavole di un palcoscenico, naturalmente con una certa predilezione per le opere del Bardo William Shakespeare. A seguire c’è rituale passaggio per le produzioni televisive della BBC, e in ultima istanza l’approdo al grande schermo, in un periodo in cui Hollywood attingeva a piene mani dall’infinita fucina di talenti britannici.

Albert Finney però predilige il nascente Free Cinema

Lavora con cineasti come Karel Reisz e Tony Richardson. Proprio con quest’ultimo conosce il suo primo grande successo internazionale con Tom Jones, magnifica trasposizione cinematografica del romanzo di Henry Fielding, un classico della letteratura inglese riscritto con grande consapevolezza dei tempi dal “giovane arrabbiato” John Osborne. Pioggia di nomination agli Oscar del 1963 e strada spianata per questo bell’inglese non ancora trentenne che quattro anni dopo si toglie anche la soddisfazione di fare coppia con Audrey Hepburn in Due per la strada.

Albert Finney non è mai stato un attore particolarmente prolifico

Gira pochi film, ma quando lo fa lascia il segno. Il suo Hercule Poirot di Assassinio sull’Orient Express di Sidney Lumet è senza ombra di dubbio la migliore versione del detective creato dalla penna di Agatha Christie mai fatta. Gli vale la seconda nomination all’Oscar, in un anno incredibile dove concorrevano Al Pacino per Il Padrino parte II, Jack Nicholson per Chinatown e Dustin Hoffman per Lenny. Mise tutti d’accordo Art Carney, che vinse per Harry e Tonto.

Albert Finney aveva all’epoca aveva 38 anni

e questo è un aspetto interessante della carriera di Finney. La fisicità è sempre stata una sua caratteristica peculiare, che si sarebbe ulteriormente accentuata a partire dagli anni Ottanta, che si aprono per lui nel 1981, dopo quattro anni di assenza dal grande schermo. L’ultimo film prima di questa lunga pausa era stato I Duellanti, l’esordio di Ridley Scott, il ritorno è caratterizzato da tre strani film, in particolare Wolfen, un horror thriller girato da Michael Wadleigh, il leggendario regista di Woodstock, e Troppo belle per vivere, un altro thriller, firmato dallo scrittore Michael Crichton in una delle sue incursioni dietro la macchina da presa. Ci pensa Alan Parker a dargli il ruolo che lo rilancerà, in Spara alla luna, al fianco di un’altrettanto splendida Diane Keaton. Di lì a poco incontra John Huston, che gli offre il ruolo del burbero padre adottivo in Annie, la versione cinematografica del musical di Broadway. Il film è sbagliato e Finney non sembra molto convinto, per fortuna arriva un film eccezionale, Il servo di scena, dove duetta con un altro monumento del cinema e del teatro inglese Tom Courtney. Vengono entrambi nominati all’Oscar in un anno, il 1983, in cui quattro su cinque sono attori inglesi. Fanno loro compagnia Michael Caine e Tom Conti. Li metterà tutti in fila l’americano di turno, Robert Duvall, che vince per il suo romantico cowboy di Un tenero ringraziamento.

Intanto Huston capisce di avere fatto un errore e si fa perdonare chiamandolo per Sotto il vulcano, film tratto dal romanzo di Malcom Lowry, in cui Finney interpreta un alcolista depresso e nichilista. Altra candidatura, altra delusione, stavolta per colpa di F. Murray Abrahams e il suo magnifico Salieri in Amadeus, ancora una volta in un anno di outsiders.

Una delusione che di fatto dirada le sue incursioni cinematografiche, finchè i fratelli Coen non lo chiamano per un ruolo straordinario, il boss Leo di Crocevia della morte. Non è una rinascita, gli anni Novanta non sono particolarmente memorabili. Ma come spesso accade per i grandi attori, quando l’età avanza si aprono le porte dei ruoli da caratterista. A capirlo per primo è Steven Soderbergh, che con Erin Brokovich gli fa avere l’ennesima candidatura all’Oscar, per poi richiamarlo per Traffic. Ma chi gli ha reso un grande servigio è stato Tim Burton, che lo vuole nei panni dell’anziano Ed Bloom in Big Fish. Un ruolo indimenticabile.

Gli ultimi anni di carriera per Finney sono resi difficili da una salute precaria, compromessa da un cancro al fegato. Ma Sidney Lumet lo vuole per quello che sarebbe stato il suo ultimo film, l’eccezionale Onora il padre e la madre, in cui Finney è monumentale, oscurando due giovani stelle come Ethan Hawke e Philip Seymour Hoffman.

L’ultimo ruolo della sua carriera è quello del custode di Skyfall, la tenuta della famiglia Bond, e per un attore britannico non poteva esserci congedo migliore del chiudere al servizio di Sua Maestà.

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