1945: recensione, il senso di colpa dell’Ungheria

05/05/2018 di Redazione

1945, diretto dal regista ungherese Ferenc Török,   tratto dal racconto Homecoming di Gábor T. Szántó, una drammatica storia al termine della guerra nella transizione post-nazista dell’Ungheria


1945, diretto dal regista ungherese Ferenc Török  narra  il drammatico anno dopo la fine della seconda guerra mondiale, e di come l’Ungheria abbia vissuto il periodo di transizione post-nazista. Il film  è tratto  del racconto Homecoming di Gábor T. Szántó, co-sceneggiatore assieme al regista.
In un afoso giorno di agosto del 1945, mentre gli abitanti di un villaggio ungherese si preparano per il matrimonio del figlio del vicario, un treno lascia alla stazione due ebrei ortodossi, uno giovane e l’altro più anziano. Sotto lo sguardo vigile delle truppe di occupazione sovietiche i due scaricano dal convoglio due casse misteriose e si avviano lentamente verso il paese. Il precario equilibrio che la guerra appena terminata ha lasciato sembra ora minacciato dall’arrivo dei due ebrei. In tutta la comunità si diffondono rapidamente la paura e il sospetto che i tradimenti, le omissioni e i furti, commessi e sepolti durante gli anni di conflitto, possano tornare a galla.

Questo ci racconta la sinossi breve per una pellicola girata con un intenso bianco e nero, un’anno che ha segnato anche la creazione della cortina di ferro, e anche l’esodo degli ebrei verso la terra promessa e la tanto contestata ancor oggi Palestina.
Ferenc Török  sottolinea la storia della responsabilità da parte dei cittadini ungheresi che hanno avuto nella connivenza con il regime nazista, i vantaggi personali ne hanno tratto, occupando le case dei ricchi ebrei. La paura che possano tornare… anche se tutti conoscono bene la fine che hanno fatto, si diffonde nel piccolo villaggio che rappresenta un microcosmo che possiamo a paragonare a tutta la nazione ungherese. Le piccole ricchezze accumulate a cause della deportazione, di quelli che in fin dei conti erano i loro vicini di casa,  mista alla finta tranquillità che manifestano, che nasconde un latente senso di colpa per quanto accaduto,  ma non per tutti, e che viene improvvisamente a galla quando arrivano i due ebrei ortodossi che risvegliano le loro paure.

Da un punto di vista cinematografico la regia che tende a sottolineare la storia grazie all’uso del bianco e nero che risulta  nitido e deciso come i suoi personaggi. La fotografia di Elemér Ragályi  riesce a cogliere perfettamente  il percorso narrativo e lo scorrere del tempo.
1945 è un film molto attuale, per un paese come l’Ungheria ancora chiuso e decisamente rivolto a destra, quella destra che ricorda le croci frecciate, il partito filonazista che dall’ottobre del 1944 fino alla fine della guerra si sono macchiati di orribili crimini proprio contro i loro concittadini ebrei.
Ancora una volta si mette in luce questo ombra nera nella  storia di un popolo, dove alcuni si sono arricchiti sul sangue dei loro vicini di casa, altri non hanno  mai agito per impedirlo, la condanna è spietata da parte di Ferenc Török .
Sebbene ci fu qualcuno che che cercò di opporsi e di salvare gli ebrei ungheresi in misura minore, la storia ricorda solo un’italiano che risponde al nome di Giorgio Perlasca, che rende ancora più pesante il fardello del senso di colpa della nazione, che sembra, al contrario della Germania, non aver mai affrontato il suo passato.  Ferenc Török  come un’altro regista ungherese László Nemes ,vincitore dell’Oscar con Il figlio di Saul, attraverso l’arte cinematografica vogliono far conoscere la storia di un triste passato ai giovani ungheresi e ricordarla a tutta l’Europa, che cerca ancora faticosamente un vera unione.
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