Il nuovo Senato, le simulazioni: oggi sarebbe un monocolore Pd

Il nuovo Senato? Se entrasse in vigore oggi, sulla base degli attuali Consigli regionali, sarebbe una sorta di monocolore targato Pd, spiega Marco Bresolin sulla Stampa. Lasciando poco spazio sia al centrodestra (a trazione leghista) che al M5S e alle altre minoranze. Ma non solo. Sulla composizione della Camera alta saranno decisive le trattative tra le forze politiche. Al di là del nuovo articolo 2 del Ddl Boschi e della legge nazionale che dovrà precisare i meccanismi dell’elezione indiretta, con la nomina dei Consigli sulla base delle indicazioni degli elettori.

IL NUOVO SENATO: SE ENTRASSE IN VIGORE OGGI, DOMINEREBBE IL PD –

Non saranno più 315 i componenti del nuovo Senato, ma 100: 95 eletti dalle Regioni (74 consiglieri e 21 sindaci, uno per regione più uno ciascuno a Trento e Bolzano) più 5 senatori di nomina presidenziale. Non saranno più a vita, salvo gli ex capi dello Stato, ma il mandato durerà 7 anni. Con l’eccezione della prima volta, i nuovi senatori non saranno eletti tutti nello stesso momento, ma quando si rinnoveranno i Consigli regionali. Come spiega il quotidiano torinese, in base alle composizioni attuali degli stessi Consigli, il Pd sarebbe il grande dominatore:

«Con 55 senatori del partito di Renzi, a cui se ne aggiungerebbero altri cinque dei partiti autonomisti (tre del Trentino Alto Adige e due della Valle D’Aosta), già schierati coi dem sul territorio. E magari pure i cinque nominati dal Presidente della Repubblica: in totale fanno 65 senatori. E il centrodestra, che oggi guida Liguria, Lombardia e Veneto? Totalmente ininfluente (29 seggi) e dominato dalla Lega (14 senatori). I Cinque Stelle? Quasi azzerati, con solo sei esponenti in quello che sarà il nuovo assetto di Palazzo Madama. A meno che i grillini non decidano di scendere a compromessi con gli altri partiti.

Questi i calcoli fatti da Bresolin, in base a quanto previsto dalle normative:

«I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori». Questo vuol dire che nell’assegnazione dei senatori-consiglieri bisognerà rispettare la proporzionalità tra gli schieramenti in consiglio, mentre il sindaco-senatore «andrà sempre alla maggioranza», conferma il costituzionalista Stefano Ceccanti. Dunque nelle dieci regioni che eleggeranno due soli senatori, saranno entrambi esponenti della maggioranza. Con tanti saluti alla tutela della minoranze. Prendiamo la Liguria, per esempio. Le spettano due senatori: quello espressione del consiglio sarà probabilmente il governatore Giovanni Toti, ma chi si aspetta un posto per il primo cittadino del capoluogo Genova resterà deluso. Marco Doria non andrà in Senato. La legge consente alla maggioranza di sceglierseli entrambi: uno andrà a FI, uno alla Lega.

IL NODO DEGLI ACCORDI TRA LE FORZE POLITICHE –

Bisognerà anche capire il comportamento delle opposizioni. Perché attraverso accordi o inciuci tra i partiti, i numeri potrebbero cambiare. Bresolin utilizza il caso Veneto come esempio: ovvero, una regione alla quale spettano sette seggi (un sindaco e sei consiglieri, ndr):

«Abbiamo suddiviso l’assemblea veneta in tre schieramenti: maggioranza (Forza Italia e Lega) e tre opposizioni (Pd, Cinque Stelle e centristi-tosiani). Esattamente come si sono presentati alle elezioni nella scorsa primavera. Con questo assetto (applicando il metodo D’Hondt per l’assegnazione dei seggi), ai sostenitori di Zaia andrebbero 4 senatori (oltre al sindaco) e gli altri due al Pd. Tosiani e grillini a secco. Se invece le opposizioni facessero cartello e puntassero tutti sulla stessa lista di candidati, riuscirebbero ad eleggerne tre, togliendone uno alla maggioranza. A chi andrebbe? Dipenderà tutto dalla trattativa e dagli accordi che, inevitabilmente, si incroceranno con quelli in altre regioni»

Tradotto, come spiega La Stampa, sui nomi dei senatori i Consigli dovrebbero essere influenzati dalle scelte degli elettori, anche se bisognerà aspettare la legge ordinaria. Ma resteranno decisivi gli accordi tra partiti. La conseguenza? La solita spartizione. Come già avvenuto per l’elezione indiretta dei Consigli provinciali.

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