Da cosa scappano i migranti?

Povertà, dittature, guerre. Fame e conflitti. Miseria e violenza. Sono le cause della grande migrazione esplosa negli ultimi mesi dalle terre d’Africa e del Medio Oriente verso i porti più sicuri dell’Europa, quelli del Mediterraneo e dei Balcani, le principali vie d’accesso al Vecchio Continente. A descrivere i preoccupanti scenari (quello del caos in patria e dei viaggi della speranza verso un futuro migliore) sono le statistiche e i documenti dell’Unchr, l’agenzia Onu per i rifugiati, la principale organizzazione al mondo impegnata a salvare vite umane e a proteggere i diritti di decine di milioni di rifugiati, sfollati o apolitici presenti nelle varie parti del globo.

 

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MIGRANTI, IL 43% DALLA SIRIA –

Sull’entità dei flussi migratori le cifre parlano chiaro. Un comunicato dell’Unchr datato 28 agosto ha spiegato che nei primi otto mesi del 2015 il numero dei rifugiati e di migranti che hanno attraversato il Mar Mediterraneo ha superato le 300mila unità (circa 322mila), con un netto aumento rispetto alle 219mila del 2014. Quest’anno circa 200mila persone sarebbero giunte in Grecia, e circa 110mila invece in Italia, con una rilevante perdita di vite umane. Sarebbero infatti circa 2.500 i rifugiati e i migranti scomparsi nel 2015 nel tentativo di raggiungere l’Europa. Circa 3.500 invece è il numero delle persone morte o date per disperse nel Mediterraneo nel 2014. Per quanto riguarda la provenienza, essa appare molto disomogenea. Ancora secondo le informazioni diffuse dall’Unchr il 43% di rifugiati e migranti giunti in Europa nel 2015 provengono dalla Siria, il 12% dall’Afghanistan, il 10% dall’Eritrea, il 5% dalla Nigeria, il 3% dalla Somalia, il 27% da altri paesi. Basta ricordare cosa accade in questi paesi (e nelle rispettive regioni) per capire quanto il fenomeno sia complesso.

MIGRANTI, DA 51 A 60 MILIONI IN UN ANNO –

Un rapporto dell’Unchr pubblicato a giugno quantifica in 59,5 milioni le persone nel mondo costrette nel 2014 a fuggire dalle proprie case, in netta crescita rispetto ai 51,2 milioni del 2013 e ai 37,5 di dieci anni fa. Lo scorso anno precisamente sono diventate rifugiate, richiedenti asilo o sfollati interni in media 42.500 persone al giorno. Un’emergenza che on si vedeva da oltre un ventennio. Lo scorso anno, fa sapere ancora l’agenzia Onu, nei paesi industrializzati sono state presentate 866mila domande d’asilo: il dato più alto dal 1992, l’anno d’inizio del conflitto in Bosnia-Herzegovina. L’accelerazione principale ai più recenti flussi di migranti forzati sarebbe iniziata nei primi mesi del 2011, quando è scoppiata la guerra in Siria tra le truppe a sostegno del presidente Bashar al Assad e i ribelli anti-regime. Quel conflitto è diventato presto la prima causa di migrazione forzata a livello mondiale. Ma il rapporto dell’Unchr dimostra che il numero di rifugiati è in aumento in tutte le regioni del mondo.

MIGRANTI, 15 NUOVI CONFLITTI NEGLI ULTIMI 5 ANNI –

L’agenzia Onu, nel rapporto Global Trend 2014, spiega che negli ultimi 5 anni in Africa sono scoppiati o si sono riattivati almeno otto conflitti: in Costa d’Avorio, nella Repubblica Centrafricana, in Libia, in Mali, nel Nord-Est della Nigeria, in Congo, nel Sud Sudan e, in ultimo, in Burundi. Sono tre invece i conflitti scoppiati o riattivati in Medio Oriente: precisamente in Siria, Yemen e Iraq. Tre quelli in Asia: in Kirghizistan e in diverse aree del Myanmar e del Pakistan. In Europa, intanto, è scoppiata la crisi ucraina. Ma non solo. Continuano le condizioni di instabilità forte in paesi come l’Afghanistan e la Somalia. Anche in questo caso i numeri rendono bene l’idea della portata del fenomeno migratorio. la Siria da sola, con 7,6 milioni di sfollati interni e 3,9 milioni di rifugiati nelle regioni vicine nel 2014, ha reso il Medio Oriente l’area con il maggior numero di migranti forzati. Ai siriani vanno poi aggiunti gli iracheni, che contano ben 3,6 milioni di sfollati interni. Per quanto riguarda l’Africa sub-sahariana complessivamente sono stati, nel 2014, 3,7 milioni i rifugiati e 11,4 gli sfollati interni.

ERITREA –

L’Eritrea è uno dei casi più emeblematici. È paese povero, che si regge su un’economia di sussistenza, e dove non si svolgono elezioni democratiche. L’unico partito esistente e riconosciuto è il Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia. Non c’è libertà di espressione. Non esistono opposizioni al presidente Isaias Aferwerki. Chi si oppone viene condotto in campi di prigionia, condannato probabilmente ai lavori forzati, senza possibilità di difendersi in un processo. La corruzione dilaga. La gente, semplicemente, non ha futuro. Chi può, scappa via. perché non ha alternative.

SOMALIA –

La situazione non è molto differente nella vicina Somalia, uscita a pezzi da 20 anni di conflitti interni. Dopo la caduta del regime di Siyaad Barre, avvenuta nel 1991, si è innescata una lunga lotta per il potere. Ha aggravato la condizione l’azione dell’organizzazione terroristica Al-Shaabab, che tra il 2009 e il 2010 era perfino riuscita a prendere il controllo di una parte meridionale del paese. La sopravvivenza in Somalia dipende oggi quasi esclusivamente dagli aiuti umanitari. L’economia è legata solo ad un allevamento nomade e ad una piccola produzione agricola.

NIGERIA –

In Nigeria, invece, è ancora vivo il ricordo dei massacri dell’organizzazione terroristica jihadista Boko Haram, presente nel Nord del Paese e da quest’anno alleata con l’Isis. Ma è soprattutto la condizione economica e sociale ad innescare la fuga. Nonostante la Nigeria sia un paese ricco di petrolio (che contribuisce per circa un terzo al pil) e carbone, e nonostante sia uno dei paesi africani più avanzati a livello industriale, circa la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. E preoccupano anche gli indicatori sociali. È alto il tasso di mortalità tra i bambini, bassa l’aspettativa di vita, basso il tasso di scolarizzazione. Il settore primario non garantisce sostentamento ad una popolazione in forte crescita.

AFGHANISTAN –

Poi c’è l’Afghanistan. La sconfitta del regime dei talebani ad opera degli eserciti occidentali non ha coinciso con la fine delle offensive di matrice jihadista. È recente la notizia dell’avvelenamento di cento sudentesse ad opera di un movimento islamico in quello che è uno dei paesi più poveri e instabili del pianeta. L’agricoltura (di cereali) è di sussistenza. I talebani e gli insorti sono ancora radicati nella zona a Sud-Est, al confine con il Pakistan, altro paese di fuggitivi verso un futuro dignitoso.

(Foto: Ansa / Orietta Scardino)

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