Salva-banche, il governo valuta se pubblicare la lettera dell’Ue

Ne parlano Federico Fubini e Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera. Il governo sarebbe intenzionato a pubblicare la lettera ricevuta da Bruxelles prima del via libera al decreto salva-banche. Il documento, che non è stato scritto dalla Commissione Europea per essere pubblicato, potrebbe dunque generare un nuovo strappo tra Roma e Ue. La lettera è datata 19 dicembre e contiene le obiezioni dei commissari Margrethe Vestager e Jonathan Hill all’utilizzo del fondo interbancario di tutela dei depositi, ovvero i dubbi rispetto alla linea morbida scelta dall’Italia:

Margrethe Vestager e Jonathan Hill, commissari Ue alla Concorrenza e alla Stabilità finanziaria, non sono d’accordo. Ritengono che un atto di legge che obblighi il Fondo interbancario di garanzia a versare risorse nelle quattro banche produrrebbe comunque un aiuto di Stato: c’è intervento pubblico – pensano – perché lo Stato di fatto espropria risorse private e le dirige dove vuole. Nella lettera che accettano di inviare a Roma il 19 novembre i due commissari scrivono: «Nel caso venga usato un meccanismo di garanzia dei depositi e questo meccanismo venga riconosciuto come aiuto di Stato, la risoluzione delle banche scatta autonomamente in base alla direttiva Brrd (sulla ristrutturazione degli istituti, ndr)». In sostanza, c’è aiuto di Stato in ogni caso e vanno colpiti gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati anche se le risorse usate sono di origine privata.

 

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LA LETTERA DI BRUXELLES

La pubblicazione lettera potrebbe aiutare Matteo Renzi a superare le polemiche interne e provare di aver evitato la soluzione più traumatica, quella di colpire anche le obbligazioni più normali e i conti correnti oltre i 100mila euro. Continuano Fubini e Salvia sul Corriere:

Hill e Vestager dosano ogni parola, perché sanno che il rischio di ricorsi legali contro di loro è sempre presente. Nella lettera osservano che esiste una giurisprudenza della Corte di giustizia europea a sostegno della loro posizione. Quindi il governo si riunisce tre giorni dopo per varare l’operazione nel solo modo che resta: il ricorso al nuovo Fondo di risoluzione di modello europeo – sempre alimentato dalla banche italiane – con il sacrificio di parte dei piccoli investitori. Se l’Italia avesse aspettato fino al 2016, con la piena entrata in vigore della Brrd, avrebbe dovuto colpire anche le obbligazioni più normali e i conti correnti sopra i 100 mila euro di almeno una delle quattro banche. Se avesse ignorato la posizione di Bruxelles e ricapitalizzato le aziende salvando il risparmio, l’effetto sarebbe stato nullo perché i nuovi fondi avrebbero dovuto essere accantonati.

(Foto di copertina: ANSA / ALESSANDRO DI MEO)

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