Roma: uccide a pugni un uomo e incolpa il figlio di 10 anni

08/02/2016 di Redazione

Prima lo ha ucciso a pugni dopo una lite, poi, davanti alle domande degli inquirenti, ha accusato il figlio, un bambino di dieci anni: gli è andata male. Elvis Manuel Rossi, rom di 42 anni residente nel campo della Magliana, ha ucciso un bosniaco di 57 anni ed è stato condannato a 18 anni di carcere con rito abbreviato. Nonostante stesse tenendo per mano suo figlio, un bimbo di 10 anni – dunque inimputabile – su cui cercava di scaricare la colpa, il vero colpevole è stato puntualmente individuato e condannato.

ROMA: UCCIDE A PUGNI UN UOMO E INCOLPA IL FIGLIO DI 10 ANNI

La storia è sul Messaggero.

 «Ha spinto uno che è caduto e ha sbattuto la testa, non l’ha fatto apposta» ha detto il padre. Quell’uomo, rovinando in terra, era prima finito in coma irreversibile e poi era morto. Il racconto di Elvis Manuel Rossi, 42 anni, rom, era una menzogna: la vittima, un bosniaco di 57 anni, era stata massacrata di botte all’interno del campo nomadi di via Luigi Candoni, alla Magliana. E il colpevole dell’aggressione, tentava di scaricare la responsabilità su un bambino, non imputabile. Non ci è riuscito: Rossi è stato arrestato e processato per omicidio volontario. Al termine di un procedimento condotto con rito abbreviato, il gup Maddalena Cipriani ha condannato l’imputato a 18 anni di carcere.

 

 

La storia, piuttosto cruenta, parla di una lite furibonda nell’insediamento nomade di Roma Ovest: una lite, una disgrazia, l’uomo che si costituisce. Tutto finto, chiaramente.

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I fatti risalgono allo scorso 3 agosto. Dopo una lite furibonda, Rossi aggredisce il cinquantasettenne all’interno dell’insediamento nomade di via Candoni. Colpisce il bosniaco a pugni, poi lo spinge violentemente facendolo cadere in terra. L’uomo sbatte la testa e perde conoscenza. I paramedici del 118 accorsi sul posto lo trovano agonizzante, solo, immerso in una pozza di sangue. La vittima viene ricoverata in condizioni disperate all’ospedale San Camillo: morirà dopo pochi giorni. I sospetti degli inquirenti si concentrano da subito su Rossi, che nel frattempo sparisce. Ventiquattro ore dopo, decide di costituirsi. O meglio: escogita un piano per tentare di garantirsi l’impunità. Si presenta dai carabinieri della stazione Villa Bonelli e porta con sé il figlio di 10 anni. Dice che il bimbo ha accidentalmente spinto il bosniaco. I militari dell’Arma, però, non gli credono e avvisano i poliziotti del commissariato San Paolo.

 

 

 

La versione dell’uomo cambia e muta continuamente, seguendo gli eventi senza alcuna soluzione di continuità: prima era stato il bimbo, poi lui, sì, però per difendere il bambino. Gli inquirenti vanno oltre e individuano la verità: è stato lui.

 

Rossi viene arrestato per tentato omicidio. La sua posizione si aggrava dopo il decesso della vittima: l’accusa diventa omicidio volontario. Lo straniero confessa e tenta di giustificarsi. Racconta agli inquirenti di aver spinto il bosniaco perché lui aveva dato uno schiaffo al bambino: si trattava di legittima difesa, a dire dell’imputato. La nuova versione non convince né il pubblico ministero, né il giudice. Al termine del processo, infatti, l’imputato viene condannato a 18 anni di carcere. Sulla decisione influiscono anche i precedenti penali dell’aggressore: nella sua fedina penale sono annotati procedimenti e sentenze per spaccio, furto e possesso di arnesi da scasso.

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