Giachetti: «La mia vittoria sarebbe stata la vera discontinuità, alcuni nel PD la temevano»

Roberto Giachetti poggia il sigaro che ha in mano e si versa un bicchiere d’acqua. Beve, riprende fiato, si appoggia con i gomiti sul tavolo e si china verso di me: «Alcuni nel mio partito, e molti altri fuori, hanno capito che la vera discontinuità con il passato sarebbe stata la mia sindacatura, e un pezzo del Pd che in qualche modo con il passato ha avuto a che fare era più spaventato dalla mia vittoria che da quella della Raggi».

Il vicepresidente della Camera è lucido nell’analisi della sua campagna elettorale. Una campagna elettorale lunga quasi sei mesi, che non lo ha portato al Campidoglio, ma lo ha aiutato a capire meglio le criticità della città e del suo partito. Un partito che dopo il commissariamento «è guarito», ma che come tutti i malati che hanno preso medicinali molto forti, oggi è ancora molto «debole».

Una delle caratteristiche della sinistra – Giachetti – è sempre stata l’analisi della sconfitta. Questa volta è stata quasi rimossa. A tre mesi dalle elezioni amministrative mi sa dire perché il centrosinistra ha perso a Roma?

«Distinguerei il primo turno dal ballottaggio. Ho capito subito l’aria che tirava dalle primarie. Si percepiva chiaramente da parte del nostro popolo un’incazzatura lungamente sottovalutata. Non è nel mio stile sottrarmi, anche se è noto che non ho avuto alcuna responsabilità negli ultimi dieci anni, né nel partito romano né a livello di amministrazione. Abbiamo, tutti, fatto un miracolo ad arrivare al secondo turno. Durante la campagna elettorale ho scelto di non nascondere la polvere sotto il tappeto, ammettendo le nostre responsabilità, rimarcando il clima di consociativismo che si respirava all’epoca di Alemanno fino al coinvolgimento di alcuni esponenti del partito in Mafia Capitale. In più pagavamo sia gli scarsi risultati dell’amministrazione Marino sia il modo attraverso cui abbiamo superato quella vicenda. Nel secondo turno, invece, si è aggiunta una dinamica nazionale, come a Torino e in tanti altri posti. Non ha drammaticamente spostato la situazione ma l’ha amplificata rispetto al primo turno»

Nella sconfitta ha contato più il modo in cui è stato mandato via Marino o i due anni e mezzo di amministrazione dell’ex chirurgo?

In un elettorato di opinione sicuramente di più il modo. In certe periferie invece le posso garantire che Marino non l’hanno mai visto, e se pronunciavo il suo nome mi correvano dietro.

E quello che ha detto e fatto Marino dopo la fine della sua esperienza, per esempio pubblicando il libro?

Lì c’è stato tanto di quel livore gratuito nei miei confronti – io mai ho attaccato Marino quando era sindaco – che secondo me non ha inciso più di tanto.

Si è mai pentito di aver accettato l’invito pressante del Premier?

Non ho ricevuto nessun invito pressante dal Premier. Chi mi conosce sa che Renzi avrebbe potuto fare tutti gli inviti del mondo, ma se io non mi fossi convinto da solo non ci sarebbe stato nulla da fare per spingermi a candidarmi. Ho deciso di farlo perché Roma era a pezzi. Inoltre non c’era nessuno all’orizzonte: non mi pare di aver visto né un nuovo Adenauer né una fila di uomini qualunque che facessero a spallate per concorrere con me e Morassut.

Quando ha capito che la battaglia era persa?

Qualche giorno dopo il primo turno mi sono reso conto, girando molto, che c’era una netta preponderanza di consensi per la Raggi, ma questo non mi ha impedito di andare avanti a lottare fino alla fine.

Il partito l’ha sostenuta ? Tutto il partito intendo

Direi la stragrande maggioranza. Io sono uno di quelli che pensa che il commissariamento fosse necessario, ed è stato utile. E’ chiaro che il Pd è un malato che è stato curato con farmaci molto forti, che hanno estirpato la malattia ma ne hanno debilitato la tenuta. Se sterilizzi la vita democratica di un partito certamente risolvi un problema, ma poi ne apri immediatamente un altro. Io sono convinto che gran parte del partito sia stata con me, ma anche che alcuni…

Alcuni…

Alcuni nel mio partito, e molti altri fuori, hanno capito che la vera discontinuità con il passato sarebbe stata la mia sindacatura, e un pezzo del Pd che in qualche modo con il passato ha avuto a che fare era più spaventato dalla mia vittoria che da quella della Raggi.

Si aspettava che il M5s andasse In difficoltà subito?

A questo livello no, ma sapevo che avrebbero avuto notevoli problemi. Prima di tutto perché in campagna elettorale il leit motiv era che i primi 100 giorni li avrebbero passati studiando. Io, invece, ero consapevole che i primi cento giorni sarebbero stati decisivi per invertire la tendenza e che la situazione ci imponeva di non perdere nemmeno un minuto.
Difficoltà sin dall’allestire la giunta…

Ero consapevole che le pressioni che hai addosso per la composizione della giunta sono così grandi che io stesso ho fatto i nomi della mia squadra a metà maggio, ben prima del primo turno, senza ascoltare nessuno. Sapevo che sarebbe stato fondamentale, sin dal giorno dopo le elezioni, mettersi all’opera evitando i riti “spartitori e correntizi” di certa politica. Mi lascia allibito constatare come, pur sapendo che avrebbero vinto le elezioni con una certa sicurezza, i Cinque Stelle si siano fatti trovare così impreparati. Ma questo denota, evidentemente, l’assenza di una classe dirigente nel Movimento.

Una parte di cittadini romani, che in gran parte sostengono la Raggi, è convinta che a Roma interessi economici, editoriali e politici si fondano in un unico grande “inciucio”. C’è del vero o è un grande malinteso?

C’è una parte di verità che è relativa non all’esistenza dei complotti, ma al fatto che la gente non sa più a chi credere. Molta informazione si è fatta condizionare da determinati meccanismi, per cui a furia di sparare sul politico, qualche volta a prescindere, ci troviamo nella situazione in cui siamo oggi. Non si ha la capacità di essere lucidi, fermandosi a riflettere. Preferiamo schierarci come truppe. E contribuiamo ad alimentare questa situazione.

Si va avanti per schieramenti di tifosi?

Per schemi. Pensi alla scorta della Raggi. Se si spara un titolo «Anche la grillina va a fare la spesa con la scorta» alimenti una polemica assurda. Io su questo sono d’accordo con Orfini. Nessuno si ferma a riflettere sul fatto che non ha senso fare polemiche su queste cose. Non ci si rende conto della limitazione della libertà personale che si subisce in un caso del genere. E nessuno si prende quel tempo necessario per dire “no, io su questo non faccio polemica”.

Vince la strumentalizzazione?

Si, però va anche detto che loro sono vittime di se stessi. Immagini cosa avrebbero potuto montare su Giachetti. E’ una cosa che paga di più, piuttosto che un’analisi lucida sulla polemica delle scorte.

Quando si è iniziato a rompere il legame tra il centrosinistra e la città?

Con la Giunta Alemanno. Io ero notoriamente contrario alla discesa in campo di Rutelli per una nuova sindacatura nel 2008. Ma va ricordato che nello stesso giorno in cui Zingaretti alla provincia vince, Rutelli viene segato. Un pezzo di partito si taglia le gambe per colpire Rutelli. E dalla giunta Alemanno tutto comincia a degenerare prima in consociativismo e poi nel coinvolgimento in Mafia Capitale.

Ma il Pd romano è pronto ad un congresso vero o, magari tramite facce fintamente nuove, saranno sempre i soliti a giocarsi la partita?

Fino ad oggi per tutti c’è stato l’alibi del commissario Orfini. Tutti a prendersela con lui, ma il problema vero è un altro. Io temo che se non ci sarà – e non mi pare che al momento ci sia- una presa di consapevolezza da parte di tutta la classe dirigente di questo partito che per rilanciarlo serve un impegno diverso con i cittadini, superando la tendenza suicida che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, si tornerà presto ad una mera guerra per bande.

Tolto l’alibi del commissario si torna ai soliti problemi?

Si rischia di fare come i dieci piccoli indiani; magari con qualcuno in meno, ma si ritorna alla stessa musica. Non dobbiamo avere paura di energie nuove ma anzi dobbiamo promuoverle. In campagna elettorale ho notato non dei muri, ma dei grattaceli, che creavano una separazione forte tra noi e la gente. I cittadini ci percepivano come un gruppo di potere.

E come si recupera un rapporto così compromesso?

Intanto facendo un’opposizione intelligente e costruttiva. Le persone sono interessate a vedere chi fa il bene di Roma. Devi reinventare un modo per dialogare con i cittadini che abbia un minimo di credibilità. Non puoi limitarti ad aspettare che caschi la pera con l’unico obiettivo di tornare a gestire il potere. Ci deve essere una vera capacità di rilancio, svincolata dall’idea di gestione del potere, che punti ad una riabilitazione della politica nel suo senso più alto.

Ma il congresso va fatto subito quindi?

Non ci deve far paura un congresso. E’ il momento di ripartire: ad ottobre finisce il commissariamento, quindi non so in che tempi ma un congresso ci sarà. Orfini è stato un alibi delle correnti; io non ho condiviso tutto (ad esempio le primarie nei municipi ndr) ma è sempre molto comodo avere qualcuno su cui sparare.
Ma per quanto mi riguarda nessuno di quelli che hanno avuto un ruolo nella politica romana negli ultimi dieci anni può prendersi l’alibi di dire che non c’entra niente.

Il rilancio del Pd a Roma passa anche per una nuova classe dirigente immagino. Perché i Gentiloni, i Tocci e i Giachetti non hanno lasciato eredi?

E’ un problema più generale che non riguarda solo Roma, ma tutta Italia. E’ una grave responsabilità della mia generazione. Complice il Porcellum, noi ci siamo sottratti dall’esigenza di creare una scuola politica, che andasse al di là dei momenti di formazione del partito. Volenti o nolenti abbiamo fatto muro e scudo alla nascita di una classe dirigente e ci ha fatto più comodo che ne crescesse una più fragile e meno strutturata, pensando che sarebbe stata più facilmente controllabile.

Un consiglio a Virginia Raggi

Che inizi ad amministrare. In consiglio comunale abbiamo visto due delibere, così è difficile anche fare una buona opposizione.

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