Riforme, Renzi apre sul Senato: «Accordo possibile»

18/09/2015 di Alberto Sofia

C’è un’immagine simbolica che mostra come sulle riforme costituzionali la strada della mediazione al Nazareno non sia ancora del tutto compromessa. Un abbraccio tra Matteo Renzi e l’ex segretario Pier Luigi Bersani, leader della minoranza Pd, immortalato a Piacenza nell’incontro tra i sindaci post-alluvione. Uno scatto che, unito ai messaggi distensivi arrivati dai ribelli dem in Aula, che non hanno votato in dissenso dal gruppo su pregiudiziali e sospensiva, ora riavvicina le parti. Un accordo ancora non c’è, né è detto che il dialogo ritrovato dopo lo strappo in Commissione possa portare a un voto positivo della minoranza sull’articolo 2. In fondo, potrebbe anche non servire se i numeri che Renzi sbandiera si rivelassero esatti. Ma l’impressione è che, dopo gli attacchi incrociati mediatici, la vecchia “Ditta” non romperà con il segretario. Nessuno sgambetto al premier, anche perché non c’è voglia di tornare alle urne. Né di uscire dal partito. Meglio prendere tempo per preparare la rivincita al Congresso.

 

RIFORME, VENTI DI DISTENSIONE TRA RENZI E LA MINORANZA PD –

Certo, risolvere il nodo del Senato non è semplice. Anche perché più volte Renzi ha ribadito di non voler rimettere in discussione quanto già approvato in doppia conforme. A partire dall’articolo 2, quello che dispone l’elettività indiretta dei senatori, contestato dai dissidenti dem. Impossibile rimetterlo in discussione, ripetono i fedelissimi renziani, «si rischierebbe di ricominciare da capo». Eppure, restano diverse ipotesi per introdurre una correzione per far scegliere gli elettori: dal listino dei consiglieri-senatori, alla modifica dell’articolo 35 proposta dalla fondazione Astrid di Franco Bassanini, così come l’idea di lasciare competenze alle Regioni in merito.

Ma c’è soprattutto il “lodo Tonini” tra le ipotesi di un possibile compromesso tra il presidente del Consiglio e la fronda dissidente sulle riforme costituzionali. Un’operazione chirurgica sull’articolo 2, limitata al solo comma 5. L’unico modificato, seppur solo per una preposizione, dopo i primi due passaggi tra Senato e Camera. Un tentativo per compattare il partito. E provare ad evitare che il disegno di legge Boschi, passaggio fondamentale per la legislatura, venga approvato con i voti decisivi dell’ex forzista Denis Verdini. E dei transfughi raccolti, non solo da Forza Italia, grazie allo scouting di Lotti e dello stesso ex plenipotenziario azzurro.

RIFORME, SI CERCA UN’INTESA –

Al di là degli scontri politici e alla resistenza annunciata di almeno 25 ribelli su 28 al Nazareno, i pontieri renziani e l’area più dialogante della minoranza bersaniana continuano a lavorare sotto traccia. Non è un caso che lo stesso premier abbia lanciato un’apertura: «Un’intesa è possibile, ma senza tornare al punto di partenza». Ovvero, qualche piccola modifica, concordata, per evitare lo scontro a Palazzo Madama. E la conta in Aula. Tutto in attesa della direzione decisiva in casa Pd, lunedì prossimo. Un vertice che rischia, senza mediazioni, di trasformarsi in un nuovo redde rationem.

Di certo l’atteggiamento della minoranza in Aula durante i primi voti non è passato inosservato. Non tanto sulle pregiudiziali di costituzionalità, quanto almeno sulla richiesta di sospensiva per tornare in commissione. Perché se già il bersaniano Miguel Gotor aveva spiegato di voler ripresentare gli emendamenti, ma di “non voler partecipare a operazioni ostruzionistiche”,  tra le opposizioni si aspettavano un asse con i dissidenti dem almeno sul calendario. Invece, nulla. Nessuna sponda tra i banchi della minoranza dem. Un atteggiamento interpretato anche come un messaggio diretto a Palazzo Chigi: nessuno tra i ribelli vuol far saltare le riforme, ma soltanto correggerle.

RIFORME, ARTICOLO 2 E VOTO FINALE: GLI SCENARI –

Bersani stesso è consapevole che la stessa base più fedele alla vecchia Ditta poco capirebbe una rottura totale in casa dem. Per questo c’è chi spinge per raggiungere almeno un risultato che possa “salvare la faccia“. Molto dipenderà anche dalla scelta di Grasso sull’articolo 2. Tra il presidente del Senato e Renzi i rapporti sono ormai tesi da settimane. Ma è chiaro che, se arrivasse una minima intesa, anche per la seconda carica dello Stato sarebbe più semplice decidere sull’emendabilità. Mercoledì è prevista la scadenza sulla presentazione degli emendamenti, si cercherà una convergenza ancora oggi complessa. Probabile che alla fine i ribelli Pd possano anche decidere di votare no sull’articolo 2, ma uscire dall’Aula sul voto finale al disegno di legge Boschi (un’astensione al Senato equivale al “no”, ndr). Evitare la rottura totale è necessario. Sia per Bersani, perché per la minoranza la convivenza sarebbe poi impossibile. Ma anche per Renzi. Perché vedersi approvato un passaggio fondamentale con una maggioranza stravolta, senza i voti di tutta la fronda della sinistra dem e con i verdiniani pronti all’incasso (già pronti a entrare in maggioranza) è uno scenario che lo stesso premier vorrebbe evitare. Tradotto, c’è ancora tempo per una tregua.

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